Nosferatu esce in in alcune sale italiane già dal 31 dicembre 2024, e in tutti i cinema dal primo gennaio 2025. Con una ricostruzione meticolosa dell’Europa gotica e un’atmosfera opprimente, Robert Eggers riporta sullo schermo il romanzo di Bram Stoker nella celebre versione non ufficiale (con il conte Dracula chiamato conte Orlok). Lo stile del regista di The Witch e The Lighthouse diventa ancora più cupo, un film gotico moderno che non si ferma a rifare i classici del passato ma riscrive e reinventa il mito.
Pur mantenendo una coerenza nel suo approccio al folklore e alla storia, Robert Eggers ha provato nuovamente ad ampliare la complessità visiva dei suoi film – come si notava anche nel precedente The Northman. Terzo film che è stato sicuramente il suo lavoro più difficoltoso e l’impressione è che con Nosferatu, nonostante la grandezza del progetto, sia riuscito a gestire meglio tutte le fasi produttive. Gran parte delle riprese di Nosferatu sono state fatte a Praga, scelta che ha avuto un impatto decisivo sulla bellezza visiva del film. L’architettura gotica della città si integra perfettamente con il tono oscuro della storia, e Eggers sfrutta appieno questa risorsa, facendo in modo che ogni scena supporti sia la trama che l’atmosfera inquietante e opprimente.
La trama segue chiaramente le linee classiche del mito: Thomas Hutter (Nicholas Hoult), un agente immobiliare, si reca in Transylvania per consegnare documenti a un misterioso conte. Lascia così la moglie Ellen (Lily-Rose Depp), una donna tormentata da episodi di delirio. Il viaggio lo porta a incontrare il Conte Orlok (Bill Skarsgård), un essere inquietante che sviluppa un legame oscuro con Ellen. Il professor Von Franz (Willem Dafoe), un occultista, diventa un alleato chiave nella lotta contro il vampiro.
I 4 film di Robert Eggers hanno tutti un forte legame con il passato, c’è sempre un’attenzione meticolosa ai dettagli storici e folkloristici. In Nosferatu, il regista crea un’atmosfera spesso claustrofobica, in cui la città diventa un luogo buio e malsano, dove ogni inquadratura è visivamente inquietante, tanto da ritrovarsi a fissare l’oscurità in alcuni momenti del film. E il film è principalmente questo (in relazione alla protagonista), più scappiamo dal nostro lato oscuro e più ne saremo vittime. Di Eggers ritroviamo l’approccio minimalista (più simile al suo The Witch in questo caso), dove l’atmosfera cupa e l’angoscia sono una costante per l’intera durata del film. L’oscurità non è solo visiva ma anche tematica, e non offre momenti di sollievo, i personaggi lottano contro forze fuori dal loro controllo, e in Nosferatu questo tema raggiunge il suo culmine tragico attraverso il destino di Ellen.
La rilettura moderna di un classico
Nel panorama cinematografico, i vampiri tendono a rientrare in due grandi archetipi. Da un lato, c’è il vampiro elegante e seducente, reso celebre dall’interpretazione di Bela Lugosi nel Dracula del 1931, e che ha ispirato innumerevoli personaggi fino ai giorni nostri. Dall’altro, c’è una versione del vampiro più feroce e primordiale, quella nata con il Nosferatu di Murnau del 1922, dove Max Schreck interpretò una creatura più mostruosa che ancora oggi influenza il genere horror. Il Nosferatu di Eggers è distante dall’eleganza dei Dracula classici e da quello di Francis Ford Coppola del 1992.
Nella prima fase del film (oltre che nel trailer), Eggers ci nasconde la figura del conte Orlok, giocando con ombre e luci per mantenere alta la tensione fino a quando non si vede più chiaramente. Un vampiro nascosto nelle tenebre, come un male che cresce silenzioso prima di rivelarsi. L’interpretazione di Bill Skarsgård è di forte impatto, in diverse scene parla in una lingua balcanica antica e la sua voce sa essere davvero demoniaca. Eggers infatti rielabora la figura del vampiro rendendolo più animalesco e demoniaco, creando una connessione psichica con Ellen che affonda le radici dalla sua giovane età.
