Adolescence è la serie tv del momento, capace di fomentare i dibattiti più accesi. Uscita il 13 marzo sulla piattaforma Netflix è diventata in pochi giorni virale. Quale è il segreto di tanto successo? Quali sono i temi che realmente tratta? Ma soprattutto, questi temi sono trattati adeguatamente?

Trama

La vita di Jamie (Owen Cooper), un ragazzo di tredici anni, e della sua famiglia, saranno sconvolte quando una mattina la polizia irromperà in casa accusandolo di omicidio. Sarà stato proprio lui a compiere questo orrendo gesto? E quale è il motivo che potrebbe averlo portato a compiere un’azione tanto estrema?

Recensione

Adolescence è una serie straordinariamente attuale, non solo per il metodo di regia utilizzato, ma anche per i temi che mette sul banco: bullismo, cyberbullismo, incel, manosfera, teoria redpill. Ma c’è forse un grande elefante nella stanza che, attorno a questo immenso dibattito suscitato da Adolescence, continua a rimanere inesplorato: il necessario avvento di un nuovo modello di genitorialità.

La regia: una scelta clickbait

Fin dalla primissima uscita, Adolescence è stata narrata e diffusa anzitutto come una serie in piano sequenza. Una scelta che, ai più, potrebbe e dovrebbe aver ricordato un capolavoro della filmografia sul disagio adolescenziale: Elephant (2003) di Gus Van Sant. Tuttavia, tra le due opere vi è un abisso. Adolescence cerca di riproporre quel senso di osservatore/osservato della camera, e di adozione di diversi punti di vista, ma non ci riesce a pieno. Il risultato è, infatti, spesso sconnesso dalla narrazione, inserendo scene inutilmente lunghe, ma necessarie per la buona riuscita della tecnica, che rubano minutaggio prezioso. Ciò è particolarmente vero nel caso del quarto episodio. Benché la scelta sia evidentemente quella di riprodurre le dinamiche di una famiglia che cerca, con fatica, di tornare alla normalità, nell’economia della profondità e della necessità di analisi di alcuni elementi inseriti all’interno della trama, risulta lungo e pedante.

La decisione di utilizzare una scelta stilistica così audace, sembra più dettata dal desiderio di far parlare della serie in sé, che non utilizzata come vero strumento narrativo. Questo potrebbe sembrare una piccolezza, a fronte della buona riuscita del prodotto, ma diventa problematico nel momento in cui si decide di affrontare temi così importanti e profondi come i nuovi modelli di mascolinità, il disagio adolescenziale dei c.d. nativi digitali e i femminicidi, che non possono e non devono essere lasciati ad un mero dibattito superficiale.

Incel, teoria redpill e pre-adolescenza

IN QUESTO PARAGRAFO POTREBBERO ESSERCI SPOILER!

La serie Adolescence inserisce, all’interno del dibattito narrativo, una serie di temi determinanti per comprendere, in parte, il disagio giovanile della generazione alpha. Parliamoci chiaro, il disagio giovanile è sempre esistito, tuttavia, ogni generazione affronta modelli e valori culturali differenti. Nello specifico, vengono inseriti i temi di bullismo, cyberbullismo, utilizzo dei social network, incel, teoria redpill e nuovi modelli di mascolinità. Già solo elencandoli, si capisce come sia estremamente difficile poterli analizzare in modo strutturato e profondo con una serie di quattro episodi. E non è neanche questo l’obiettivo principe della serie, che punta più a suscitare domande che a dare delle vere risposte. Il problema è che, nel farlo, lascia allo/a spettatore/trice il compito di addentrarsi in un mondo complesso, rischiando di alimentare l’incomunicabilità e l’incomprensione tra generazioni differenti. Questo è particolarmente vero nel caso di tematiche come gli incel e la teoria redpill. Difficili da capire a pieno anche per chi è di solo due generazioni precedenti, esse sono caratterizzate dal suscitare ampi dibattiti e forti discussioni, senza mai essere comprese completamente.

