“The Substance” è il racconto di una parabola discendente di perdita d’identità e desiderio di accettazione del proprio io, che si vuole ricevere più dall’ambiente esterno che da sé stessi, il tutto narrato in una maniera esagerata ed esplicita, tanto da raggiungere e superare l’ipermorfismo. Non è un caso che gli Oscar 2025 abbiano premiato l’opera di Coralie Fargeat per la categoria “Miglior Trucco e Acconciatura”: il corpo e le sue trasformazioni sono il cuore pulsante della trama, un cuore quasi più letterale che metaforico. E se questa ‘sostanza’ ha potuto prendere vita lo si deve, anche, a una capacità di raccontare lo stesso medium del cinema attraverso numerosi riferimenti disseminati per tutta la pellicola. Fargeat ha così creato un’altra storia hollywoodiana, che ci parla del fascino e delle contraddizioni, delle luci e delle ombre di quel sistema, ma lo ha fatto citando tanti cineasti, coniugandone le filosofie e riprendendone gli schemi stilistici ed estetici, dando quindi vita a un ecosistema narrativo solido e ricco di spunti, delle visioni che di seguito si porzioneranno e analizzeranno, come una piccola guida essenziale per orientarsi tra una scena e l’altra e poter cogliere ciò che la regista ha voluto farci vedere e più o meno far intendere.
STEPHEN KING
Uno dei più importanti autori della letteratura contemporanea è citato attraverso due trasposizioni cinematografiche tratte dai suoi libri: “Shining” e “Carrie”. È opinione diffusa che King abbia avuto un rapporto controverso con la controparte cinematografica del primo, diretta nel 1980 da Stanley Kubrick e ad oggi considerata un caposaldo del cinema horror.

In “The Substance” i riferimenti a Kubrick sono onnipresenti, tali da voler immergere lo spettatore in un’esperienza confusionaria per la mente: i lunghi corridoi degli studi cinematografici dove Liz/Sue sono spesso a disagio, le stesse trame del pavimento e il bagno di sangue in un ambiente vacuo e asettico ci ricollegano al di là dello spazio e del tempo ai corridoi dell’Overlook Hotel, dove niente è ciò che sembra. Il finale del film, nel quale il ‘Monstro Elisasue’ inonda il pubblico coi suoi fluidi ematici, ci rimanda invece al tragico epilogo della Notte del Ballo nera di “Carrie”. In entrambi i film pervade il sentimento della vendetta, di risentimento, quasi di rivalsa verso un pubblico colto dal terrore e colpevole di demonizzare la protagonista.

DARREN ARONOFSKY
Il regista statunitense viene citato attraverso riferimenti a “Il Cigno Nero” e “Requiem For A Dream”. Se nel primo caso il filo conduttore è il tema della doppia identità, della convivenza tossica con il proprio lato nascosto come tensione di un rapporto che porta alla distruzione fisica del sé, nel secondo caso abbiamo addirittura una precisa citazione scenica: la cicatrice sulla spina dorsale di Elisabeth, che va deteriorandosi in seguito ai continui e scelerati prelievi di Sue, ricorda tanto la cicatrice in cancrena sul braccio di Harry (Jared Leto), quando il destino del protagonista è ormai segnato in maniera tragica.

DAVID LYNCH
La recente dipartita di David Lynch ha lasciato il mondo del cinema orfano di una delle sue menti più creative, originali e dirompenti. Lo sguardo del cineasta del Montana è stato come un faro che ha posato la sua luce in posti perturbanti e bizzarri, a cui non è mai facile essere abituati. Se la fisionomia del ‘Monstro Elisasue’ può facilmente ricordare quella di John Merrick (John Hurt) in “The Elephant Man”, è altrettanto interessante formulare un parallelismo tra l’ambientazione di “The Substance” e di “Mulholland Drive”. Entrambe le trame si svolgono in una Hollywood sempre sospesa tra idealizzazione e realtà, sogno e vita vera, tra la scenografia di uno show televisivo e il degrado dell’archivio da cui la protagonista preleva periodicamente la ‘Sostanza’, sempre in alto su quelle colline da cui si domina una città immensa, ma dalla quale ci si sente isolati, impossibilitati nel toccare la sua immanenza, come svegliarsi da un bel sogno.

DAVID CRONENBERG
Il padre del body horror non poteva non lasciare la sua impronta in “The Substance”, proprio lui che ha consacrato questo genere e che molteplici volte ha plasmato, deformato e distrutto corpi, attraverso i quali ha spesso raccontato il complicato rapporto dell’uomo con i suoi simili, con la società e la tecnologia. Nelle prime scene iniziali, la presenza della mosca, simbolicamente associata allo sporco, alla corruzione, a uno stato di decadenza, è un chiaro omaggio a uno dei film più iconici del regista canadese, “The Fly”.

PULP FICTION
Nella storia del cinema c’è un prima e un dopo il capolavoro di Tarantino, anch’esso ambientato a Los Angeles. Appena prima della lotta tra Sue ed Elisabeth, quando quest’ultima prova ad eliminare la sua controparte più giovane con una siringa, viene ripresa la stessa posa e lo stesso colpo che Vincent Vega (John Travolta) infierisce a Mia Wallace (Uma Thurman) con una siringa di adrenalina, per risvegliarla dall’overdose. Un parallelismo iconografico dove un oggetto è opposto all’altro: nella siringa di “The Substance” c’è la morte, in quella di “Pulp Fiction” la vita.

MATRIX
Come il film di Fargeat, così anche la distopia delle sorelle Wachowski era foriera di numerose influenze culturali, dalla filosofia di Platone al manga “Ghost In The Shell”, per citarne alcune. E a sua volta, l’influenza di “Matrix” è presente in due concetti: matrice e nascita. Il corpo generato è imprescindibile dalla sua matrice, come il soggetto simulato non può vivere senza il suo doppio originale. Un rapporto molto stretto, una questione di vita o di morte, nel senso più letterale del termine. E anche la nascita, rappresentata in entrambe le pellicole in maniera forte, ha un significato importante: dalla spina dorsale di Elisabeth viene partorita Sue, che ben presto tenderà ad abbandonare a sé stessa la sua matrice, preferendo una nuova vita; allo stesso modo, la nuova vita di Neo (Keanu Reeves) in un indefinito futuro post-apocalittico ha inizio con un vero e proprio parto, uscendo dagli uteri artificiali creati dalle macchine senzienti che hanno preso il potere assoluto su tutto il pianeta.

Da questi riferimenti, “The Substance” esce come un film complesso, sia appunto per le citazioni e gli omaggi insiti in sé, che nelle tematiche trattate, spesso strettamente inerenti all’attualità. Il risultato finale è un corpo di per sé ragionato e complesso, al quale vengono aggiunti, come tante protesi, elementi di significato che non lo impoveriscono come un mero esercizio di citazionismo fine a sé stesso, ma, anzi, ne arricchiscono il senso originale, coinvolgendo anche lo spettatore in un costante esercizio di attenzione a precisi dettagli.
a cura di Mario Tamborrino
Leggi anche: The Shrouds – David Cronenberg con il suo film più personale