Titolo: L’Angelo del Crimine

Regia: Luis Ortega

Paese di produzione: Argentina, Spagna

Anno di produzione: 2018

Cast: Lorenzo Ferro, Cecilia Roth, Luis Gnecco, Malena Villa, Chino Darin

RECENSIONE

Luis Ortega porta sullo schermo la travagliata storia di Carlos Eduardo Robledo Punch, serial killer argentino accusato di ben 11 omicidi e altri reati minori. La violenta storia del diciassettenne Carlos ci viene mostrata in modo crudo ed esplicito. Luis Ortega ci mostra un’Argentina condannata a una criminalità perpetua, un’Argentina in cui anche Carlos, inizialmente innocente ed affascinante, finirà per divenire uno dei criminali più pericolosi della storia.

La trama è incentrata sulla lenta discesa di Carlos nel mondo del crimine: dopo aver incontrato a scuola Ramon (che diventerà il suo partner criminale) e aver conosciuto la sua famiglia entrerà in un turbine di omicidi e morte dal quale non riuscirà più a sfuggire.

L’eterno conflitto tra essere e apparire

Il dualismo esteriorità/interiorità diventa il fulcro della storia: la bellezza e il fascino di Carlos celano un’incredibile oscurità interiore.  Dopo il primo omicidio il protagonista perde la purezza e l’innocenza trasmesse dal suo viso angelico: l’incapacità di provare rimorso e la mancanza totale di empatia verso le proprie vittime sembrano negare la possibilità di una redenzione per Carlos che finirà anche per uccidere l’amico Ramon (per il quale provava un’attrazione di tipo sessuale). Interi passaggi sono sviluppati sull’omosessualità latente di Carlos che verrà ricondotta dai poliziotti come possibile causa del suo comportamento criminale.

Carlos Robledo Punch diviene quasi un precursore di quei criminali, come Andrew Cunanan e Ted Bundy, destinati a distruggere definitivamente la teoria di Cesare Lombroso; pronti a incantare e, allo stesso tempo, pugnalare chiunque con il loro fascino.

Un film freddo e distaccato

Il film intrattiene piuttosto bene per le sue due ore di durata anche se non mancano i momenti morti. Ortega racconta la storia di un killer ma lo fa in modo freddo, negando allo spettatore la possibilità di entrare emotivamente nella pellicola o di provare empatia per l’innocenza deturpata del protagonista. L’estetica volutamente vintage cerca di ricostruire le atmosfere degli anni ‘60/’70.

Il film per quanto fedele e ben interpretato ha un solo grande difetto: riportando sullo schermo la figura del bello e dannato, Ortega crea una storia che non riesce a coinvolgere lo spettatore. I personaggi di Carlos e Ramon, freddi e subdoli, non riescono a suscitare grande interesse nel pubblico la cui attenzione rischia di calare drasticamente con il passare dei minuti. Lo stesso rapporto tra Carlos e Ramon viene sviluppato in modo ambiguo e poco chiaro in un continuo oscillare tra morbosa amicizia e odio reciproco.

Interessanti le interpretazioni dei giovani attori, la regia accompagna bene lo spettatore lungo la storia e ricostruisce bene quella atmosfera tossica che Ortega voleva ricreare. In questo tragico viaggio nel male si susseguono personaggi piuttosto stereotipati che si contrappongono a quello di Carlos, imprevedibile e mai banale.

Personalmente mi sento di consigliare il film a chi volesse approfondire la storia di Carlos Robledo Punch, a chi ama le storie sui serial killer e a chi ha già avuto modo di apprezzare l’estetica delle pellicole di Luis Ortega.

Voto: 6,5/10