Dellamorte Dellamore è un film del 1994 tratto dall’omonimo romanzo di Tiziano Sclavi pubblicato nel 1991 ma scritto intorno al 1983, libro da cui nacque il fumetto di Dylan Dog. La pellicola è incentrata sulla storia di Francesco Dellamorte, interpretato da Rupert Everett, la cui fisionomia aveva ispirato proprio quella dell’investigatore dell’incubo. Insomma, Everett finisce per interpretare un personaggio antenato di Dylan Dog, quel Dylan Dog che nei tratti era stato modellato proprio su di lui. Il regista è Michele Soavi (anche autore della sceneggiatura insieme a Gianni Romoli), che poteva vantare già collaborazioni con Lamberto Bava – come aiuto regista – e con Dario Argento per La chiesa (1989) e La setta (1991).

Rupert Everett nei panni di Francesco Dellamorte.

La trama

Ricostruire la trama di Dellamorte Dellamore è difficile, così com’è stato difficile per gli autori scrivere una sceneggiatura partendo da un romanzo costituito da frammenti e immagini cucite insieme. La sfida stava anche nel non cadere in gag da fumetto, mantenendo allo stesso tempo un tono umoristico: il risultato è un film che si muove tra il dramma, la commedia e l’orrore, senza scivolare in nessuna delle categorie, ma che è riuscito a conquistare proprio grazie al suo ibridismo. Proviamo comunque a ricostruire, a grandi linee, gli eventi del film.

Francesco Dellamorte lavora come becchino nel cimitero della cittadina di Buffalora insieme a Gnaghi (François Hadji-Lazaro), un uomo adulto ma bambinone che si esprime solo attraverso degli “gna”. Solitario e pessimista, Francesco passa le sue giornate a costruire un modellino di un teschio, che non riesce mai a terminare, e a leggere l’elenco del telefono, dal quale depenna i nomi dei morti che giungono al suo cimitero. Ha un rapporto d’amicizia con un solo vivo, Franco, che gli telefona spesso; per il resto, la sua vita è incentrata sulla morte e sui morti dato che, per motivi sconosciuti, i cadaveri seppelliti tornano in vita. Per eliminare definitivamente questi ritornanti, Francesco e Gnaghi sono costretti a colpirli al cervello. La vita routinaria ma comunque oberata di lavoro di Francesco viene scossa dall’arrivo al cimitero di una bellissima vedova (Anna Falchi), di cui l’uomo si innamora immediatamente. Alla loro relazione, stroncata sul nascere, seguiranno una serie di eventi tra cui morti violente di ragazzini, un ciclo di reincarnazioni della bellissima donna e la caduta di Francesco in un abisso di inettitudine, fino al suggestivo epilogo.

 I personaggi: Francesco Dellamorte

Mi chiamo Francesco Dellamorte. Nome buffo, no? Ho anche pensato di farmelo cambiare, all’anagrafe. Andrea Dellamorte sarebbe molto meglio, per esempio.

Cinico e affascinante, Francesco è l’anti-eroe delle vicende narrate. Non ha mai terminato il liceo, nonostante dica di essere laureato in biologia e nonostante i suoi concittadini lo chiamino “ragioniere”, né riesce a portare a termine la costruzione del già citato modellino di teschio: Francesco è un inetto, la cui vita è scandita da lapsus e “atti mancati” freudiani, intrappolato in un’esistenza monotona che nulla riesce a smuovere, né eventi esterni, né lo stesso Francesco quando decide di fare finalmente qualcosa. Questo qualcosa consiste nell’uccidere non solo i ritornanti, ma anche i vivi: in fondo, qual è la differenza? Non finiranno comunque tutti al cimitero, gli abitanti di Buffalora, prima o poi? Tanto vale portarsi avanti col lavoro, pensa Francesco. Ma, anche quando viene colto in flagrante, il becchino non viene incriminato e ad assumersi il merito dei delitti ci pensa Franco. Altamente suggestiva è la scena in cui Francesco fa visita a Franco in ospedale, in cui assistiamo allo sfaldarsi del suo mondo e dell’ultimo frammento rimasto della sua identità.

