Era il 3 gennaio del 1997 quando nei cinema italiani arrivò un film a tema vampiri diverso dal solito, un film in cui i nostri amati succhia sangue entrano in scena addirittura solo verso la metà dei suoi 108 minuti, cambiando volto a un poliziesco road movie sopra le righe e trasformandolo in un horror home invasion sui generis. Ovviamente sto parlando di Dal tramonto all’alba (1996).

TRAMA

I fratelli Seth e Richard Geko, spietata coppia di rapinatori, sono in fuga braccati dalla polizia dopo una rapina finita male. Loro unica speranza di salvezza è arrivare in Messico e raggiungere il Titty Twister, locale per camionisti e spogliarelliste. Per farlo prenderanno in ostaggio la famiglia Fuller, composta dall’ex pastore Jacob e dai fratello e sorella Scott e Kate, in viaggio sul loro camper. Ma il tanto agognato luogo di salvezza potrebbe rivelarsi una diabolica trappola mortale.

KURTZMAN, TARANTINO, RODRIGUEZ

Erano i tempi del liceo quando un adolescente Quentin Tarantino decise di scrivere la sceneggiatura di un film che fondesse il poliziesco all’horror. Da un lato c’era il potente influsso esercitato da un capolavoro come il Getaway! di Sam Peckinpah, dall’altro il desiderio di girare un horror come Distretto 13 di John Carpenter o Zombi di George Romero. Tale sceneggiatura rimase però una semplice bozza fino ai tempi di Le Iene, esordio di Tarantino alla regia, quando il buon vecchio Quentin decise di rimettere mano a quella vecchia idea facendosi aiutare dall’amico Robert Kurtzman (i due collaboreranno anche in Pulp Fiction, con Kurtzman nel ruolo di truccatore). Fu in quel mentre che la sceneggiatura di Dal tramonto all’alba prese definitivamente forma, finendo però comunque in un cassetto. Era il 1992, due anni dopo Tarantino avrebbe girato Pulp Fiction consacrandosi come nuovo messia del cinema americano ma sarebbero passati altri tre anni prima di un nuovo lungometraggio. Infatti, escluso l’episodio The Man from Hollywood dell’antologico Four Rooms, Tarantino decise di prendersi una pausa da dietro la macchina da presa.

Eppure quella sceneggiatura, fatta di criminali in fuga e mostruosi vampiri, bruciava ancora dalla voglia di prendere vita. Ma a chi farla dirigere? Inizialmente il duo Kurtzman/Tarantino aveva provato a vendere il copione a gente come Oliver Stone o Tony Scott (che sì, sui copioni di Tarantino avevano già lavorato con successo) per poi pensare persino a Michele Soavi, ma fu Robert Rodriguez ad accettare la proposta. In effetti Robert e Quentin avevano già deciso di mettere in cantiere un horror movie con il primo nelle vesti di regista e il secondo in quelle di sceneggiatore. Fu naturale quindi per Tarantino proporre all’amico Dal tramonto all’alba con la clausola di avere per sé uno dei ruoli forse più malati dell’intero lungometraggio: quello dello psicopatico Richard Geko. Il ruolo di Seth invece, vero protagonista della pellicola, andò dopo una serie di rifiuti (tra i tanti quello di John Travolta, Steve Buscemi e Michael Madsen, che con Tarantino avevano già lavorato in Le Iene e Pulp Fiction) a George Clooney, all’epoca conosciuto soltanto per la fortunata serie med E.R. – Medici in prima linea, mentre il ruolo del co-protagonista Pastore Jacob fu affidato ad un altro attore feticcio di Tarantino, Harvey Keitel. E Kurtzman? Beh, Robert Kurtzman venne accreditato come autore del soggetto e produttore.

UN FILM, DUE ANIME

Dal tramonto all’alba fu distribuito negli Stati Uniti il 19 gennaio 1996. Solo nella prima settimana di proiezione incassò più di 10 milioni di dollari. Questo nonostante i contenuti estremamente violenti che valsero persino la censura di alcuni elementi, come il sangue dei vampiri che nella prima edizione del film fu verde piuttosto che rosso.

