Era il 1994 quando in Italia si concluse la stagione del grande cinema horror, genere che qui da noi era ormai in declino già dalla fine degli anni ‘80 e a cui il cult movie Dellamorte Dellamore cantò un solenne epitaffio. Purtroppo per il cinema di genere nostrano il regista di quel gioiello, Michele Soavi, si sarebbe ben preso dedicato ad altro con all’attivo solo sette film per il cinema, di cui quattro ottimi horror.
E oggi primo marzo sono esattamente 34 anni da che nei nostri cinema è arrivato per la prima volta La Setta (1991), forse la più sperimentale e internazionale tra le pellicole di questo regista.

TRAMA
Miriam Kreisl (Kelly Curtis) è una giovane insegnante di Francoforte che un giorno investe per sbaglio l’anziano e misterioso Moebius Kelly (Herbert Lom). Da quel momento una serie di eventi inquietanti inizia a svelarsi. La donna viene lentamente coinvolta dalle vicende di una setta internazionale, quella de I senza volto, mentre il confine tra realtà e incubo si fa sempre più sottile.

IL FASCINO DELL’INCOMPRENSIBILE
Stati Uniti, anni ‘70: è lì che comincia l’orrore raccontato da Soavi. Un orrore senza confini, senza definizioni, in un prologo spietato che tradisce da subito il respiro internazionale della pellicola. Quel prologo è l’inizio dell’incubo allucinato e perverso attraverso cui il regista ci traghetterà per la durata di 116 minuti.
Un incubo visivo, fatto di immagini e scene surreali e stranianti, fatto di orrore e poesia attraverso cui il male mostra la sua spietata concretezza. Non servono spiegazioni, né è necessario che la storia segua una linea d(i)ritta e ben precisa. Si tratta semplicemente di suggestioni messe in scena con perizia tecnica in un horror dall’incredibile impatto psicologico ancora oggi, a più di trent’anni dalla sua uscita. Un film che pur non raccontando nulla di nuovo già per la sua epoca, lo fa con un piglio talmente sperimentale, talmente sopra le righe da rivelarsi tutt’ora sorprendente.

IL SATANIC PANIC
L’horror satanico ha una storia decennale caratterizzata da grandi successi, che spesso ha cavalcato l’onda dell’attenzione mediatica verso il tema. E se L’Esorcista ha fatto da apri pista per gli horror a tema possessioni verso il pubblico di massa, il filone dedicato all’anticristo si fa ricordare per la saga di Omen ma soprattutto per capolavori come il Rosemary’s Baby di Roman Polanski o Il signore del male di John Carpenter. Film che hanno fatto scuola e con cui La setta deve inevitabilmente confrontarsi. Ma a Soavi non sembra interessare la rappresentazione del dramma della maternità o indicibili orrori cosmici che si affacciano alla nostra realtà. Piuttosto La setta sembra un urlo di disperata solitudine e, allo stesso tempo, attaccamento alla vita. Tremenda, soffocante, incomprensibile vita.

A partire da una sceneggiatura scritta a sei mani da Dario Argento (anche produttore), Giovanni Romoli e Michele Soavi stesso, il film affronta il tema puntando non sulla solidità della storia ma sul modo che ha il regista di costruire un orrore atavico ed esoterico, a tratti subliminale. Lo fa sorreggendo il suo horror sull’impalcatura della costruzione delle scene. Farsi domande su ogni singolo elemento del film risulta non solo inutile, ma persino dannoso. Quel che conta è come ogni singolo elemento venga utilizzato per suscitare il perturbante. Ciò accade in modo spericolato e coraggioso, rendendo destabilizzante non solo ogni elemento scenico ma persino ogni movimento di macchina e ogni inquadratura. Tutto allora diventa alieno svelando la vera essenza del male. È come se Soavi ci imponesse uno sguardo rivelatore sulla realtà e sulla sua mostruosità.
Gran parte del merito va comunque alla fotografia di Raffaele Mertes, alle musiche di Pino Donaggio e agli effetti speciali di un Sergio Stivaletti in grande spolvero.

UN FILM INTERNAZIONALE
In La setta si fondono tre sguardi personalissimi di tre mostri sacri del cinema nostrano. Se da un lato ci sono Romoli e Argento che la sapevano lunga e sapevano come dare al film il giusto appeal per suscitare l’interesse del pubblico anche fuori dai confini nazionali, dall’altro c’è quella scheggia impazzita di Soavi, il più funambolico dei registi italiani di settore. Peccato solo che ancor prima di terminare le riprese i soldi fossero già finiti, costringendo la produzione al taglio di alcuni elementi delle tre linee narrative che il film aveva messo in campo: quella figlia di Catacombs (film mai realizzato di Romoli), quella satanica di Argento e, non meno importante, quella esoterica di Soavi. Se quindi molte cose non tornano, finale compreso, è dovuto proprio a questo.

La setta è un film evidentemente pensato per il mercato internazionale. L’ambientazione e il cast parlano chiaro: Stati Uniti e Germania da una parte, quest’ultima splendidamente impreziosita da un alone celtico, e Kelly Curtis (sorella della divina Jamie Lee), Herbert Lom e Michel Adatte dall’altra, a fianco di un cast italiano in cui spicca il preziosissimo e compianto Giovanni Lombardo Radice nel ruolo/omaggio ad un altro mostro sacro del cinema horror: George Romero.
Non a caso è proprio all’estero che questo film (conosciuto con il titolo di The Sect, The devil’s daughter o, in Giappone, Demons 4) ha raggiunto il rango di cult ancor prima che qui da noi in Italia, dove per lungo tempo è rimasto incompreso e bistrattato. In realtà qui abbiamo a che fare con il film della maturità di un regista solido, dalla personalità straripante e dalla tecnica indiscutibile. Lo stesso regista che con il suo successivo capolavoro dirigerà il canto del cigno di un cinema che in Italia sembra proprio non vogliano più fare o, meglio, su cui nessuno se la sente più di investire. E che ci manca tanto.
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