In onore del compleanno del regista più pulp della storia del cinema, Quentin Tarantino, abbiamo deciso di riportare su questi schermi una delle sue opere più note: Kill Bill Vol. I e Vol. II. Una storia di vendetta degna del più feroce asian extreme.
Trama
Sai bimba, mi piace pensare che tu sia abbastanza lucida persino ora da sapere che non c’è nulla di sadico nelle mie azioni. Forse nei confronti di tutti quegli altri, quei buffoni, ma non con te. No, bimba, in questo momento sono proprio io, all’apice del mio masochismo.
Kill Bill Vol. 1 : Bill rivolgendosi alla sposa
Dopo essere stata ridotta in fin di vita, una donna identificata come la sposa (Uma Thurman), si risveglia dal coma, ricolma di un unico sentimento: la vendetta. Ella si abbatterà sugli aguzzini che l’hanno ridotta in quello stato con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno.
Recensione
Per omaggiare il maestro Tarantino, nel giorno del suo genetliaco, non avrei potuto scegliere altro film, se non quello che per me è la sua pellicola del cuore: Kill Bill. Una storia di vendetta inserita in quello che, oggi, definiremmo un femminicidio. Un revenge movie che si destreggia tra i generi e tra le ambientazioni, riuscendo a trasmettere, su tutto, l’amore incondizionato che il regista ha per il cinema.
Ndr: data la risalenza temporale e la rilevanza cinematografica della pellicola, la recensione conterrà spoiler di trama.
Kill Bill Vol. I e Vol. II, un’unica grande storia
Spesso si sente parlare di Kill Bill come di due film separati, quasi slegati l’uno dall’altro. Benché questo approccio sia largamente diffuso, tanto da essere applicato anche nel Dizionario dei Film (edizione 2021) del critico Paolo Mereghetti, sarebbe incorretto non considerare la correlazione narrativa, visiva e cronologica che intercorre tra le due pellicole. Anzitutto, il film è suddiviso in capitoli che sono numerati dall’I (2) al X (Faccia a faccia), di cui cinque presenti nel Vol. I e cinque presenti nel Vol. II. Essi sono strutturati in modo tale da essere speculari gli uni agli altri, e contemporaneamente cronologicamente intrecciati. In Kill Bill Vol. I abbiamo infatti Incipit (2 minuti e 25 secondi circa), Capitolo I: 2 (11 minuti e 50 secondi), Capitolo II: La sposa imbrattata di sangue (19 minuti), Capitolo III: Le origini di O-Ren (8 minuti e 30 secondi), Capitolo IV: L’uomo di Okinawa (13 minuti e 10 secondi) e il Capitolo V: Resa dei conti alla Casa delle Foglie Blu (44 minuti).

Tale struttura è ripresa in modo quasi pedissequo nel Vol. II: Incipit (2 minuti circa), Capitolo VI: Massacro ai due Pini (15 minuti e 30 secondi), Capitolo VII: La tomba solitaria di Paula Schultz (20 minuti e 15 secondi), Capitolo VIII: I crudeli insegnamenti di Pai Mei (23 minuti), Capitolo IX: Elle ed io (18 minuti) e Capitolo X: Faccia a Faccia (43 minuti).
A meno di qualche piccolo cambiamento, possiamo notare come la struttura sia sostanzialmente identica, con un incipit, una prima uccisione di una delle vipere (il nome dato ai componenti della squadra di killer creata da Bill), il racconto di un viaggio in Oriente e un’epica battaglia finale. Questo potrebbe portare all’erronea conclusione che il film sia effettivamente suddiviso in due parti. Tuttavia, analizzando l’ordine cronologico degli eventi capiamo quanto essi siano effettivamente intrecciati. Se si considerasse la consecutio-temporum avremmo infatti: Capitolo III: Le origini di O-Ren, Capitolo VIII: I crudeli insegnamenti di Pai Mei, Capitolo VI: Massacro ai due pini, Capitolo II: la sposa imbrattata di sangue, Capitolo IV: L’uomo di Okinawa, Capitolo V: Resa dei conti alla Casa delle Foglie Blu, Capitolo I: 2, Capitolo VII: La tomba solitaria di Paula Schultz, Capitolo IX: Elle ed io, Capitolo X: Faccia a faccia.