Questa (mia) percezione è stata confermata anche dallo psicologo Marco Crepaldi che, da anni, si occupa di analisi e divulgazione su questi temi. Riprendendo la sue parole, la serie Adolescence rischia di fare più confusione e delegittimazione, che altro. Per un/una neofita di questi concetti è difficile, ad esempio, capire che incel (ossia involuntary celibate – celibi involontari) e teoria redpill, non sono lo stesso fenomeno e non sono necessariamente sovrapponibili. Riprendendo le parole dello stesso Dott. Crepaldi, l’incel è una condizione psico-sociale che può portare alla ricerca di supporto e di sfogo in quella che viene definita manosfera, ma non è la condizione generale e soprattutto non è la situazione maggioritaria. Le persone (maggiormente uomini) che si definiscono incel sono, sostanzialmente individui che non riescono a sbloccarsi dal punto di vista psico-sessuale e che soffrono questa condizione. E’ quindi una situazione di profonda sofferenza e di disagio psicologico che, nei casi estremi, può arrivare a cronicizzarsi e sfociare in derive misogine. Ciò rende irrealistica l’attribuzione di tale condizione ad un ragazzo di soli tredici anni, che sta da poco scoprendo la sua sessualità.

La scelta di far compiere ad un ragazzo così giovane un gesto tanto estremo, ha tuttavia una sua utilità. Permette anzitutto, allo/a spettatore/trice di svincolarsi dal concetto di arbitrarietà e di scelta volontaria. Un tredicenne, per quanto intelligente come è dipinto Jamie, non ha ancora la maturità emotiva e intellettiva per comprendere completamente la gravità delle sue azioni e l’impatto che esse hanno sulla sua vita e su quelle della povera vittima. Questo permette di effettuare quella che gli econometrici definiscono una valutazione ceteris paribus, ossia “a parità di altre condizioni”. Eliminando l’arbitrarietà del gesto, rimangono come cause l’influenza della società, dei social network e dei modelli di mascolinità appresi, spostando quindi l’attenzione dal singolo alla responsabilità collettiva.

Bullismo, cyberbullismo e nuova mascolinità

L’aspetto preponderante in Adolescence, è il ruolo che la società, internet e i social network adoperano nella definizione dei modelli di riferimento per i più giovani. E’ un tema molto dibattuto, anche in ambito accademico. Ne è un esempio il saggio, non privo di detrattori e divenuto best seller, La generazione ansiosa dello psicologo Jonathan Haidt. Nel saggio il dottor Haidt afferma che l’utilizzo dei social network sia la principale causa dello sviluppo di ansia da parte della generazione Z, ad oggi la più studiata sul tema. Fonte di tale ansia sarebbe, oltre alla mancanza di gioco fisico, anche la continua e perpetua esposizione della propria immagine e il confronto che ne deriva con i coetanei. Ma i social sono anche uno strumento che fornisce ai più giovani accesso ad un mondo di cui spesso gli stessi genitori sono incapaci di decodificarne regole, messaggi e funzionamento. Haidt afferma, infatti, che l’esposizione dei minori ai social network sia il più grande esperimento sociale mai effettuato sui nostri figli/e e aggiunge che è come se li avessimo presi e mandati su Marte senza accompagnarli.