L’approccio meticoloso di Eggers alla storia si distanzia in parte dalle interpretazioni precedenti, ma mantiene sempre una sua coerenza interna (cosa fondamentale quando si realizza un’opera cinematografica). Mentre il Dracula letterario viene descritto come un aristocratico elegante e misterioso, l’Orlok di Eggers assume una forma più brutale, portando con sé non solo morte ma anche malattia e corruzione. Proprio come un’epidemia. In questo vuoto e senso di abbandono si inserisce bene il conte Orlok. Le sequenze più cruente lo mostrano mentre lacera le sue vittime con violenza, rendendo il suo impatto fisico molto più evidente rispetto alla tradizionale figura del vampiro seduttore. Una scena su tutte, nella seconda parte, lo riprende nel momento più terrificante del film che ricorda il dipinto di Goya “Saturno che divora i suoi figli”. Il conte Orlok è quindi un personaggio in grado di incarnare un vampiro-demone più viscerale, con un forte legame alla terra (e alla storia) da cui proviene. In un’epoca dominata da vampiri giovani e carismatici, è una scelta coraggiosa quella di puntare sulla figura di un vampiro così primordiale.
Ma la vera forza di questo Nosferatu sta nel modo in cui riesce a scavare nel mito del vampiro, esplorando temi e immagini che vanno ben oltre la superficie della storia di Dracula. Diventando a tutti gli effetti una vera e propria riflessione sulla natura del male. Senza descrivere ulteriormente il personaggio vi lascio una citazione presente nel primo capitolo del Dracula di Bram Stoker, quando Jonathan Harker descrive il conte al primo incontro nel castello:
“He was a tall old man, clean-shaven except for a long white moustache, and clad in black from head to foot, without a single speck of colour about him anywhere.”
Il fulcro narrativo del Nosferatu di Eggers è la relazione tra il conte Orlok e Ellen. Da subito, lei appare come una giovane donna tormentata, con un passato che sembra nascondere qualcosa di irrisolto e una strana attrazione verso il proibito. Quella di Bill Skarsgård è un’interpretazione camaleontica, imponente e con un’aura misteriosa. Riesce davvero a ridefinire il personaggio, dimostrando ancora una volta la sua straordinaria versatilità come attore. La sorpresa invece è Lily-Rose Depp (figlia di Johnny Depp, su cui il regista scommette dopo aver rinunciato ad Anya Taylor-Joy) con una performance intensa e capace di passare con naturalezza dalla dolcezza all’erotismo, fino a momenti di pura inquietudine (con una scena che ricorda quella di Isabelle Adjani in Possession). Altro personaggio importante è anche il marito di Ellen (Thomas), interpretato da Nicholas Hoult. Con una vulnerabilità convincente rappresenta l’uomo comune di fronte alla paura dell’ignoto e dell’oscurità più profonda. La sua performance, inizialmente caratterizzata da un’ingenuità quasi eccessiva, evolve credibilmente verso una determinazione disperata.
Lily-Rose Depp diventa il cuore pulsante del film
Una delle differenze più evidenti in questo nuovo Nosferatu è la caratterizzazione di Ellen. Non più vittima passiva, il suo personaggio è molto più complesso e tormentato. I suoi momenti di delirio s’intrecciano con la connessione psichica che sembra legarla a Orlok, in un rapporto inquietante, ossessivo e morboso. Questo porta il film a esplorare temi come il desiderio e la sessualità nella Germania dell’800, mentre la città cade preda del caos, con un’epidemia che arriva con orde di ratti. La performance di Lily-Rose Depp riesce a restituire tutto il tormento interiore di Ellen, trasformandola in un personaggio che sovverte le aspettative e spiazza gli uomini che cercano di controllarla (scelta saggia e intelligente da parte di Eggers). Ellen diventa il fulcro emotivo del film, rappresentando perfettamente il conflitto tra libero arbitrio e forze oscure. Desiderio e perdizione mettono in discussione l’origine del male, mentre a Ellen non resta che affidarsi alle visioni che ha nel sonno, consapevole che quel demone sta venendo a prenderla. Una scena di apparente possessione può apparire ridondante ma è invece gestita sapientemente, con la Depp che nella follia mantiene un’incredibile intensità magnetica, capace di oscillare tra vulnerabilità, agonia e piacere.