Il regista aveva ben presente la difficoltà che lo spettatore avrebbe potuto riscontrare nell’orientarsi in questo zigzagare temporale e, pertanto, inserisce qua e là espedienti narrativi che fungano da bussola. Uno su tutti la lista della sposa (la Death List Five), che rimanda alla mente il noto Death Note (sarebbe stato bello accertare l’ispirazione reciproca, ma no. Il manga di Death Note è uscito nel 2003, pressoché contemporaneamente all’uscita di Kill Bill Vol. I).

Pertanto, data la struttura narrativa della pellicola, da questo momento in avanti si tratterà della stessa con l’appellativo unico di Kill Bill, riferendosi sia al Vol. I che al Vol. II. Dove necessario si farà riferimento al volume specifico.
Il citazionismo estremo di Tarantino in Kill Bill
Quentin Tarantino è riconosciuto per essere, prima di tutto, un cinefilo incallito. Ne sono una dimostrazione tutte le sue opere e, in particolare, C’era una volta ad… Hollywood (di cui trovate la recensione qui). Il cineasta americano si diletta con citazioni visive, sonore e concettuali rendendo davvero complesso e dispendioso, in termini di spazio, analizzarle tutte. A livello visivo citiamo, a titolo di esempio: Faster, Pussycat, Kill! Kill! (1966, Russ Meyer), Cinque dita di violenza (1973, Chang Cheh), Blade Runner (1982, Ridley Scott) e La morte nella mano (1974, Yu Wang). A livello sonoro possiamo identificare, sempre a titolo di esempio, le seguenti tracce: Isaac Hayes – Run Fay, Run (uno dei temi di Uomini duri di Duccio Tessari), Tomoyasu Hotei – Battle Without Honor or Humanity (tema principale di Another Battle, film del 2000, seguito di Lotta senza codice d’onore diretto da Kinji Fukasaku nel 1973) e Meiko Kaji – The Flower of Carnage (la canzone è il tema principale del film Lady Snowblood di Toshiya Fujita). Tuttavia, ci sono un paio di macro-citazioni visive su cui ho piacere a soffermarmi: la tuta della sposa, l’attrice che interpreta Gogo (Chiaki Kuriyama), la rinascita della sposa e il film che la sposa guarda con la figlia B.B.

La tuta gialla indossata dalla sposa è, infatti, un evidente riferimento alla tuta indossata da Bruce Lee ne L’ultimo combattimento di Chen. Il riferimento non è solo visivo, ma anche ideologico: come Billy Lo (Bruce Lee) si finge morto per poi attuare la sua vendetta verso l’organizzazione criminale che lo ha ridotto in fin di vita, così la sposa si rianima dal coma e va ad affrontare la squadra di killer che l’ha quasi uccisa.


Nell’immaginario collettivo, una delle figure rimaste iconiche è Gogo, la sadica quanto spietata guardia del corpo di O-Ren. Tanto iconica da essere stata citata anche in serie tv comedy come Gilmore Girls (episodio 05×17). Tuttavia, forse è meno noto che la partecipazione dell’attrice che interpreta Gogo (Chiaki Kuriyama) è un diretto rimando a Battle Royale (di cui trovate la recensione qui). Infatti, nel film di Kinji Fukasaku il suo personaggio ha una caratterizzazione molto simile a quella del film di Tarantino. Inoltre, in un particolare frangente della sequenza di Gogo Tarantino farà una delle sue innumerevoli auto-citazioni, in questo caso di doppio valore e significato. L’inquadratura sul viso di Gogo morente, con il sangue che le esce dal naso e dagli occhi è esattamente la stessa che ha catturato l’overdose di Mia Wallace (Uma Thurman) in Pulp Fiction. Il regista omaggia sé stesso e uno dei personaggi più iconici della sua filmografia, interpretato proprio dalla protagonista di Kill Bill ed ideatrice del personaggio della sposa.



