Che una regista donna vincesse la Palma d’oro a Cannes era inaspettato. Successe solamente una volta con la storica vittoria di Jane Campion per il bellissimo Lezioni di Piano nel 1993. Che lo facesse con un thriller drammatico che strizza l’occhio all’ horror e che ci regala qualche scena gore poi…chi lo avrebbe mai immaginato? Questo è Titane, di Julia Ducournau, già regista del controverso Raw. Titane è sangue e metallo, un film che abbraccia diversi generi e con mille sfumature. Attuale, diretto, violento, ci serve su un piatto d’argento feticismi espliciti e messaggi ermetici e più nascosti, mescolando body horror e cinema d’autore. Titane è molte, moltissime cose ma per me resta una profonda e sofferta storia d’amore.

Il Viaggio di Alexia

Dopo un incidente automobilistico in seguito a una lite col padre (elemento importante sul quale si fonderà poi l’ evoluzione della pellicola e della stessa protagonista) la piccola Alexia viene operata alla testa. Ne uscirà con una placca al titanio (che ci suggerisce il titolo) una ragnatela di cicatrici sopra l’orecchio e un dubbio equilibrio psicologico. Una rabbia repressa e latente pronta a esplodere in raptus, a volte apparentemente immotivati, di sangue e violenza. La ritroviamo adulta ballerina nelle esposizioni di auto, sessualmente soddisfatta solo dal metallo delle vetture sulle quali sfrega il suo corpo fino all’orgasmo e serial killer in fuga dalla polizia o, forse, da sè stessa…

“Ma quanti siete in questa casa?”

Titane è un racconto in divenire che sembra scisso in due film differenti. La prima parte è più pulp e movimentata, costellata da sangue e omicidi anche piuttosto creativi. Un exploit di brutalità e ferocia che culmina in una scena che ha tutte le carte in regola per diventare iconica, sottolineata dalla musica, italianissima, della Caselli che canta “Nessuno mi può giudicare. Come già fu per “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri in Haute Tensione di Alexandre Aja ed “In ginocchio da te” di Gianni Morandi in Parasite di Bong Joon-ho, la musica pop italiana nei film esteri sembra essere una scelta ormai ricorrente e quanto mai azzeccata. Ricordatevi queste parole quando vedrete il film. Alexia al centro di una stanza rossa di sangue seduta su uno sgabello, stremata dalla mattanza. L’ inquadratura che si allarga e ci lascia vedere dove lo sgabello si trova. Mormorii in sala tra i critici. Alla mia sinistra un uomo si copre gli occhi. Io avrei tanto voluto applaudire…

L’ evoluzione

E’ quando ritroviamo una Alexia in fuga che il film muta, cambia identità, e prende una nuova direzione. Una fuga da molteplici cose. Dalla polizia, dagli omicidi, dalla sua vita. Da sè stessa. La pellicola ritrova una nuova identità come la protagonista, che incontra un’ altra anima persa. Quella di un capo pompiere che si inietta steroidi, mai ripresosi dalla scomparsa dell’ unico figlio. Alexia cambia sesso, identità, quasi connotati. E mentre si finge uomo e diventa Adrien, per necessità o ragione, si riscopre più donna che mai. Con quella pancia che cresce senza sosta e la lacera, col grasso liquido e nero dell’ olio motore che le cola dai seni e tra le gambe, riscoprirà l’ amore e donerà nuova pace a chi l’ ha accolta, quasi ripudiata, ed infine accettata. Un secondo atto che ci parla di presa di coscienza e dolorosa salvezza reciproca.

“Non andare via, ho paura”

Titane dividerà parecchio, e se vi aspettate un film facile non è ciò che troverete. Ci parla di fluidità di genere, di rapporto conflittuale con la figura paterna, di identità sessuale e di stereotipi mascolini. Un film fortemente attuale che non è facile comprendere a pieno e che già è stato fortemente criticato. E’ la parabola di una metamorfosi che sconvolge e conquista. E conquista anche lei, l’ esordiente Agathe Rousselle, favolosa in un ruolo difficile e quasi muto, trasformista ed espressiva, intensa ed ipnotizzante.

La Ducournau non ha mezze misure e crea un’ opera da amare o da odiare, senza vie di mezzo. Tra il body-horror di Cronenberg, il bio-meccanico di Giger e le provocazioni di Noè.