In effetti il film diretto da Rodriguez parte come un thriller-poliziesco estremamente violento per poi diventare un altrettanto violento horror-splatter con un colpo di coda che oggi magari non sorprenderebbe, ma che in piena metà anni ’90 si rivelò una novità non da poco ricordando più un guizzo da romanzo alla Stephen King che qualunque altra cosa fosse possibile guardare nei cinema dell’epoca. Infatti Dal tramonto all’alba, nel passaggio tra primo e secondo tempo, diviene tutt’altro film, rinunciando (psicologicamente e fisicamente) ad alcuni personaggi per accoglierne altri, senza contare l’orda di vampiri assetati di sangue che come i morti viventi di romeriana memoria o i demoni dell’omonimo film (amato da Tarantino) di Lamberto Bava, assediano i nostri nella peggior bettola sul confine messicano. E se i toni cupi e malati della prima parte immergono lo spettatore in un incubo on the road abbastanza nero, si fa indigestione di grottesco e ironia nella seconda insieme a una buona dose di mutazioni fisiche e interiora sparse sullo sporco pavimento del Titty Twister, comprese quelle di una Salma Hayek che mai è stata o sarà più tanto sensuale.

Lo stacco netto evidentemente però funziona ancora adesso, sarebbe difficile tutt’oggi aspettarsi una cosa del genere fruendo del film senza saperne nulla, ma forse la cosa più sorprendente resta il perfetto connubio tra il solido stile visivo di Rodriguez e la freschissima verve dello script di Tarantino, inclusi i dialoghi marchio di fabbrica del regista pulp per eccellenza.

Eppure, al di là del successo e degli evidenti pregi di un film che si è guadagnato un sequel (pessimo), un prequel (più che pessimo) e una serie TV, la critica sollevò su Dal tramonto all’alba alcune perplessità, in parte perché non si aspettava un film del genere dalla penna del regista di Pulp Fiction, in parte per la prova attoriale estremamente sopra le righe dello stesso. Per non parlare della performance di Clooney che non convinse nessuno, non tanto per le sue indubbie capacità attoriali quanto per un ruolo da “sporco, cattivo e dannato” che gli si addice poco. In effetti Clooney prova a metterci del suo ma manca completamente di fisic du role, apparendo costantemente fuori parte. Molto meglio invece l’interpretazione di Harvey Keitel, credibile e solida, o quella di una Juliette Lewis che nonostante l’età (all’epoca aveva circa 22 anni) si immedesima perfettamente nel ruolo dell’adolescente Kate Fuller.

Due anime per lo stesso film o, addirittura, due film in uno frutto della creatività di due artisti che, per quanto diversi, si rivelarono fin da subito complementari. Un’anima pulp e hard boiled da un lato, una da horror b-movie dall’altra, che si susseguono e si passano il testimone perturbando prima e intrattenendo poi, senza perdere mai la scanzonata ironia che contraddistingue il progetto.

QUASI 30 ANNI E NON SENTIRLI

A quasi ventinove anni di distanza dall’uscita americana (e a ventotto dall’uscita nelle sale italiane) Dal tramonto all’alba non risente per nulla del tempo trascorso. Non saranno di certo gli effetti speciali artigianali a farlo percepire come “vecchio” perché il divertimento che serve su un piatto d’argento è ancora vivo e attuale. Di certo però non bisogna porsi nei suoi confronti aspettandosi un horror serio o un comune film d’intrattenimento. Dal tramonto all’alba è opera folle, sopra le righe, che se ne infischia di ciò che lo spettatore medio si aspetta. Si percepisce bene lo spirito adolescenziale che l’ha ideato, forse addirittura desiderato, e si percepisce perfettamente lo stile di uno dei più affermati registi (e sceneggiatori) del nostro tempo ma all’epoca ancora trentenne e fresco. Come si percepisce la mano di un regista come Rodriguez, ancora lontano dagli influssi hollywoodiani e quindi libero di osare e impostare formalmente e tecnicamente una storia come quella scritta dall’amico Quentin. Ci vollero circa dieci anni per rivedere qualcosa di simile partorito dalla follia di questo incredibile duo (Planet Terror, 2007).

Dal tramonto all’alba ha nel suo arco altre incredibili frecce, a partire dalla colonna sonora curata in parte da artisti del calibro di ZZ Top e Tito & Tarantula per arrivare agli effetti visivi e al trucco di Rodriguez stesso e Gregory Nicotero per la sua Kurtzman Nicotero & Berger EFX Group Inc..

Si cita il cinema di cassetta, la blaxploitation, il trash horror e i b-movie, si miscela il tutto con lo stile personale dei due personaggi coinvolti, si inseriscono cameo come quelli di Tom Savini, Danny Trejo o Cheech Marin e il risultato è una delle pellicole più fresche che mai capiterà di produrre negli anni a venire. E questo, da un certo punto di vista, è anche un gran peccato.

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