Nel Capitolo VII: La tomba solitaria di Paula Schultz vediamo la sposa riemergere letteralmente dalla tomba, dopo essere stata sepolta viva. C’è un momento in cui l’inquadratura si sofferma particolarmente sulla sua mano ricoperta di terra che ricorda in modo impressionante uno dei poster più noti di La casa di Sam Raimi.


Infine, nella sequenza finale, vediamo Beatrix Kiddo (il nome della sposa che ci viene citato solo nel penultimo capitolo) guardare un film con la figlia perduta e ritrovata B.B. Il film che la piccola sceglie si intitola Shogun il giustiziere (1980, Robert Houston). Il film parla proprio della storia di un figlio ancora piccolo, che decide di seguire il padre nel suo percorso di vendetta.

Il ruolo femminile in Kill Bill
In questi tempi di ritrovato conservatorismo, grande spazio all’interno del dibattito cinematografico è ricoperto dal ruolo della rappresentazione e dell’identificazione. I registi e le principali case cinematografiche si stanno via via aprendo a nuove nicchie di mercato, target prima sottovalutati tra cui quello femminile. Spesso, infatti, abbiamo visto pellicole dedicate a questo segmento di mercato sempre contraddistinte dalla presenza di tre elementi fondamentali: la storia d’amore, la maternità e le diatribe tra ragazze. Ancor più, queste tematiche già di per sé ritenute frivole sono spesso state trattate in modo volutamente superficiale, appiattendo il più possibile le protagoniste ed identificandole in un o al massimo due ruoli che la società prevede per le donne. Molto più raramente, sono state rappresentate come aventi un ruolo attivo e comparabile a quello maschile (un esempio è Lady Vendetta di Park-chan Wook). Sebbene queste tematiche siano riprese anche in Kill Bill stesso (il personaggio di Uma Thurman viene identificato con l’appellativo la sposa, per oltre 3/4 della pellicola e il suo cognome indica proprio la sua capacità di procreare: Kid-do ossia creatrice di bambini), sono trattate con maggiore tridimensionalità. Ed è forse questo che ha sempre suscitato la mia fascinazione rispetto a Kill Bill, più che su altre pellicole tarantiniane (che sono comunque tra i miei film preferiti). Kill Bill era, fino a poco tempo fa, una delle poche rappresentazioni mainstream di una donna sfaccettata (o di più di una donna). Non cazzuta, non forte, non indipendente, semplicemente sfaccettata. Beatrix Kiddo è una madre e lo capiamo fin dalla primissima scena. Nel suo tentativo di supplicare il suo carnefice, la sposa sussurra: Bill… È tua figl… Questa semplice, ma efficacissima frase, ci permette di capire fin da subito i rapporti di parentela tra vittima e carnefice e il quadro della situazione: l'(ex) compagno di Beatrix le ha sparato in testa, uccidendo anche la figlia che porta in grembo.

