Quasi 100 anni fa usciva uno dei capostipiti del cinema contemporaneo: Faust, eine deutsche Volkssage, diretto da Friedrich Wilhelm Murnau. Un capolavoro senza tempo, capace di raccontare ancora qualcosa sull’animo umano.

Trama

Mefistofele (Emil Jannings) sta distruggendo il mondo con piaghe, guerre e dolore. Per dimostrare la sua egemonia sulla Terra, scommette con l’Arcangelo Gabriele (Werner Fuetterer), grande estimatore delle qualità umane, di riuscire a dimostrare che ogni uomo è corruttibile, compreso l’integerrimo dottor Faust (Gösta Ekman), alchimista ed esperto in varie scienze. I due, quindi, stringono un patto: qualora Mefistofele riuscisse a corrompere l’anima di Faust, avrebbe acquisito potere su tutta la Terra, diventandone il dominatore.

Recensione

Parlare del Faust di Murnau è un’impresa erculea. Perchè non si sta commentando solo la storia del cinema, ma anche la storia della letteratura, della pittura e del teatro. L’analisi di un’opera del genere necessiterebbe un libro per essere affrontata nella sua interezza. Ovviamente questo non è né il luogo né lo spazio adatto per un approfondimento del genere. Tuttavia cercheremo di condurvi all’interno dell’analisi di una delle opere più potenti dell’intera storia della filmografia, dimostrando come un film di ormai cento anni fa, riesca a parlare dell’uomo di ieri, di oggi e, probabilmente, del futuro.

F.W. Murnau: tra espressionismo e Kammerspiel

F.W. Murnau, pseudonimo di Friedrich Wilhelm Plumpe, nasce a Bielefeld in Germania nel 1888. Figlio di una famiglia benestante, dopo essere partito al fronte per combattere la prima guerra mondiale, tornerà a Berlino, iniziando la sua brillante carriera registica. Spesso identificato come uno dei maggiori esponenti dell’espressionismo tedesco, in realtà attinge a piene mani tanto dall’espressionismo quanto dal Kammerspiel, creando uno stile personale inimitabile. Lo stesso Faust è scritto seguendo queste due grandi correnti: partendo dagli stilemi tipici dell’espressionismo tedesco (i.e. tematiche soprannaturali, mostruosità, ombre e creature del male), ne cambia le modalità di rappresentazione, passando dalla staticità, tipica di tale genere (i.e. inquadrature fisse, montaggio ridotto e assenza di movimenti di camera), a modalità più dinamiche, segno distintivo del Kammerspiel. Come ben spiegato dal celeberrimo critico cinematografico Paolo Mereghetti nel suo Dizionario dei Film (edizione 2021): “gli scenografi spezzano il medesimo ambiente in più piani secondo le necessità di ripresa; il direttore della fotografia (Carl Hoffmann) sperimenta una gamma vastissima di luci e ombre, creando all’interno di ogni inquadratura una plasticità dinamica, imprevedibile”. La camera da presa è tutt’altro che statica, seguendo i personaggi nelle varie peripezie. In modo del tutto innovativo per l’epoca, Murnau allarga lo spazio di ripresa, riuscendo a mettere in scena il viaggio nello spazio e nel tempo che Mefistofele consente al Faust del mito[1].

Il mito del Faust: tra reale e leggenda

Il mito del Faust compare per la prima volta nel 1587 all’interno di un testo anonimo dal titolo L’Historia von Doktor Johann Fausten, pubblicato da Johann Spies. Apparentemente ispirato ad una figura realmente esistita di Georg (o Johann) Faust (1480-1540 ca), medico, filosofo, astrologo ed esperto in arti magiche [1][2], il Faust incarna l’archetipo dell’essere umano disposto a tutto pur di raggiungere la piena conoscenza, finanche vendere l’anima al diavolo. D’altronde la condanna morale inflitta agli uomini e alle donne che cercano di andare oltre i limiti del sapere, è ben radicata all’interno della cultura cristiano-cattolica. Dante, tra i primi, ha condannato Ulisse all’eterno dolore per aver sfidato i limiti della umana conoscenza. Così anche nella sua prima versione, il mito del Faust è intriso di un tono di biasimo verso l’uomo che dedica la sua vita alla sapienza. Con intento chiaramente moralizzante, il Faust della prima presentazione viene brutalmente punito per la sua superbia e la sua anima condannata. Il mito è stato, poi, più volte rimaneggiato e ripresentato con modifiche in linea con l’avanzare dei tempi.

