Il 25 Febbraio 1972 arrivava nelle sale “Gli orrori del castello di Norimberga” (conosciuto all’estero come “Baron Blood”), diretto da Mario Bava. La pellicola può essere considerata uno dei prodotti minori del regista, non venendo quasi mai citata fra i suoi capolavori.
In effetti, siamo lontani da un prodotto perfetto. Eppure, come andremo ad approfondire, la mano fatata di Bava è riuscita a rendere anche una pellicola così imperfetta qualcosa di assolutamente degno di essere riscoperto e ricordato.

TRAMA
Conclusi gli studi universitari, Peter Kleist si reca in Austria dallo zio Karl. Qui il giovane desidera approfondire la storia di un suo antenato, un tiranno del XVI secolo che ottenne il soprannome di “Barone Sanguinario”. L’uomo viveva in un maestoso castello che sta per essere venduto all’asta. Giunto sul luogo, Peter conosce Eva, una studentessa di architettura, e la convince a prendere parte a un giocoso tentativo di riportare in vita il conte.
Con l’ausilio di una formula scritta su pergamena, i due riescono in effetti a riportare in vita lo spirito del tiranno. Mostruosamente deturpato da ustioni su tutto il corpo e mosso da implacabile crudeltà, il non morto inizia a muoversi nei dintorni dell’antica dimora…

RECENSIONE
Rispetto ad altri film di stampo gotico diretti da Bava, come Operazione Paura, Gli orrori del castello di Norimberga gode di una fama decisamente ridotta. Come vedremo, è una pellicola ricca di difetti, ma anche un prodotto pienamente baviano.
Fin dai titoli di testa, capiamo di trovarci di fronte a un horror gotico atipico, in quanto inserito nella contemporaneità di quando il film raggiunse le sale. In effetti, è alquanto singolare come Gli orrori del castello di Norimberga riesca a essere tanto un film degli anni ’70 quanto un’opera gotica in tutto e per tutto. Da un lato, infatti, abbiamo capigliature e abbigliamento tipici di quel periodo, con tanto di un distributore automatico di bibite fra le stanze del castello. Dall’altro lato, tuttavia, la maestosa magione del Barone Sanguinario e le atmosfere imbastite da Bava riescono comunque a farci sprofondare in suggestioni tipicamente gotiche. Anche altre opere del periodo tentarono questa via ibrida del gotico, con risultati molto meno convincenti.

Soffermandoci sui difetti, i dialoghi e alcune scelte di trama lasciano alquanto a desiderare. Specialmente nel primo atto, ogni scambio di battute fra i personaggi risulta terribilmente forzato. Sentiamo chiaramente come la sceneggiatura spinga verso l’entrata in scena del Barone Sanguinario, il cui nome capitombola in discorsi che di per sé non vi avrebbero alcuna pertinenza. Una volta che le componenti horror fanno capolino, le carenti battute dei personaggi passano in secondo piano, ma restiamo comunque di fronte a un intreccio non sempre convincente.
Per citare un esempio, la sequenza della seduta spiritica con la medium, per quanto suggestiva visivamente, appare superflua e sbrigativa. Anche la sequenza finale arriva con poca anticipazione, con un reveal tanto scontato quanto poco approfondito. Se non altro, anche qui la messa in scena è più che discreta.
Come prevedibile, ciò che rende Gli orrori del castello di Norimberga un ottimo film è la mano di Mario Bava. Per prima cosa, il regista poté mettere mano alla sceneggiatura per inserire passaggi dal forte impatto visivo, come quello in cui del sangue fuoriesce da sotto una porta. In secondo luogo, il tocco artistico di Bava può essere ravvisato in ogni singolo passaggio di suspense.

Le due scene in cui Eva e Peter tentano di evocare il Barone sono un esempio perfetto della poetica baviana. I forti contrasti tra luce e ombre fanno sprofondare entrambi i passaggi in una dimensione sospesa. L’enorme stanzone con camino centrale è quasi totalmente immerso nell’oscurità, con vari oggetti che fanno capolino senza tuttavia essere identificabili dallo spettatore. Abbiamo poi due trademark del regista: la nebbia e il vento al di là delle finestre. Un faro viene poi puntato sugli occhi in tensione dei due protagonisti. Non c’è alcuna fonte interna alla scena per quella luce, è completamente artificiosa, eppure è bellissima. A condire il tutto, i rintocchi delle campane e il già citato sangue al di là della porta.
Quando poi il Barone torna in vita, noi non lo vediamo. Bava preferisce invece introdurlo con una soggettiva tremolante, che mette la ciliegina sulla torta su questo piccolo gioiello di costruzione della suspense.

Non possiamo poi non citare l’inseguimento di Eva fra le vie del paese. Gli esterni in notturna, ne Gli orrori del castello di Norimberga, sono quasi sempre avvolti dalla nebbia e illuminati da fari. Ecco quindi che Bava, con pochissimo, riuscì a creare una dimensione ostile e quasi extraterrestre per ambientazioni del tutto comuni. Pertanto, le inquadrature del Barone che insegue Eva non solo esprimono perfettamente l’angoscia e il senso di ignoto vissuto dalla ragazza, ma risultano anche stupende.

Bava si mostra creativo anche nel portare in scena un altro inseguimento della povera Eva, quello fra le stanze del castello. Il regista gioca qui con continui stacchi, alternando fra diversi campi e metodi di ripresa (talvolta camera fissa, talvolta camera a mano). Un tale espediente è un enorme rischio, in quanto la sequenza rischia di risultare caotica per lo spettatore. Il regista, tuttavia, sembra limitare e controllare tale caoticità a proprio favore per accrescere il potenziale ansiogeno dell’inseguimento e regalarci un altro passaggio memorabile.
Le musiche di Stelvio Cipriani seguono l’andamento delle vicende. Se all’inizio risultano soft e addirittura fuori luogo per un film horror, con l’avvicendarsi delle scene evolvono verso tonalità solenni e sognanti che accompagnano con maestria i passaggi più sinistri della pellicola.
Un plauso, infine, va al lavoro di make-up sul Barone Sanguinario. La carnagione putrescente della creatura è resa in maniera eccellente, soprattutto per un prodotto dal budget limitato di più di cinquant’anni fa.