La maternità è un aspetto che ricomparirà almeno altre due volte all’interno della pellicola, dimostrando il suo valore di legame intrinseco tra persone di genere femminile. Nel Capitolo I:2, infatti, vediamo Beatrix scontrarsi con Vernita Green (Vivica A. Fox). Durante lo scontro arriva la piccola Nikki, figlia di Vernita. Tale arrivo, fermerà momentaneamente la sposa dal suo intento vendicatorio. Non lo cancella, lo sospende e basta. Questo perchè Beatrix non riesce a scindersi dal desiderio che prova, può solo rimandarlo in modo da preservare la bimba dal veder uccidere la propria madre. Allo stesso modo è proprio la sorellanza tra donne a salvare Beatrix dall’agguato di Karen (Capitolo X: Faccia a faccia). Nel momento in cui si trova di fronte alla sicaria incaricata di ucciderla, l’unico pensiero ed espediente che fermerà la mano della killer sarà proprio la neo-scoperta maternità di Beatrix.
Io sono la donna più letale al mondo, ma adesso ho paura per il mio bambino. Ti prego… devi solo guardare quel test.
La sposa a Karen
La maternità diventa, quindi, un simbolo di sorellanza, un momento in cui donne che altrimenti si ucciderebbero a vista, riescono a comunicare. Purtroppo, è un po’ quello che ci viene inculcato dalla società, il fatto che la maternità sia anche il nostro unico “mezzo di sopravvivenza”. Tuttavia, in questo, Tarantino va oltre. Non solo perchè la vendetta di Beatrix non è rivolta solo alle donne, ma a tutte la squadra di killer creata da Bill (David Carradine) e a Bill stesso, ma anche perchè la maternità non muta la natura di Beatrix. Lo capiamo perfettamente nel capitolo finale in cui viene esposto il discorso sui supereroi:
Bill: Dunque, l’elemento fondamentale della filosofia dei supereroi è che abbiamo un supereroe e il suo alter-ego: Batman è di fatto Bruce Wayne, l’Uomo Ragno è di fatto Peter Parker. Quando quel personaggio si sveglia al mattino è Peter Parker, deve mettersi un costume per diventare l’Uomo Ragno. Ed è questa caratteristica che fa di Superman l’unico nel suo genere: Superman non diventa Superman, Superman è nato Superman! Quando Superman si sveglia al mattino è Superman. Il suo alter-ego è Clark Kent. Quella tuta con la grande “S” rossa è la coperta che lo avvolgeva da bambino quando i Kent lo trovarono, sono quelli i suoi vestiti. Quello che indossa come Kent, gli occhiali, l’abito da lavoro, quello è il suo costume. È il costume che Superman indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non crede in sé stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana, più o meno come Beatrix Kiddo è la moglie di Tommy Plympton.
Beatrix: Siamo arrivati al punto?
Bill: Tu avresti indossato il costume di Arlene Plympton, ma tu sei nata Beatrix Kiddo e ogni mattina al tuo risveglio saresti stata Beatrix Kiddo.
Benché a questa frase Beatrix risponda che dopo la scoperta della gravidanza non sarebbe più stata capace di compiere determinati gesti, pochi istanti prima ammette di aver provato piacere nell’ammazzare i killer sul suo cammino e, soprattutto, non esita ad ammazzare Bill e compiere la sua vendetta. La caratterizzazione della sposa, pur essendo di ormai 22 anni fa è estremamente attuale. Una donna che, come lo scorpione della metafora, mantiene inalterata la sua natura.
La riappropriazione della femminilità
La rappresentazione di una femminilità sfaccettata in Kill Bill non si ferma solo al personaggio di Beatrix Kiddo, ma anche a quello della sue “colleghe”. Vernita (Testa di Rame), O-Ren (Mocassino acquatico, interpretata da Lucy Liu) e Elle (Serpente Montano della California, interpretata da Daryl Hannah) sono tutte spietate killer eppure nessuna di loro perde, nemmeno per un secondo, la propria femminilità, sia nella fisicità che negli aspetti più stereotipici. Vernita è una madre, la tipica casalinga americana, nonostante sia la donna più letale con un’arma da taglio. O-Ren è una (anzi la) boss della Yakuza, spietata come poche altre killer al mondo, eppure non perde l’utilizzo del costume tradizionale, del trucco e degli ornamenti. In particolare, la sua katana e il suo pugnale sono sempre decorati con fiori e gingilli dalla conformazione floreale. Elle è poi la rappresentazione della sensualità, soprattutto quando la vediamo vestita da “infermierina“. Così come Gogo che si veste da scolaretta sexy.




Le donne che ruotano all’interno del mondo diegetico di Kill Bill si riappropriano di tutti quegli archetipi di femminilità che, nell’immaginario collettivo, determinano la subordinazione e il minor valore del genere femminile e ne fanno i loro cavalli di battaglia. Definitivo, in tal senso, è l’utilizzo da parte di Beatrix di una macchina chiamata Pussy Wagon. Il termine pussy è un termine volgare per indicare sì l’organo genitale femminile, ma è anche utilizzato come diminutivo per gatto. Se riferito a una donna ha anche l’accezione di gattina. Il pick-up, una Chevrolet C-2500, noto come Pussy Wagon, era la macchina un tempo appartenuta al violentatore della sposa, ucciso dalla stessa non appena ella riacquista la memoria degli abusi subiti. Con un gesto semplice, ma pregno di significato Beatrix si appropria della macchina e con essa della sua sessualità abusata, arrivando letteralmente a guidare la sua pussy (Wagon).