La seconda versione del mito (1592), infatti, ad opera del drammaturgo inglese Christopher Marlowe, racconta una storia più complessa, con un Mefistofele intento ad indagare la sua natura demoniaca e un Faust più dettagliato a livello psicologico. Tuttavia, anche in questo caso l’ambizione e il desiderio di conoscenza dell’alchimista vengono cassate, mantenendo quel biasimo morale, che ancora non consentiva all’essere umano di volgere lo sguardo al di fuori del Giardino dell’Eden (Ricordate la storia di Adamo ed Eva e dell’albero della conoscenza? ndr).

La versione di Goethe, un’opera teatrale in due atti, è immersa totalmente nella corrente letteraria del romanticismo. Estremamente simile alla versione cinematografica messa in scena da F.W. Murnau, racconta di un Faust tormentato, incapace di cogliere il senso della vita e la vera felicità. Sarà l’amore per la bella Margherita (Gretchen) a salvare la sua anima dalla dannazione eterna.

Benchè le tre versioni cerchino di dettagliare diversamente la figura del Faust, non riescono ad andare oltre i limiti dei propri tempi, biasimando la sete di conoscenza dell’essere umano. Se, nelle prime due versioni, Faust viene condannato alla pena eterna, nell’ultima viene graziato, ma non perché un Dio si ravvede e gli consente di accedere alla sapienza, ma piuttosto per l’amore di una donna. Un femminile “sacro” che, come la Beatrice di Dante, ne guida i passi e ne consente l’accesso al Paradiso.

Il Faust di Murnau

La versione del Faust proposta da F.W. Murnau è un’opera shakespeariana, un connubio tra la versione di Marlowe e quella di Goethe. Radicata nelle radici tedesche del mito (eine deutsche Volkssage significa un racconto popolare tedesco, ndr), Faust viene caratterizzato dalle sembianze e dalle movenze dell’uomo del sapere, ma intriso di una innata predisposizione verso la bontà e la carità umana. Nelle prime sequenze del film, infatti, lo vediamo nel vano tentativo di salvare la sua cittadina dalla peste (portata dallo stesso Mefistofele). Bruciando, fisicamente e metaforicamente, la Bibbia, incapace di guarire le persone, Faust la vede trasformarsi in un libro infernale, un precursore del Necronomicon capace di evocare Mefistofele. Spinto dal desiderio di apprendere nuove tecniche di cura, Faust invoca Mefisto, il quale cercherà di corromperne l’anima pura. Murnau si distacca dal moralismo delle versioni letterarie, descrivendo un uomo probo, che cade nelle tentazioni di un perfido (quanto simpatico) Mefisto. Il distacco si avverte anche nei desideri di Faust. Benché, all’inizio, esso sia tentato dalla ricerca della conoscenza, è la carnalità a guidare le sue scelte. La duchessa di Parma prima, Margherita (Gretchen) poi, sono le donne a indirizzare i passi di Faust, riprendendo l’archetipo del desiderio dionisiaco Nietzschiano[3].

Il doppio Faust

Uno dei temi principali del Faust di Murnau è il concetto di doppio. Come evidenziato anche da Paolo Mereghetti, Faust incarna in sé la dicotomia tra Bene e Male, tra sacro e profano, tra mente e corpo. Faust, come già detto, è un uomo buono che cerca, prima attraverso la fede e poi attraverso il demoniaco, di salvare la sua comunità. E’ l’uomo che desidera essere giovane, ma tiene in sé l’anima di un vecchio. Desidera viaggiare, vedere il mondo eppure il suo cuore soffre della distanza e desidera tornare a casa. Cerca la carnalità, anche con la bella Margherita (Camilla Horn), ma è la sua purezza di cuore a rapirlo prima e a salvarlo poi. Ancora una volta, riprendendo la dicotomia Nietzschiana, Faust è apollineo e dionisiaco, è in lotta con il Padre “castrante” e il Mefistofele seduttore[3]. Faust è uno, nessuno e tutti noi. La sua dicotomia, la sua ambivalenza sono l’incarnazione stessa dell’animo umano che vuole essere tutto e niente, rendendo il Faust in generale e quello di Murnau in particolare, un’opera estremamente contemporanea.

