Era il 3 luglio del 1957 quando in Italia nacque uno dei registi più particolari del panorama horror nostrano: Michele Soavi. Quello stesso Soavi che proprio oggi compie 68 anni e a cui facciamo tantissimi auguri.

La nascita di un mito

Sette film cinematografici all’attivo, di cui i primi quattro dell’orrore, un documentario su Dario Argento, diciannove serie e miniserie dirette per la televisione italiana tra il 1999 e il 2023. Per non parlare dei sei film di cui è stato regista di seconda unità (tra cui Le avventure del barone di Münchausen del 1988 e I fratelli Grimm e l’incantevole strega del 2005, entrambi di Terry Gilliam) e il suo ruolo di attore dal 1975 al 2018. Michele Soavi ha all’attivo una carriera che tra alti e bassi potremmo definire formidabile ma che, purtroppo, lo ha visto lontano dal genere che più ci piace dal 1994, anno di quello che per molti è il suo capolavoro e che per altri è l’ultimo grande film della grande stagione horror italiana: Dellamorte Dellamore. Ma quei quattro film, seppur dimenticati qui da noi, nel resto del mondo hanno fatto scuola e sono considerati dei cult assoluti da citare e imitare.

L’iconica maschera del killer in Deliria, il folle orrore visivo tra weird e barocco de La Chiesa, il respiro internazionale di un film come La Setta o l’indissolubile (anche se non sempre corretto) legame che Dellamorte Dellamore ha con un personaggio amatissimo e conosciuto come Dylan Dog sono tutt’ora sinonimo di horror italiano in tutto il mondo (dagli Stati Uniti d’America al Giappone) assieme a nomi come Bava, Fulci, Argento e altri mostri sacri.

In Italia, al contrario, si tende a dimenticare o, meglio, a rimuovere. E Soavi qui da noi resta sinonimo di film come l’ottimo Arrivederci amore, ciao (2006), il controverso Il Sangue dei Vinti (2008) e La Befana vien di notte o di miniserie del calibro di Rocco Schiavone che, nel piatto panorama televisivo italiano, resta un unicum di qualità.

Un poeta dell’orrore

Soavi ha sempre avuto una visione particolarissima, addirittura unica, del cinema horror. Un vero e proprio poeta del macabro e dell’incomprensibile che ragiona per immagini e in esse imprime la propria visione tanto stilistica quanto poetica. Il suo immenso talento fu notato per la prima volta dal compianto Aristide Massaccesi (Joe D’Amato) che, oltre a volerlo in alcuni sui film come attore e sceneggiatore, fu responsabile del suo debutto da regista producendo (attraverso la Filmirage) l’esordio del nostro con quel Deliria del 1987 che venne subito esportato all’estero con il titolo internazionale Aquarius, facendosi notare oltreoceano nonostante si trattasse di un b-movie girato con quattro lire e in condizioni abbastanza borderline. Prima ancora, però, Soavi era stato attore o aiuto regista di altri maestri come Lucio Fulci, Lamberto Bava e Dario Argento, ovvero colui che lo lanciò nell’industria horror che conta producendo e co-scrivendo quel La Chiesa (1989) che lo fece notare al grande pubblico.

Michele Soavi qui da noi è stato tristemente dimenticato. Quando si fanno i nomi dei rappresentanti del grande cinema horror italiano, non sempre viene nominato ed è assurdo, considerando la qualità artistica e stilistica delle sue opere. Per fortuna stesso destino non ha trovato in altre parti del mondo, dove viene ancora osannato e riconosciuto come grande maestro. Per Quentin Tarantino, ad esempio, è sempre stato un vero idolo e il regista americano lo ha confermato più volte in diverse interviste. E a quanto pare il buon vecchio Quentin non porta rancore, dato quello era successo tra i due proprio qui, in Italia, con più precisione a Viareggio.

