Negli anni ’90 Giovani Streghe era diventato un cult che aveva segnato una generazione, ora Il Rito delle Streghe prova invano a ripetere quella magia. Un film che si pone a metà tra un reboot ed un sequel, ma che troppe volte non prende una reale posizione

Ci sono film che non risultano memorabili alla loro uscita, forse addirittura floppano al botteghino. Poi però, con il passare del tempo, acquistano sempre più popolarità grazie al passaparola: questo è stato il caso di Giovani Streghe. Nel 1996 il film di Andrew Fleming ottenne il titolo di cult non grazie all’uscita cinematografica, ma soprattutto all’home video (qualcuno ha detto Blockbuster). Esattamente 24 anni dopo arriva Il Rito delle Streghe, film che si pone come reboot del Mondo prima creato da Peter Filardi nel romanzo e poi da Fleming nella sua trasposizione, ma anche come sequel per qualche svolta di trama. Il problema di fondo che mi sono posto è: a chi è rivolto davvero questo film? Ai nostalgici dell’ultima decade del secolo scorso oppure alla nuove generazioni che forse non avranno mai sentito nemmeno parlare del film? In un epoca di remake e reboot era inevitabile toccassero anche Giovani Streghe, ma la regista Zoe Lister-Jones come ha deciso di toccare quel cult?

C’è sempre un cerchio da chiudere

La storia ripercorre quella del precedente film, in un continuo gioco di citazioni. Anche ne Il Rito delle Streghe, una nuova ragazza si trasferisce in una diversa città dove farà la conoscenza di un gruppo di ragazze molti particolari. Al posto della dolce Sarah troviamo Lily, ragazza molto timida ma dal carattere deciso. Ad interpretarla Cailee Spaeney, che come le altre protagoniste è nata nel 1997, dopo l’uscita del film di Fleming. Quindi stiamo parlando di un’altra generazione, che sembra lontana anni luce da quella Los Angeles alternativa ma anche rassicurante. A scuola, dopo essere stata presa di mira dal bullo Timmy, viene aiutata da: Frankie, Tabby e Lourdes. Queste ragazze sono affascinate dalla magia che praticano nel tempo libero ed alla ricerca di una quarta che possa chiudere il loro magico cerchio. Quattro sono infatti i punti cardinali come anche gli elementi.

L’aspetto che non torna è lo stile di questo gruppo alternativo. Sono scomparsi i look total black, ad eccezione di alcune scene che lo richiedevano per forza. Inoltre l’atteggiamento nei confronti delle pratiche magiche è ingenuo come nel 1996, aspetto che porterà a dei pericoli, ma troppo giocoso. Sono presenti anche elementi, ad esempio una tavola Ouija, usati anche a sproposito.

Umorismo fuori luogo e troppe tematiche

Anche per Il Rito delle Streghe è difficile parlare di genere prettamente horror. Come il precedente, anche questo si avvicina al racconto di formazione in salsa magica. Rispetto al 1996, però, è presente molto più umorismo fuori luogo. Il film non è costellato di battutine e riesce ad avere un ritmo anche frenetico, forse troppo, ma alcune volte si è esagerato.

Per cercare di rendere il bullo Timmy meno aggressivo nei loro confronti, il gruppo si introduce nella sua camera mentre non c’è. L’obiettivo è un incantesimo per cui hanno bisogno qualcosa del suo corpo e un calderone in un cui recitare una formula. Viene preso un preservativo usato che metteranno nel bong nascosto dal ragazzo per recitare la formula e spargere il suo sperma sopra il cuscino del letto! Quando si dice andare troppo sopra le righe.

Il film tratta anche tematiche interessanti come: il potere della mascolinità forte sulla figura femminile, orientamenti sessuali confusi e discriminazioni. Il vero problema è che lo fa in maniera troppo rapida ed accennando solamente a queste tematiche, per poi passare rapidamente oltre. Elemento importante sarà infatti anche Adam, il nuovo compagno della madre di Lily, saggista che crede nel potere dell’ordine imposto dall’uomo e nel ruolo forte del maschio nella società. David Duchovny, che interpreta Adam, non ci riesce a fare il cattivo della famiglia e la sua interpretazione risulta poco credibile purtroppo.

Giovani ma poco ribelli

A differenza del gruppo capeggiato da Nancy nel 1996, le ragazze de Il Rito delle Streghe non sono emarginate per condotta sociale o menomazioni fisiche. Si perde un po’ il motore della narrazione che faceva funzionare il film di Fleming. Adesso i colori sono accesi ed anche i rituali vengono fatti in vasche colorate dal glitter.

Molte scene vengono anche palesemente citate e rifatte, senza mantenere lo stupore che si aveva vedendole sullo schermo la prima volta, ma anzi, frettolosamente glissate dal montaggio.

Interessante vedere come anche gli atteggiamenti di ribellione verso l’oppressione del binomio scuola – famiglia sia molto più marcato nel film di Fleming. Molto diverso dall’oppressione generata dal nuovo compagno della madre perché, forse, nasconde qualcosa nel film della Lister-Jones. Tutto questo è visibile anche dal look di queste adoratrici di Manon, che cambia completamente tra le due differenti epoche.

Prima molto più alternativo e volto a rendere anche l’idea della congrega. Tutto denotato da ciondoli, bracciali, spille: dotate di significato in base a quanto raccontato nel film.

Con Il Rito delle Streghe il look diventa più appariscente ma allo stesso tempo stereotipato alle mode passeggere del nostro tempo. Non ci sono elementi simbolici forti che facciano spiccare le ragazze mentre sono a scuola o ad una festa. L’omologazione ha vinto su tutto!

Come era stato rumoreggiato il personaggio di Nancy Downs, interpretata da Fairuza Balk, farà da filo conduttore tra il passato ed il presente. Vi lasciamo scoprire il suo cammeo senza rivelarvi di più!

Il Rito delle Streghe è un esperimento che forse aveva bisogno di scelte narrative più forti, anche per diventare iconico solo la metà del film anni ’90. Una produzione Blumhouse che non ha saputo incarnare lo spirito della nostra epoca rivolgendosi a delle adolescenti, come invece fece Fleming 24 anni fa

Classificazione: 2 su 5.

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