Al termina della vicenda, alle porte dell’incontro con Bill, incontrerà Esteban, il padre putativo di Bill. Egli noterà che non guida più la sua Pussy Wagon, decretando il passaggio alla definitiva età adulta della sposa. Eh si… La gattina è morta, ma Beatrix è più viva che mai.
Esteban: E quella? Non avevi un’altra auto?
Beatrix: La mia Pussy Wagon è morta ormai.
Esteban: Eh, sì…la Pussy è morta.
Bang Bang, my baby shot me down
Kill Bill è, di fatto, la storia del più classico dei femminicidi. Non servono interpretazioni di sorta, basta rileggere le parole che lo stesso Bill pronuncia nel discorso finale con Beatrix:
Bill: Quando ho visto che non tornavi più, ho ovviamente pensato che Lisa Wong o qualcun altro ti avesse uccisa… Oh, tra parentesi, far credere a qualcuno che è morta la persona che ama quando non è così, è una cosa molto crudele… Io ti ho pianto, per tre mesi. E dopo tre mesi, diciamo di lutto, io ti ho trovata. Non stavo cercando di trovare te. Io… vedi… stavo cercando quei bastardi del cazzo che credevo ti avessero uccisa, e ho trovato te. E cosa ho scoperto? Che non solo non eri morta, ma che stavi per sposare un povero coglione, e che eri incinta per giunta. E ho… reagito male.
Beatrix: Hai reagito male? È questa la tua spiegazione?!
Bill: Non ho detto che avrei dato una spiegazione, ma che avrei detto la verità. Però sarò esplicito se non ti è chiaro. Io sono un killer, un assassino bastardo, tu lo sai! E ci sono delle conseguenze quando spezzi il cuore a un assassino bastardo. Tu ne hai avuto un esempio. La mia reazione è stata così… sorprendente?
Beatrix: Sì, lo è stata. Potevi fare una cosa del genere? Certo che potevi! Ma non avrei mai creduto che avresti potuto o voluto farla a me
Beatrix era scappata da Bill perchè voleva per la figlia B.B. (il cui nome è evidentemente un riferimento ai nomi dei genitori Beatrix e Bill) un futuro migliore, e sapeva che accanto a Bill non avrebbe potuto garantirglielo. La reazione che Bill ha, è quella di un qualsiasi uomo autore di femminicidio. Perfino le sue parole iniziali sono la più classica delle giustificazioni: questo sono proprio io, all’apice del mio masochismo. L’uso del termine masochismo, e non sadismo, indica che nella visione di Bill, il gesto che sta compiendo causi dolore a lui, prescindendo dal fatto che stia togliendo la vita a lei. Kill Bill può essere visto come una sorta di rivisitazione della storia (approccio filmico molto caro a Tarantino) in cui la vittima di un femminicidio rinasce (letteralmente dalla tomba), cercando e ottenendo la sua vendetta.
Conclusioni
Come si sarà capito da questa lunga analisi, Kill Bill non solo è una delle mie pellicole preferite, ma è un film che io ritengo femminista ante litteram. Prima di Coraline Fargeat, di Greta Gerwig e di Emerald Fennel, Tarantino ha proposto in modo (in)volontario un capolavoro di femminismo. La storia di una donna in cerca di vendetta verso i suoi aguzzini, di parità e di femminilità. Un revenge movie che è anche un rape & revenge, diventato un cult assoluto, capace di anticipare i tempi. La storia di una donna che merita la sua vendetta e che noi meritiamo di vedere (semicit).
Leggi anche: Sympathy for Lady Vengeance – L’epilogo della vendetta è femminile