Copertina di La generazione ansiosa

Tale aspetto è largamente presente e indagato all’interno della serie Adolescence. Vediamo, infatti, quanto sia la famiglia di Jamie che i detective, non sappiamo comprendere ciò che accade sui profili Instagram dei protagonisti della vicenda, né il significato di un vero e proprio linguaggio in codice sviluppato sull’uso delle emoji. Cuore arancio, fagioli, pillole rosse e blu non hanno senso, se non analizzati all’interno della semantica del linguaggio utilizzato dalla generazione Alpha (quella di Jamie ndr). Ancor di più non capiscono quali siano le dinamiche di potere tra coetanei e come, se non adeguatamente guidati a ciò che vedono, certe correnti di pensiero possano estremizzarsi. Per forzare la mano su questo concetto, viene utilizzata la teoria della redpill che, in realtà, è l’esasperazione di un fenomeno molto più diffuso tra i più giovani: la polarizzazione. La generazione Z è, infatti, la più polarizzata in termini valoriali e questo si riflette anche sulla percezione di concetti come il femminismo, i diritti della comunità LGBTQIA+ e il razzismo.

Secondo un’analisi condotta dal King’s College di Londra gli uomini e le donne della Generazione Z sono i più divisi sulla parità di genere. Benché nella serie si parli di generazione Alpha e non Z, questo aspetto rimane realistico. Jamie presenta dei forti preconcetti nei confronti del genere femminile, dimostrando un elevato grado di astio sia rispetto alla psicologa Briony Ariston (Erin Doherty) che della vittima del suo gesto, la giovane Katie Leonard. Il ragazzo, infatti, vede nella dottoressa Ariston sia una confidente che una rivale, con cui va allo scontro nel momento in cui quest’ultima cerca di indagare la percezione che Jamie ha della mascolinità. Lo stesso modello conflittuale emerge anche quando si parla di Katie, la vittima del brutale omicidio. Dalle parole del ragazzo capiamo che la giovane attuasse del bullismo/cyberbullismo nei confronti di Jamie, andandone ad intaccare l’immagine pubblica e la mascolinità. Questo causa in lui un sentimento di rabbia e rancore che esplode quando Katie lo rifiuta.

Il punto chiave della dinamica non è tanto il bullismo attuato da Katie o il suo rifiuto, ma piuttosto il connubio delle due situazioni. Il risentimento che Jamie nutre nei confronti della ragazza è sì, dovuto ai comportamenti vessatori di lei, ma viene scatenato nel momento in cui la giovane, dopo esser stata vittima di revenge porn, continua a rifiutarlo. Agli occhi del ragazzo, Katie non ha più “il diritto” di rifiutarlo in quanto, essendo fuoriuscite delle sue immagini intime, ella ha perso la sua dignità di essere umano. Jamie dice testualmente che vista la condizione di lei, pensava che adesso non avrebbe potuto dirgli di no. E’ in questo passaggio fondamentale che si comprende la misoginia interiorizzata da Jamie. La sessualità femminile è ancora vista come un tabù che, se violato, trasforma le donne in carne da macello. L’oggettificazione del genere femminile, passa necessariamente attraverso la sessualizzazione del corpo. Nella visione misogina e patriarcale le donne che espongono il proprio corpo, che mostrano la loro sessualità, perdono di default il diritto a dire no. E questo è legato alla teoria redpill sì, ma non solo. Tale teoria è infatti solo l’estremizzazione di una cultura dello stupro decisamente meno segregata agli ambiti oscuri e reconditi dei social network. Ne sono una dimostrazione i commenti che appaiono proprio in queste ore sotto le notizie dei femminicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella.

Il crollo del ruolo genitoriale

In questa dinamica che di social ha solo il mezzo, il grande elefante nella stanza rimane la responsabilità degli adulti, in particolare, dei genitori e, soprattutto dei padri. Un punto che viene trattato nella serie, ma che ancora troppo spesso viene ignorato. Nella puntata 04 sentiamo il padre di Jamie, Eddie Miller (Stephen Graham, anche regista della serie ndr) dire:

Quando avevo la sua età, mio padre mi picchiava sempre. Certi giorni prendeva la cintura e cazzo mi colpiva di brutto e mi colpiva… e io mi sono ripromesso che quando avrei avuto dei figli non l’avrei mai fatto. Non volevo fare una cosa del genere ai miei… e non l’ho fatto… giusto?! Volevo essere un padre migliore, ma eccomi qui. Non sono migliore.

