Des Teufels Bad, noto anche come The Devil’s Bath, è un lungometraggio diretto e scritto dai cineasti austriaci Severin Fiala e Veronika Franz, lo stesso duo dietro Goodnight Mommy (2014). La sceneggiatura è ispirata a casi reali riportati nel libro Suicide by Proxy in Early Modern Germany: Crime, Sin and Salvation, di Kathy Stuart.

Il film è impostato come un horror psicologico che punta a creare il suo apice nello shock visivo. Ciò che risalta è la meticolosa ricerca svolta dal duo di cineasti per raccontare uno dei numerosi casi di terrore vissuti dalle donne nel 1700.
Il bagno del diavolo – La depressione nel XVIII secolo
Fiala e Franz descrivono con un taglio realistico, solo a volte un po’ esasperato, la condizione di donne portate al proprio limite di salute mentale da una condizione di depressione, status che nel XVIII secolo veniva designato con l’espressione “bagno del diavolo.” Se inizialmente Agnes viene presentata come una donna dolce e appassionata della natura, questa prospettiva viene a mutarsi quando scopre che la sua libido non viene ricambiata nel matrimonio e non riesce a trovare il suo posto in una comunità patriarcale estremamente religiosa.

L’omicidio come forma di salvezza
La scena iniziale diventa un ricordo, un presagio inevitabile per Agnes. Franz e Fiala intendono trasmettere un’idea di inferno quasi letterale, come suggerisce il titolo. Una realtà opprimente e disperata prosciuga progressivamente le energie della protagonista, fino alla rappresentazione della pratica del suicidio per procura (suicide by proxy). In questo modello ben radicato nell’Europa tra XVII e XVIII, secondo quanto approfondito da Kathy Stuart, i membri della società, considerando il suicidio un atto di peccato (che li avrebbe esclusi dal Paradiso), preferiscono optare per un omicidio, in modo da venire a loro volta giustiziati. In questo modo l’accesso al Paradiso non è più precluso.

Forma ed estetica in The Devil’s Bath
L’estetica di Devil’s Bath riflette lo stato emotivo della protagonista. Predomina l’aspetto grigiastro e levigato, le inquadrature aperte che segnalano una profonda idea di solitudine. Questo senso di isolamento viene rafforzato anche dalla location della nuova abotazione della coppia: una casa immersa nella natura in mezzo al nulla.
Il declino emotivo di Agnes è ricostruito anche sul piano visivo, con la protagonista che cerca alternative per espiare il tormento che da psicologico è divenuto fisico e la consuma.
Vale la pena notare come questo deterioramento finisca per coincidere con la mancata risposta alla pressione del patriarcato, dei dogmi religiosi e, conseguentemente, della sua più grande frustrazione, quella di non rimanere incinta.

Estremismo religioso, depressione e pazzia
Il film può essere letto come un monito sui pericoli dell’estremismo religioso, certamente superato nei tempi moderni, ma che di tanto in tanto minaccia in varie forme di ritornare. Per gli esperti in materia di psiche, The Devil’s Bath costituisce una riflessione di notevole interesse sulla depressione femminile.
È impressionante anche il fatto che, nonostante l’estrema qualità tecnica e la splendida fotografia di Martin Gschlacht, il film sia stato girato in soli 40 giorni, sfruttando le favorevoli condizioni naturali di Austria e Germania.

The Devil’s Bath è stato presentato in anteprima al Festival di Berlino nel febbraio 2024, vincendo l’Orso d’argento proprio per il contributo artistico della fotografia. Il film è poi sbarcato, quattro mesi dopo, negli Stati Uniti sulla piattaforma Shudder.
The Devil’s Bath non è però adatto a tutti. Il ritmo lento, la lunga durata e la mancanza di azione potranno essere considerati “noiosi” da una parte del pubblico. Si tratta di un è un film crudo, crudele e realistico. Un Folk horror pesante, soprattutto a livello psicologico, con uno sviluppo che lascia il segno nello spettatore.
recensione a cura di Francine Arioza
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