Storia di un leggendario (quasi) incontro

20 giugno 1992, Viareggio. Sono giorni di Noir in Festival, importante evento dedicato al giallo e al noir tra cinema e letteratura. Tra gli ospiti c’è un giovane e talentuoso regista che è lì per presentare il suo esordio dietro la macchina da presa. Il film si intitola Le Iene e quel ventinovenne entusiasta si chiama Quentin Tarantino. Le Iene non è ancora uscito nei cinema americani, è stato presentato solo pochi mesi prima al Sundance e addirittura pochi giorni prima al Festival di Cannes durante una proiezione di mezzanotte: il film, quindi, lo hanno visto davvero in pochi e quella di Viareggio è quasi una prima.

In questa edizione, in giuria, c’è anche Michele Soavi. La Setta é uscito solo un anno prima mentre ci vorranno ancora due anni per Dellamorte Dellamore. Soavi è già un mito, soprattutto per quel giovane cineasta americano al suo debutto. Quel giorno Le Iene è quarto in ordine di proiezione. Il film inizia ma, dopo pochi minuti, Soavi si allontana e lascia la sala. Quentin, che lo conosce e lo venera, se ne accorge. Che il film non sia di suo gradimento? Tarantino si alza, lo segue, lo blocca, si getta in ginocchio ai suoi piedi. Lo supplica di non andare via e di assistere alla proiezione. Ma Soavi, che non ama le attenzioni né mediatiche né tantomeno dei fan, chiama la sicurezza e lo fa allontanare. Non tornerà in sala, non finirà di guardare Le Iene.

Per Tarantino però quel festival fu comunque un successo e la sua prima proiezione per il grande pubblico non fece altro che confermare quanto di buono si dicessi sul suo conto. Tutt’ora il regista di Kill Bill ricorda con entusiasmo e affetto quella trasferta italiana.

Quest’episodio potrebbe sembrare una leggenda metropolitana ma non lo è: è successo davvero. In futuro Soavi spiegherà che non era per il film che aveva abbandonato la proiezione. Semplicemente, dopo i primi quattro lungometraggi, si sentiva affaticato emotivamente. Per Michele la visione cinematografica non è passiva, per lui qualunque film richiede uno sforzo. Quel giorno si era allontanato perché si era reso conto di non riuscire a seguirlo, di non riuscire a dedicarcisi completamente. A dirla tutta, quel poco che aveva visto non gli era neanche dispiaciuto. Soavi aggiunge anche che non conosceva Tarantino, non sapeva nemmeno chi fosse, ai tempi.

Quentin Tarantino non si è offeso in seguito a quell’episodio. Anzi, pochi anni più tardi, l’americano tentò di riallacciare i rapporti con Soavi offrendogli la regia di quello che sarebbe diventato un cult di Robert Rodriguez: Dal Tramonto all’Alba. Ma anche quella volta le cose non andarono come il regista di Pulp Fiction si aspettava: dopo aver letto la sceneggiatura, Soavi declinò l’offerta. Non sentendosi sicuro, preferì lasciare che a dirigere il film fosse qualcuno che lo sentisse più suo.

Si sa, Tarantino e sempre stato un amante del cinema di genere nostrano. Anzi, rimpiange forse più di noi la brutta fine che ha fatto. Eppure, tutt’ora, quando gli si chiede di cinema italiano, lui nomina sempre Michele Soavi.

Una nuova stagione dell’horror italiano?

Sono ormai sette anni che Michele Soavi ha abbandonato il cinema. E ne sono passati ventuno dal suo ultimo film horror. Tutti noi appassionati speriamo sempre in un suo ritorno alle origini, ma l’Italia non ha più una tradizione di genere e lui non è più un ragazzino. Tutto questo dovrebbe far pensare. Si dovrebbe lavorare per rilanciare una nuova stagione di quel cinema che ha fatto conoscere l’Italia nel mondo forse addirittura di più di quanto abbia fatto il cinema d’autore. Ma è difficile, se non impossibile, sottostando alle rigide logiche di mercato che governano tutto, compresa l’industria cinematografica.

Per lo meno ci restano tante opere incredibili e quattro bellissimi film più un capolavoro diretti da Michele Soavi. Un regista che, insieme ad altri pochi nomi, ha fatto la storia di un genere. E poi c’è questo (quasi) incontro che è diventato leggendario.

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