La saga di Final Destination, con le sue morti spettacolari e talmente assurde da risultare divertenti, ha sicuramente segnato una generazione. Il primo film, uscito nel 2000, si pone perfettamente in linea con la produzione cinematografica di quegli anni, risultando però allo stesso tempo anticipatore di altre tendenze. Il capostipite ha un’impostazione da slasher sovrannaturale con un protagonista adolescente di nome Alex (Devon Sawa) che, dopo una premonizione in cui vede morire i suoi compagni di classe in un incidente aereo, proverà a salvarli e ad anticipare le mosse della Morte. Dopo 14 anni dall’ultimo film, la Morte è tornata. Final Destination Bloodlines, sesto capitolo della saga definito pre-sequel, ci porta alla scoperta della prima premonizione e alle sue conseguenze sul presente.

Trama
Stefani (Kaitlyn Santa Juana) è una studentessa del college tormentata da un sogno ricorrente in cui assiste alla tragedia provocata dal collasso di un ristorante sospeso su una torre negli anni ‘60. La protagonista del sogno è una ragazza di nome Iris Campbell (Brec Bassinger), la quale vede morire centinaia di persone, incluso il fidanzato, prima di rimanere uccisa a sua volta. Stefani, scioccata dal fatto che quello sia lo stesso nome della nonna materna con cui non ha mai avuto contatti, decide di tornare a casa per rintracciarla e capire quale sia il significato di questo orribile incubo.
Riproposizione della formula classica
La sequenza di apertura del film, corrispondente alla premonizione di Iris, è una delle più belle – se non addirittura la più bella – dell’intera saga. Tutto è coreografato alla perfezione, con addirittura la presenza di una stuntwoman 71enne, Yvette Ferguson, che viene data alle fiamme. Oltre alla spettacolarità, non ci si dimentica del contesto e dei personaggi che, con poche pennellate, risultano vivissimi. Iris e il fidanzato Paul appaiono come la coppia perfetta e ricca di speranze. Sono due innamorati giovani e in procinto di mettere su famiglia, con pochi soldi in tasca ma con tutto ciò che conta davvero. Non sono poveri ma vengono dai sobborghi e in quel ristorante di lusso che, simbolicamente, si trova molto, troppo in alto, sono fuori posto.

La storia, però, non è quella di Iris. O meglio, lei è parte di essa, ma è il tempo di passare il testimone. Quello a cui assistiamo, infatti, non è la premonizione di Iris ma il sogno di Stefani. Si tratta della rielaborazione interessante di una formula che gli spettatori hanno imparato a conoscere. Essa sottolinea lo stretto rapporto tra passato e presente: il nostro destino, le nostre decisioni, non riguardano solo noi, ma anche le persone che decidiamo di mettere al mondo. Stefani viene presa di mira perché lei, sua madre, suo zio, suo fratello e i suoi cugini non sarebbero mai dovuti esistere. A livello (meta)narrativo, inoltre, è anche un modo per riflettere sulla saga stessa, sui suoi meccanismi e sul concetto di legacy.

La famiglia è tutto
Final Destination Bloodlines – ed è indicato già nel titolo – si fonda sulla famiglia e sulla loro storia. I personaggi e, soprattutto, le relazioni esistenti tra questi, sono costruite in modo tale da farti fare il tifo per loro. L’affetto che provano l’uno per l’altro, al netto delle problematiche che ogni famiglia ha, è genuino e non manca assolutamente la fiducia. La lotta che i personaggi mettono in scena contro il proprio destino diventa quindi coinvolgente. Quando partono alla ricerca di una soluzione, lo spettatore salta a bordo con la speranza che loro ci riescano davvero. Il concetto di famiglia presentato nel film, però, benché la genetica sia una grossa componente, parrebbe andare oltre i “legami di sangue”. Lo fa sempre in maniera ironica e beffarda, perché di Final Destination stiamo parlando. Ma il discorso c’è, e il sorriso suscitato è molto amaro – sarà anche che io mi commuovo per le cose più strane.

Insieme, in viaggio
La saga di Final Destination ci ha insegnato che la morte è ovunque, che se le sfuggi tornerà a prenderti, che la si può allontanare solo per un periodo di tempo limitato. Questo franchise, in altre parole, tratta della più grossa paura esistente e ci offre la possibilità di esorcizzarla con la risata (e quest’anno l’horror ce l’ha detto anche con l’ottimo The Monkey). In Final Destination Bloodlines ci sono un piano e delle tattiche da mettere in campo che ci danno l’illusione di essere padroni del nostro destino. Le morti violente e assurde, però, ci ricordano che tutti dobbiamo raggiungere la “destinazione finale” prima o poi. Il massimo che possiamo fare è goderci il viaggio. Questo messaggio è affidato alle parole del personaggio interpretato da Tony Todd, cui viene data una backstory che ci fa comprendere meglio il suo ruolo all’interno di questo universo narrativo. Todd, nella sua ultima apparizione prima della scomparsa avvenuta il 6 novembre 2024, ha improvvisato l’ultima scena del suo personaggio. Il risultato è un commovente invito all’accettazione della morte come parte della vita.

Cast e crew
Final Destination Bloodlines è diretto da Zach Lipovsky e Adam Stein, un duo che non ha moltissima esperienza nell’horror (a segnarne il debutto, il film Freaks del 2019) ma che è stato selezionato tra oltre 200 candidati. A convincere la New Line Cinema è stata una videochiamata in cui i due hanno inscenato la loro morte in stile Final Destination, dimostrando il loro entusiasmo e la loro fedeltà al brand. Alla sceneggiatura ci sono Lori Evans Taylor, che lavora maggiormente come produttrice, e Guy Busick, collaboratore dei Radio Silence che ha firmato le sceneggiature di Finché morte non ci separi (2019), Scream (2022), Scream VI (2023) e Abigail (2024). Nel cast, accanto alla protagonista Kaitlyn Santa Juana e al compianto Tony Todd, troviamo Teo Briones (Chucky), Richard Harmon (ESP 2 – Fenomeni paranormali, The 100) e Rya Kihlstedt (The Atticus Institute, Dexter).
Considerazioni finali
Questo sesto capitolo della saga esplora la reazione a catena innescata dal disastro mostrato nella scena di apertura e mette in tavola vari sottotesti che possono essere colti o meno. C’è, ad esempio, la trasmissione intergenerazionale del trauma e la possibilità di spezzare il ciclo non scappando – o, al contrario, con un’eccessiva apprensione – ma con comunicazione e trasparenza. Se non si ha voglia di coglierli, Final Destination Bloodlines resta comunque un ottimo intrattenimento, ricco di scene memorabili – quella della risonanza magnetica entra di diritto tra le migliori di tutta la saga. Ci sono anche momenti da occhi lucidi, non solo per Tony Todd ma anche perché si vuole bene a più di un paio di personaggi. Non mancano gli easter eggs, ma il film sta benissimo in piedi sulle sue gambe e rifiuta il fan service o le forzature. Insomma, prendete i pop corn, una buona compagnia e andate al cinema a ridere di questo gigantesco promemoria. Non c’è altro che possiamo fare di fronte all’inevitabile.

Intendo godermi il tempo che mi resta. Vi suggerisco di fare lo stesso.
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