Presentato alla 72esima edizione del Festival di Cannes, Lux Æterna di Gaspar Noè è parte di un progetto ben più ampio, voluto dal direttore creativo della Maison di moda Anthony Vaccarello [1]. SELF è il nome di questo progetto artistico internazionale in cui sono stati coinvolti cineasti, fotografi e autori noti per le loro visioni iconoclastiche e contemporanee [2].

Trama

Charlotte e Béatrice sono rispettivamente protagonista ed esordiente regista di un film sulla stregoneria. Tra discussioni pseudo-filosofiche ed avanzamento della trama, il regista sfrutta questo mediometraggio per affrontare, in modo incontrovertibile, le sue idee su fede, cinema ed esperienze psichedeliche/psicotiche.

Recensione

Raramente, in un film di media lunghezza come questo Lux Æterna, è possibile trovare così tanti spunti di riflessione. Ma, ancor più raramente, Gaspar Noè ha voluto affrontare, nel corso della sua filmografia, i temi a lui più cari in modo così esplicito e incontrovertibile. Certo, spesse volte ci ha dato indizi, ci ha permesso di cogliere i suoi pensieri, tra un trip di DMT (Enter the void) e una storia d’amore al sapore di oppio (Love). Ma, nella maggior parte dei suoi lungometraggi, il desiderio alla base era quello di far sentire, più che di spiegare, ciò che è per lui il cinema e, per via traverse, farci intuire ciò che lui pensa. Lux Æterna è un film quasi urlato. A partire dal titolo, arrivando fino all’ultimissimo minuto di proiezione, Gaspar ci conduce, ci illumina, proponendoci un percorso logico determinato e non determinabile

Partiamo dal titolo. Lux Æterna significa letteralmente Luce Eterna, ed è il titolo sia di un famosissimo brano utilizzato all’interno di Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, pellicola apprezzato dallo stesso Noè, sia di un brano facente parte del canto gregoriano “Missa pro Defunctis – Messa per i defunti”. Il testo del canto deriva da un brano del quarto libro di Esdra, un apocrifo del vecchio testamento [3]. È credenza comune, all’interno della dottrina cattolica, che nel ricongiungimento con Dio i giusti vivranno nella luce eterna.

Giusti che sono ancor più i martiri. Per chi non fosse pratico della terminologia cristiano cattolica, si definiscono martiri coloro che sono giunti alla morte, in modo generalmente tragico, in nome della fede. Nel corso della storia, diverse sono state le metodologie con cui i cristiani, soprattutto dei primi secoli d.C. sono stati perseguitati e uccisi. Una su tutte era proprio la crocifissione, usata come simbolo di tortura, nonché di sfregio nei confronti dei seguaci della dottrina. La crocifissione, infatti, non solo veniva usata per beffare i credenti sull’avvenuta morte del loro profeta, ma era, generalmente, la pena riservata ai peggiori criminali. È importante sottolineare come, nell’iconografia generale, la morte tramite crocifissione sia rappresentata quasi esclusivamente tramite quella che viene chiamata crux immissa, nonostante fossero tre le principali tipologie di struttura utilizzate per la crocifissione, tra cui la cosiddetta crux simplex [4], consistente in un unico palo su cui veniva legato il condannato fino al sopraggiungere della morte per asfissia.

Il concetto di martirio, ed il parallelismo tra morte sulla croce e il rogo delle streghe, si ripresenterà nel corso della pellicola. È, infatti, il genocidio delle streghe, avvenuto nell’arco temporale che va dal 1450 al 1750 circa, ad essere uno dei temi fondanti della pellicola. Genocidio che viene perpetrato tutt’ora:

“Oggi abbiamo inventato il termine femminicidio”

Parlando di scene sul set, Béatrice parla di come la morte sul rogo sia una morte molto “chic”, ma niente di paragonabile al concetto della passione. Questo commento, apparentemente incomprensibile, porta alla luce la differenza di valutazione e di percezione che hanno avuto le due persecuzioni. Se, da una parte, il genocidio dei cristiani ha avuto incredibile risonanza, portando alla creazione di figure santificate, dall’altra il genocidio delle streghe è tutt’oggi sottovalutato, nonostante sia uno dei maggiori genocidi nella storia dell’umanità. Nel dialogo tra Béatrice e Charlotte viene affrontato non solo il dualismo tra “regina di bellezza” e “strega da ammazzare”, ma anche l’ipersessualizzazione del corpo femminile, anche in contesti in cui la sessualità non ha alcuna ragion d’essere.

