Lucio Fulci, il “terrorista dei generi”, è stato uno dei più prolifici registi italiani; la sua filmografia ampissima spaziava dalla commedia al giallo fino ad approdare, sul finire degli anni ’70, all’horror. Eppure, nonostante la poliedricità e l’influsso che il suo cinema, soprattutto horror, ha esercitato – e ancora esercita – sui registi stranieri, Lucio Fulci è stato sempre snobbato e incompreso da quei “critici” che definivano i suoi film “prodotti di bassa macelleria”. Col tempo, come spesso accade, Fulci è stato rivalutato e il suo operato si è riabilitato agli occhi di tutti: uno dei suoi film più apprezzati, quello ritenuto il suo capolavoro e addirittura il preferito dal regista stesso, è Non si sevizia un paperino del 1972. Vediamo insieme di cosa si tratta e ciò che l’ha reso rivoluzionario, oltre che immortale.

Trama

Un piccolo paese della Basilicata è scosso da una serie di omicidi di bambini; il giornalista Andrea Martelli (Tomas Milian) e la giovane e ricca Patrizia (Barbara Bouchet), misteriosa femme fatale, uniscono le forze per trovare l’assassino. Tra credenze popolari e mentalità retrograda, la vicenda prosegue in un crescendo di tensione e con depistaggi continui, fino allo scioglimento finale dell’intreccio.

Ambientazione e temi di Non si sevizia un paperino

Del tutto inusuale fu, per il cinema giallo italiano, la scelta di ambientare la vicenda in un paese del sud Italia, ancora negli anni ’70 dominato da superstizioni e falso perbenismo, con un generale rifiuto di tutto ciò che è diverso o incontrollabile. Infatti, i primi ad essere perseguitati e accusati dei crimini sono Giuseppe, ovvero “lo scemo del paese”, e una donna chiamata da tutti maciara (Florinda Bolkan), una sorta di fattucchiera che sostiene di aver ucciso lei i bambini con dei rituali di magia nera e che per questo verrà linciata dai padri delle vittime, prima di avere conferma della sua effettiva colpevolezza. La stessa Patrizia, proveniente dalla grande Milano, diviene una sospettata per la sua presunta promiscuità e sensualità dirompente, che cozza con le tipiche donne-madri di paese.

La scena del linciaggio della maciara.

Di magico però non c’è nulla e il colpevole è altrove, dove non ci si aspetterebbe, nascosto in bella vista (e qui il film, sul finale, si avvicina molto a Chi l’ha vista morire? di Aldo Lado, uscito quello stesso anno). La critica sociale di Fulci diventa un brutale affresco dell’Italia arretrata, una “questione meridionale” tinta di sangue, in cui l’ossessione per il peccato annebbia la mente di chi dovrebbe incarnare il ruolo di pastore di anime. L’erotismo che pervade la pellicola, la violenza contro gli emarginati e il tema della pedofilia hanno fatto di Non si sevizia un paperino un film coraggioso e provocatorio, unico nel sottogenere di appartenenza, massacrato dalle critiche negative degli indignati ma, per fortuna, apprezzato da chi ci aveva visto lungo e ne aveva compreso il genio e l’importanza.

Curiosità

  • Il film è ispirato a fatti realmente accaduti nel 1971 a Bitonto.
  • Fulci venne denunciato e portato in tribunale per la scena in cui Barbara Bouchet, completamente nuda, si fa servire da un bambino. Il regista spiegò che quella scena era stata girata con un attore nano come controfigura e che, in realtà, il bambino non vide mai l’attrice senza veli.
  • Il titolo del film sarebbe dovuto essere Non si sevizia paperino, ma la Disney si oppose per evitare collegamenti con il suo famoso papero, imponendo l’aggiunta dell’articolo. Su alcune locandine l’articolo fu inserito con un colore simile a quello dello sfondo, in modo che non fosse ben visibile.

Disponibile, grazie a Midnight Factory, il docu-film su Fulci diretto da Simone Scafidi: Fulci For Fake.