Nata nel 1902 a Londra, Elsa Lanchester iniziò la sua carriera di attrice a vent’anni, specializzandosi ben presto come caratterista. Tra i titoli in cui ha recitato ricordiamo: Le sei mogli di Enrico VIII, La moglie del vescovo, Le due suore e Testimone d’accusa (gli intellettuali la ricorderanno in Mary Poppins). Ma il ruolo che l’ha resa celebre e l’ha consacrata nell’Olimpo dell’horror è sicuramente quello della Moglie, con poco screen time ma una forza immensa. Elsa Lanchester ci lasciava il 26 dicembre del 1986 e oggi, per omaggiarla, parliamo de La moglie di Frankenstein di James Whale.

Il contesto

La moglie di Frankenstein vide la luce nel 1935, appena un anno dopo che il Codice Hays era diventato effettivo. Il Codice, noto anche come Production Code, venne istituito per regolamentare cosa potesse o meno essere mostrato sullo schermo e si basava su tre principi, riassumibili grosso modo così: lo spettatore non deve mai essere portato a simpatizzare per il “male”; non bisogna violare “la Legge, naturale, divina o umana”; si possono rappresentare solo “standard di vita corretti”. Questo significa che non si poteva ridicolizzare la religione, era proibita la rappresentazione di amori interrazziali, bisognava sostenere la santità del matrimonio e della famiglia e, ovviamente, non si poteva fare alcuna allusione alle “perversioni sessuali”, come erano chiamati all’epoca gli orientamenti e le identità sessuali non conformi. In questo clima, James Whale venne chiamato (quasi pregato dalla produzione dopo il successo de L’uomo invisibile) a girare un sequel del suo Frankenstein del 1931 – basato, ovviamente, sull’omonimo romanzo scritto da Mary Shelley. Whale non ne voleva sapere nulla perché sosteneva di non avere altro da aggiungere in materia ma, dopo aver ignorato la questione per un po’ dedicandosi ad altri progetti, si convinse a girarlo, a patto che avesse totale libertà. Molte sceneggiature vennero rifiutate, altre rimaneggiate, e alla fine si arrivò ad una soluzione. Whale stesso vi partecipò, aggiungendo il personaggio del Dottor Pretorius, assente nel romanzo di Mary Shelley. Dopo aver valutato diverse opzioni (tra cui Bela Lugosi), Whale scelse per il ruolo l’attore Ernest Thesiger, la cui eccentricità contribuì a modellare la figura stessa del personaggio. Il regista scelse personalmente anche Elsa Lanchester per il doppio ruolo della Moglie e di Mary Shelley, personaggio che si vede nel prologo insieme a Percy Shelley e Lord Byron. Lanchester, che aveva seguito il marito Charles Laughton ad Hollywood, ebbe qualche difficoltà ad affermarsi come attrice e fece ritorno a Londra. Fu in questo momento che Whale la contattò per offrirle il lavoro e il resto, come si dice, è storia.

La moglie di Frankenstein

La Creatura (Boris Karloff) è sopravvissuta agli eventi del primo film. Nel frattempo il dottor Frankenstein (Colin Clive) riceve la visita del Dottor Pretorius (Ernest Thesiger) che gli propone di unire le forze per creare un altro mostro, una femmina, in modo da poter dare una compagna alla Creatura.

La moglie di Frankenstein uscì con parecchi tagli dovuti alla censura ma, nonostante ciò, non si riuscì ad eliminare il potere enormemente sovversivo della pellicola. Il suo forte sottotesto omosessuale non fu soffocato, così come lo spiccato umorismo camp e la messa in discussione dei ruoli di genere. Pretorius (definito “a very queer-looking old gentleman”) “tenta” Frankenstein con le sue idee sulla creazione che sono leggermente contro la morale cristiana: non c’è bisogno di una donna, ma semplicemente della scienza. La relazione tra i due scienziati risulta ambigua, siccome Pretorius riesce sempre a distogliere l’attenzione di Frankenstein dalla moglie Elizabeth e a trascinarlo con sé nel “folle” esperimento. Quest’ultimo altro non è che il tentativo di procreazione messo in atto tra due persone dello stesso sesso, idea aberrante e di impossibile realizzazione secondo “la legge naturale, divina o umana”. Seriamente, non so come i censori non si siano accorti della beffa.

Il finale

Come se tutto ciò non bastasse, arriva quel finale, quei potentissimi minuti entrati di diritto tra i più belli della storia del cinema. Frankenstein e Pretorius danno vita alla Moglie, una creatura che è lì solo per essere una compagna, per ricoprire un ruolo che è stato scelto per lei. E cosa fa lei? Non si piega. La Moglie è spaventata, quasi disgustata dalla visione della Creatura, e quindi urla. L’urlo della Moglie rappresenta la ribellione, il rifiuto di un ruolo convenzionale e prestabilito. Lanchester, come detto in precedenza, veste i panni di questo personaggio per una manciata di minuti, ma riesce a renderlo iconico. Non ci sono solo l’abito e i capelli, ormai diffusi nell’immaginario collettivo, ma anche e soprattutto le espressioni, lo sguardo spaesato, i sibili che l’attrice modellò sul verso dei cigni e che le fecero quasi perdere la voce per quante volte Whale glieli fece ripetere, volendo riprenderla da quante più angolazioni possibili. Noi possiamo solo piegarci in adorazione e ringraziare di essere vivi in un mondo in cui esiste La moglie di Frankenstein.

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