L’interpretazione di Bill Skarsgård come conte Orlok è impressionante per la sua capacità di creare un mostro che va oltre l’aspetto fisico. La sua trasformazione è totale: dalla voce profonda che sembra provenire dalle viscere della terra, ai movimenti innaturali del corpo. Skarsgård – che già abbiamo notato per altre prove estreme come Pennywise in It – dimostra ancora una volta la sua capacità di incarnare mostri memorabili senza dipendere troppo da quelli del passato.
Willem Dafoe, nel ruolo del Professor Von Franz, porta invece un tono più grottesco ma mai caricaturale, che bilancia i toni più cupi del film. Con la sua interpretazione dell’occultista riesce a mantenere un buon equilibrio, e anche se non è fra i suoi ruoli più memorabili si dimostra ancora un ottimo collaboratore per Eggers. Un po’ meno convincente invece la prova di Aaron Taylor-Johnson ma tutto sommato credibile, almeno quanto basta.
Succumb to the darkness – Accogli le tenebre
Il rapporto fra Ellen e il Conte Orlok non è basato sulla seduzione romantica, come nel Dracula di Coppola, bensì su un legame più oscuro e disturbante che si concentra più sul tema della possessione e e del controllo. Non a caso questo vampiro si nutre direttamente attraverso il cuore di lei, e non dal collo come eravamo abituati. Un legame principalmente psichico, iniziato quando lei, più giovane, si lasciò andare a un grido disperato di aiuto “Come to me – Vieni da me“. Le visioni di Ellen, i suoi deliri e la sua apparente attrazione verso l’oscurità sollevano domande inquietanti sulla natura del male. In questo film l’oscurità viene intesa anche come una fase necessaria se vogliamo in qualche modo evolvere e lasciare alle spalle la nostre paure. Come suggerisce anche il personaggio di Willem Dafoe alla protagonista, esprimendo il concetto che per “controllare” e sconfiggere il male bisogna prima accettarlo. Succumb to the darkness, come leggiamo sul poster americano, o Accogli le tenebre su quello italiano.
Il lavoro del direttore della fotografia Jarin Blaschke è fondamentale nel creare l’atmosfera opprimente del film. Ormai fedele collaboratore di Eggers, di recente ha anche lavorato per Shyamalan in Bussano alla porta. La sua estetica qui è un trionfo del gotico più estremo, dove il nero si mescola con colori desaturati, e i giochi di ombre evocano un’oscurità tangibile. Una palette cromatica dominata da toni blu-grigi e quasi priva di saturazione, per dare la sensazione di un mondo privo di vitalità. L’uso delle ombre va oltre il semplice omaggio all’espressionismo tedesco: diventa uno strumento narrativo che trasforma l’ombra stessa del vampiro in una presenza quasi autonoma, e annulla tutte le altre ombre insignificanti. Anche l’uso del bianco non è mai davvero per illuminare ma ha sempre qualcosa di spettrale, complice la nebbia. E infine non si può non menzionare la colonna sonora di Robin Carolan con melodie inquietanti e ammalianti, qui alla sua seconda collaborazione con Eggers dopo The Northman.
In conclusione
La potenza visiva di questo nuovo Nosferatu non lascia indifferenti, lasciando nello spettatore un senso di disagio che persiste ben oltre i titoli di coda. È un’opera capace di inquietare e affascinare attraverso una maestria tecnica e narrativa che non si trovano spesso nell’horror contemporaneo, restituendo nuova vita al mito del vampiro. Un film che dimostra come i classici, se reinterpretati con rispetto e visione artistica, possano ancora terrorizzare e catturare l’attenzione del pubblico più giovane.
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