Gnaghi

La spalla di Francesco, come già accennato, è Gnaghi, un omone incapace di comunicare ed esprimersi in maniera articolata. Adottando una chiave di lettura shakespeariana, Gnaghi è in parte il fool, un personaggio di estrazione popolare che, attraverso le sue parole, riesce a instillare dubbi nei personaggi principali. Gnaghi però non parla, e la sua condizione di fool sembrerebbe quasi quella di Amleto che si finge incapace di intendere perché è solo così che si può dire e fare tutto ciò che si vuole. Seguendo sempre lo schema del grande drammaturgo inglese, Gnaghi vive una trama parallela a quella del protagonista Francesco: lavora anch’egli nel cimitero e, dopo che Francesco si è innamorato e ha perduto la sua donna, anche Gnaghi si innamorerà e perderà a sua volta l’amata (anche se, per un po’ di tempo, riuscirà ad ovviare al problema dissotterrando e tenendo con sé la testa della ragazza).

Lei

Il personaggio interpretato da Anna Falchi, che prima ho indicato come vedova, in realtà non ha un nome, ma viene indicato come Lei. Il motivo è semplicemente che Lei incarna l’archetipo della donna nelle sue tre declinazioni: la moglie (poi vedova), la casta e la prostituta-ingannatrice… e ovviamente non è mancata l’accusa di misoginia. Mi piacerebbe soffermarmi maggiormente sulla seconda entrata in scena di questo personaggio femminile dietro il ruolo di segretaria del nuovo sindaco di Buffalora. Si tratta di una donna – “casta” – fobica dei rapporti sessuali e che crede Francesco possa essere l’amante perfetto, conoscendo la voce che circola circa l’impotenza dell’uomo. La questione della presunta impotenza del protagonista produce equivoci e situazioni ai limiti del grottesco, ma la cosa che ci interessa ora è che dopo appena un giorno, la segretaria dice a Francesco di essere “guarita” in seguito ad uno stupro. La donna appare contenta ma rivela a Francesco di non poter più stare con lui, avendo deciso di sposare proprio il suo stupratore. Una scena farcita di humor nero e che non può non risultare altamente ironica e caustica, considerando quanto nel nostro paese fosse comune il cosiddetto “matrimonio riparatore”.

Il finale

Il finale del romanzo non lascia spazio alle interpretazioni, essendo un trionfo del pessimismo e dell’immobilismo, mentre il finale del film risulta più aperto. Dopo i delitti, Francesco e Gnaghi fuggono in auto da Buffalora, curiosi anche di vedere il resto del mondo, solo per rendersi conto che “il resto del mondo” in realtà non esiste. La strada, infatti, non porta da nessuna parte e Dellamorte è costretto a frenare, ferendo gravemente Gnaghi. Sul burrone alla fine della strada, Francesco sta per sparare a Gnaghi per evitare che ritorni, convinto di averlo ucciso; ma Gnaghi afferra e butta via la pistola prima di domandare a Francesco “mi riporti a casa?”. Dellamorte risponde con un semplice “gna”. I ruoli dei due personaggi si sgretolano e, mentre Gnaghi sorprendentemente parla, a Francesco non resta più nulla da dire: la pistola è lo strumento che Francesco aveva utilizzato per comunicare, ciò che gli aveva permesso di creare il suo quadro di morte e, perdendola, ha ormai perduto tutto. Gnaghi però chiede di ritornare indietro, di tornare a casa e tornare nei loro ruoli, così da poter indossare nuovamente i panni del fool in cui si trovava così bene.

Dellamorte Dellamore è un vero gioiello non solo per la sceneggiatura e la regia, ma anche per la macabra atmosfera, gli effetti speciali – a cura di Sergio Stivaletti – e le splendide scenografie che valsero al film un David di Donatello e un Ciak d’oro (indimenticabile, oltre al cimitero in sé, è l’ossario). Ricco di riferimenti artistici e letterari, questo cult non smette ancora oggi di suggestionare e rapire chiunque metta piede nella statica cittadina di Buffalora per guardare più da vicino la vita del suo becchino, il quale mai capirà la differenza tra la vita e la morte.

La morte! La morte! La morte che arriva!
La morte schifosa, la morte lasciva,
la morte che vola, la morte normale,
che cela del mondo pietosa ogni male,
la morte che vive, la vita che muore,
la morte, la morte, la morte e l'amore
che aspettano insieme in grande giudizio,
e non hanno mai fine, non hanno mai inizio.

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