Questo dualismo uomo-donna viene amplificato, nell’arco dell’intera pellicola, sia nella figura di Béatrice, la quale viene letteralmente “perseguitata”, tanto dalla produzione quanto dall’altro regista, sia dalla figura di Charlotte, la quale viene “perseguitata” da diverse figure maschili e infine seviziata nell’ultima scena.

“Il fine giustifica i mezzi”

Dice Beatrice a proposito di alcune esperienze negative vissute su set precedenti. Ed è stato sempre così all’interno della storia del cinema, come riportato dalla frase della rivista “La révue du cinema”:

“Per fare la meravigliosa scena del DIES IRAE della strega che cade nel braciere abbiamo dovuto lasciare l’attrice attaccata per due ore in cima alla scala. Niente di straordinario in confronto a ciò che rivela la sua espressione. Un orrore vero”.

Scena dal Dies Irae film del 1943 diretto da Carl Theodor Dreyer

Tuttavia, se da un certo punto di vista è presente una critica a questo sfruttamento, soprattutto del corpo femminile, dall’altro il concetto di arte non può prescindere dal concetto di sofferenza. Il cinema è, per Noè, non solo esperienza mistica, ma quasi un culto, e come culto necessita dei suoi martiri. In questa pellicola, più che mai, il regista ci parla apertamente della sua visione di cinema e di come le figure che ruotano all’interno del mondo cinematografico abbiano il compito di elevarlo a forma d’arte vera e propria. Citando apertamente Carl Theodor Dreyer, Jean-Luc Godard, Rainer Werner Fassbinder e Luis Buñuel, Noè esalta coloro che sono i maggiori esponenti dell’arte cinematografica, e coloro che più ispirano il suo lavoro come regista. Lavoro come regista che è secondo solo al suo essere un cinefilo per eccellenza. Il suo amore per il cinema, che sta tanto nel creare opere cinematografiche, quanto nel fruire di quelle altrui, si trasforma in esperienza mistica, quasi estatica.

Diversi sono, infatti, i parallelismi che Noè ha fatto, nel corso della sua carriera registica, tra visione cinematografica ed esperienza psichedelica da sostanza psicotropa. In questo mediometraggio osa fare un passo in avanti, partendo dall’esperienza di epilessia di Fëdor Dostoevskij.

“Siete tutti in buona salute, ma non potreste mai immaginare la suprema felicità che prova l’epilettico un secondo prima della crisi. Tutta la felicità ricevuta in una vita non la cambierei con questa per niente al mondo”.

L’autore iniziò ad avere crisi epilettiche già nell’adolescenza. È, tuttavia, a partire dai quarant’anni che le crisi si rendono più frequenti, prendendo una connotazione quasi estatica nel senso più religioso del termine [5].

Ritratto di Fëdor Dostoevskij

In questa riflessione di tipo cinematografico-religioso che è Lux Æterna, Noè si addentra in quel concetto di martirio, vicino alla visione di Pascal Laugier in Martyrs. Il termine martire, infatti, deriva dal greco e significa letteralmente “testimone”. Come nel dolore estremo è possibile raggiungere l’apice del piacere e l’esperienza estatica, così con il cinema e la sperimentazione estrema è possibile raggiungere l’estasi dell’arte.

Scena tratta da Martyrs di Pascal Laugier

Ma Lux Æterna non può essere analizzato prescindendo dalle convinzioni personali del regista. Convinzioni che Noè non si dimentica di sottolineare attraverso l’ultimo frame della pellicola.

“Grazie a Dio sono Ateo!”.

Questa frase di Luis Buñuel è la sintesi di tutta la sua riflessione. Noè si approccia ai concetti religiosi come un libero pensatore a cui piace addentrarsi nelle tematiche e porsi domande, arrivando a formulare riflessioni che possono apparentemente sembrare antitetiche con tutta la sua ideologia personale. Già con Enter the void, il regista ci aveva abituati alle sue iperboli filosofiche che permettono tanto al regista stesso, quanto allo spettatore, di porsi le “giuste” domande, cercando, più che delle risposte secche, di stimolare delle riflessioni, partendo da punti di vista fermi e imprescindibili. Noè è ateo, ma questo non trascende la possibilità di interrogarsi sulla religione e sulle conseguenze della stessa. Ed è questo il punto di forza di questo Lux Æterna. Non è un film che vuole dare risposte, ma è un viaggio all’interno della mente del regista e della sua visione su cinema, religione e società. Un mediometraggio capace di farti riflettere per giorni e aprirti la mente. Una vera e propria opera disquisizione filosofica in soli 51 min.

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