Ma ci hai provato…

Ci ho provato, è vero. L’ho soffocato con il calcio, pensavo l’avrebbe temprato… ma era un disastro completo e l’hanno voluto mettere in porta. E io me ne stavo là, a bordo campo, mentre gli altri padri lo prendevano in giro. Sentivo che lui mi guardava in quel momento, ma io non riuscivo a guardarlo. Io non riuscivo a guardare mio figlio. […] E poi l’ho portato a fare box, pensavo… credevo che lì avremmo fatto la differenza, ma è durato dieci minuti.

In questo scambio che intercorre tra Eddie e Manda (la madre di Jamie ndr), viene spiegato chiaramente quale sia il vero punto di tutta questa (brutta) faccenda. Riprendendo le parole del dottor Haidt i figli vengono lanciati all’interno dei social network, come se li mandassimo su un altro pianeta senza guida. E ciò dipende, prettamente, dal fatto che gli adulti di questi tempi si trovano a dover affrontare un cambio di paradigma che non sanno come gestire. Da una parte si vorrebbero distaccare dal modello autoritario di genitorialità che hanno appreso dalle vecchie generazioni, ma dall’altra non hanno ben chiaro quale debba essere il nuovo modello di riferimento, lasciando che i ragazzi si rinchiudano in quella stanza senza dialogare. In questo il ruolo dei padri è ancor più complesso, poiché devono staccarsi sia dal vecchio modello di genitorialità che dal vecchio modello di mascolinità. Nel passaggio riportato sopra, infatti, emerge come Eddie abbia sempre spinto Jamie verso attività notoriamente riconosciute come “maschili”, a suo dire per temprarlo, non capendo che il ragazzo aveva altre attitudini (il disegno ndr). Elaborare nuovi modelli di riferimento basati sul giusto mix tra autorevolezza e dialogo, riuscendo a svincolarsi da quei preconcetti di mascolinità che forzano gli uomini a doversi comportare secondo rigidissimi modelli di comportamento, è forse il vero messaggio rimasto nascosto all’interno della serie.

Se, infatti, la femminilità e i diversi role model femminili stanno evolvendo, anche grazie a un grande lavoro di cambiamento della rappresentazione femminile, ciò non è altrettanto vero per la mascolinità. Essa si basa su dei dettami, forse ancor più rigidi rispetto a quelli femminili, per cui qualunque comportamento non sia ritenuto sufficientemente virile, comporta la stigmatizzazione del soggetto in questione e la sua estromissione dal paradigma del binarismo di genere. Il pianto finale di Eddie può essere visto come un primo passo verso questa direzione. Rappresentare un uomo dall’aspetto così virile, mentre si strugge di dolore per la “perdita” del figlio, è di fondamentale importanza per iniziare a rappresentare anche gli uomini nella loro interezza e fragilità.

Conclusioni

Adolescence è la sicuramente la serie del momento, perchè butta sul piano del dibattito una serie di temi che stanno emergendo, ma che sono ancora troppo acerbi per essere discussi nella loro interezza. Nel farlo utilizza dei mezzi che le consentano di raggiungere il più ampio pubblico possibile (e.g. piano sequenza, parlare di incel e redpill), tuttavia rischiando di rimanere troppo in superficie. Anima la discussione, orientandola sui punti che più generano curiosità e lasciando il vero tema in piena vista, ma invisibilizzandolo. Un vero e proprio elefante nella stanza, rendendo forse questa la vera citazione a Elephant. La serie Adolescence merita di essere vista, ma credo si sarebbero potuti fornire maggiori strumenti per indirizzare il dibattito correttamente e dare maggior rilievo a quello che, credo fermamente, sia uno dei grandi temi dei nostri tempi.

Classificazione: 3 su 5.

Leggi anche: Elephant (2003) – Il massacro di Columbine da una prospettiva diversa