L’eterna lotta tra il Bene e il Male (sviluppata attraverso altri temi come il rapporto tra scienza e magia, la volontà d’onnipotenza e la caduta inevitabile, lo sdoppiamento e la riunificazione dell’essere) in questo Faust vibra con un’intensità mai più raggiunta negli adattamenti cinematografici successivi.

Paolo Mereghetti, Dizionario dei film (Edizione 2021)

Faust: uomo di ogni tempo

Faust di Murnau non è solo una rivisitazione, ben riuscita, di un vecchio mito, ma la rielaborazione e analisi dei desideri umani, della melancolia che attanaglia l’uomo di ogni tempo. Il dottor Faust, infatti, dopo aver accettato il patto che gli viene proposto da Mefistofele, sperimenta tutti i piaceri che la vita ha da offrirgli. Diventa giovane, diventa un principe, incontra la duchessa di Parma (con cui ha una liaison), viaggia, conosce, impara. Eppure non riesce a provare soddisfazione, a trovare il pieno completamento di se stesso. Murnau decide di dare un taglio romantico alla vicenda, facendo ritrovare a Faust una parvenza di felicità nel ritorno a casa e nell’incontro con la bella Margherita (Gretchen). Eppure Faust è l’uomo di ieri, ma è anche l’uomo di oggi. Nell’era dell’intelligenza artificiale, della nuova corsa allo spazio, dei social network, Faust è qui insieme a noi. Disposti a tutto per il progresso, la sete di conoscenza ci porta e ci ha portato in un mondo alienato ed alienante, dove possiamo avere tutto eppure ci sentiamo sempre più soli, sempre più insoddisfatti, sempre più distanti. I social network, in particolare, iperstimolano i nostri centri nervosi, aprendoci ad un ventaglio di possibilità, di realtà e di desideri che mai avremmo pensato di vedere, recepire, bramare. E tutto ciò non fa altro che renderci più melancolici, più ansiosi. Faust di Murnau è un film di cento anni fa, e un mito che di anni ne ha quasi 600, eppure ci dimostra che la natura dell’uomo è immutabile e i problemi di ieri, sono quelli di oggi e di domani.

Margherita (Gretchen) alias la rivisitazione della Vergine

Un ruolo centrale, nel film di Murnau, è ricoperto dalle figure femminili, veri motori delle scelte prese da Faust. Se la Duchessa di Parma incarna la bellezza e il desiderio sessuale a cui è impossibile resistere, Margherita (Gretchen) è il femminile che permette l’ascensione al Paradiso. Bella e pura come una Madonna, Margherita si lascia tentare dalle avances di Faust e si concede a lui, rimanendo incinta. Vittima di una società bigotta, verrà punita per non aver soffocato i propri istinti. Anche in questo caso, è eloquente notare come Murnau abbia descritto un retaggio culturale ancora ben radicato nella nostra società. Sebbene tanti passi avanti sono stati fatti, la sessualità e la libertà femminile vengono ancora puniti severamente. In questo, Murnau fa un atto di redenzione, facendo ascendere Margherita (Gretchen) e tutto il genere femminile allo status di salvatrici. Faust, condannato alla dannazione eterna, verrà salvato dall’amore che prova per Margherita e che è da lei corrisposto. Murnau decostruisce la versione verginale e immacolata della Madonna cristiana, santificando una Maddalena.

Conclusioni

Faust, eine deutsche Volkssage di F.W. Murnau non è solo un capolavoro del cinema, una di quelle pellicole che ha fatto la storia, ma anche un’opera senza tempo, capace di incantare cinefili di ogni target. Recuperabile gratuitamente su diversi canali YouTube, è una visione necessaria per comprendere pienamente la potenza del cinema.

Classificazione: 5 su 5.