Talvolta è meglio essere morti“.

Il 23 Giugno 1989 arrivava nelle sale italiane Cimitero Vivente, tratto dal romanzo Pet Sematary di Stephen King. L’autore accettò di cedere i diritti del libro a due condizioni: che il film fosse girato nel Maine e che fosse lui stesso a curarne la sceneggiatura. La regia fu di Mary Lambert, che prima di allora aveva diretto solamente un lungometraggio. La pellicola merita ancora una visione al giorno d’oggi?

TRAMA

Il medico Louis Creed si trasferisce a Ludlow, nel Maine, con la moglie Rachel, i figli Ellie e Gage e il gatto Church. La casa è molto bella e il vicino, il signor Crandall, è un uomo espansivo e cortese. Insomma, ci sono tutti gli elementi per poter trascorrere una vita tranquilla e soddisfacente. Già dal primo giorno di lavoro, le cose prendono però una piega tragica. Louis non riesce infatti a salvare il giovane Victor Pascow, ferito gravemente in un incidente. Come se non bastasse, poco tempo dopo, Church viene investito da un camion. Louis non sa come (o se) rivelare ai figli della morte dell’adorato animale. In suo soccorso arriva Crandall, che conduce l’uomo in un terreno al di là di un piccolo cimitero per gli animali nelle vicinanze. Qui Louis seppellisce Church, che inspiegabilmente tornerà a casa poco tempo dopo. L’indole del gatto sembra tuttavia aver virato verso una spiccata aggressività, come se quello non fosse il tranquillo felino che la famiglia aveva imparato ad amare. Non passa molto tempo prima che si verifichi la vera tragedia: anche il piccolo Gage muore investito da un camion. Louis cade nella disperazione più assoluta, iniziando a pianificare di effettuare col corpo del figlio lo stesso processo messo in atto con quello di Church. A cosa può essere disposta una persona devastata per riavere i propri cari?

RECENSIONE

Prima di trattare gli aspetti legati alla trama, parliamo un po’ della pellicola dal punto di vista tecnico. La regia di Mary Lambert è, dal punto di vista dei movimenti di macchina e delle inquadrature, abbastanza standard. Non sono infatti presenti scene girate con particolare estro, preferendo uno stile funzionale a mettere in scena ogni passaggio con chiarezza. Va comunque dato atto alla Lambert di aver cercato il modo migliore per rappresentare in maniera realistica il camion che si avvicina a grande velocità al piccolo Gage. Non voleva infatti che venisse utilizzato un green screen né che, ovviamente, l’incolumità del giovane attore venisse messa a repentaglio. Si ricorse così ad un gioco di specchi, con ottimi risultati.

Fu poi la Lambert a convincere il direttore della fotografia Peter Stein ad unirsi alla troupe. Stein riuscì a bilanciare perfettamente i colori accesi delle (poche) scene felici con la fotografia spenta dei passaggi più cupi. Fu inoltre sua l’idea di utilizzare un piccolo fascio di luce per “illuminare” gli occhi del gatto Church dopo la resurrezione. Dal punto di vista attoriale, un punto debole è dato dalla recitazione di Dale Midkiff (Louis Creed), la cui mimica risulta in diverse scene poco convincente. Lo stesso discorso non può essere fatto per Fred Gwynne (Jud Crandall). Gwynne fu perfetto nel caratterizzare il proprio personaggio come un uomo buono che, pensando di agire nel migliore dei modi, dà inizio ad una spirale di eventi terribili. Pare che Gwynne avesse confessato di aver deciso di partecipare al film anche in virtù della morte, ad un solo anno di età, di uno dei suoi figli. Ottima è poi la recitazione di Brad Greenquist nel ruolo dello spirito di Victor Pascow. L’attore riuscì difatti ad alternare un leggero humor nero con un alone di solennità . Greenquist ha affermato che, avendo compreso la natura buona del personaggio, aveva decorato il proprio copione con immagini di angeli. E come non menzionare, infine, l’iconica interpretazione di Andrew Hubatsek nei panni di Zelda, la terrificante sorella di Rachel Creed.

Uno dei più grandi pregi di Cimitero Vivente sta nel lavoro a livello di makeup ed effetti visivi, ad opera di Dave Anderson e collaboratori. Non sono in verità molte le scene splatter ma, quando queste si presentano, sono sempre eccellenti. Pochi horror degli anni ’80 possono vantare effetti così realistici, quasi fastidiosi (chi ha già visto il film, si starà grattando un tallone). Eliott Goldenthal ha composto, per i titoli di testa, un tema azzeccato ma non molto memorabile. A farla da padrone è il brano che si sente durante i titoli di coda, “Pet Sematary” dei Ramones. Il gruppo fu contattato dallo stesso Stephen King, loro grande fan, e scrisse il testo della canzone in brevissimo tempo.

Come già accennato, fu lo stesso King ad occuparsi della sceneggiatura. Per questo motivo, le modifiche rispetto alla controparte cartacea sono poche e abbastanza irrilevanti. Si può quindi trattare la trama di film e libro allo stesso modo. Sia la pellicola che il romanzo trasmettono un crescente senso di tristezza e disperazione. L’autore stesso ha affermato che Pet Sematary sia stata l’unica sua opera “ad averlo veramente spaventato”. Nel film, il tema della morte la fa da padrone fin dai titoli di testa, che ci presentano il cimitero degli animali a cui il titolo fa riferimento.

In generale possiamo dire che la storia vada a riprendere il motivo ricorrente dei limiti dell’essere umano e delle conseguenze di un loro superamento. Non a caso, il terreno capace di far risorgere persone ed animali si trova oltre il cimitero degli animali e al di là di una barriera di rami. La metafora è molto chiara: quando ci si spinge oltre il nostri limiti (il cimitero, simbolo della mortalità) le conseguenze possono essere tragiche. In molti considerano questa storia come una delle più pessimistiche tra quelle concepite da King. Ad una prima visione (o lettura) ciò può sembrare vero, ma non è del tutto così. Coloro che vengono seppelliti nel territorio al di là del pet sematary tornano indietro non più in possesso della propria anima. La lettura del romanzo ci permette di intuire che tali anime siano quelle di entità malefiche legate alla tradizione dei nativi americani (in particolare, si cita il Wendigo). E’ facile quindi ipotizzare che le anime delle persone di fatto muoiano con la morte del corpo e che l’opera ci stia dicendo “rassegnati e goditi la vita finché puoi, dopo non c’è nulla”. Eppure in molti trascurano la figura di Pascow, spirito buono che cerca di aiutare Louis. Pascow decide di aiutare il protagonista poiché egli ha cercato di salvarlo, essendo peraltro presente nel momento in cui l’anima del giovane ha lasciato il corpo terreno. Nel mondo di Cimitero Vivente quindi le anime sopravvivono alla morte del corpo, non scompaiono definitivamente. Ciò su cui la storia vuole concentrarsi è il vano tentativo di andare oltre l’ordine naturale delle cose. In altre parole possiamo dire che basta avere pazienza e, prima o poi, ci ricongiungeremo coi nostri cari. Alla luce di questa analisi, la storia assume un significato diverso. Senza dubbio siamo di fronte ad un film triste, a tratti angosciante, ma non pessimistico.

Quindi, per tornare alla domanda iniziale, Cimitero Vivente merita una visione anche al giorno d’oggi? Senza dubbio sì. Se voleste sapere qualcosa di più sulla realizzazione della pellicola, nel 2015 è stato realizzato il documentario “Unearthed & Untold: The Path to Pet Sematary”.

Classificazione: 3.5 su 5.