Agli albori della recessione che colpirà il Giappone a inizio anni ’90, una sex-worker specializzata in sado-masochismo si aggira per le vie di Tokyo. I clienti che incontrerà sono lo specchio di una società perduta, volta al solo godimento a scapito della dignità delle persone.

Trama

Ai (Miho Nikaido) è una sex-worker specializzata in sado-masochismo. Nel corso dei suoi incontri avrà modo di conoscere la perversione e la decadenza di una Tokyo che sta per essere investita dalla bolla finanziaria di inizio anni ’90. Una città che ha perso fibra morale e tessuto sociale in favore di soldi e ricchezza. Neanche l’amore riesce a salvare una città che è ormai capace di cogliere solo il valore del denaro.

Recensione

Tokyo Decadence è diventato, negli anni, un piccolo cult spesso noto più per la messa in scena di atti di sesso esplicito che per l’analisi sociale che compie della società giapponese. Eppure, l’opera di Ryū Murakami (di cui è regista, sceneggiatore e autore del libro omonimo) è una sottile e tagliente critica alla deriva iper-capitalista del Paese del Sol Levante.

Regia, luci, ombre e colore

La regia del film segue pedissequamente i passi della dolce Ai, cogliendone non solo le movenze, ma immedesimandosi in lei. Quasi totalmente esterna alla scena, la osserva senza mai cadere nel desiderio voyeristico fine a sè stesso. Lo sguardo della camera è, infatti, vicino alle vicende e agli atti dei protagonisti, ma senza sfociare nella perversione, cercando di andare oltre la scopofilia e cogliendo le sfumature della decadenza in quei corpi che tanto penetrano, quanto si fanno penetrare dagli altrui corpi e dalle droghe, onnipresenti nel corso di tutta la vicenda. Quando non esterno, il punto di vista della camera è quello di Ai, trasmettendo una sensazione che passa dal desiderio di scoperta, al ribrezzo, in un continuum sensoriale che tiene incollati allo schermo.

Le luci sono costruite in modo da essere un alternarsi continuo di chiaro-scuro, metafora per antonomasia della situazione giapponese raccontata. Le scene di sesso, soprattutto quelle più estreme, si svolgono in penombra, suggerendo la propensione della cultura del Paese, di mantenere una sorta di apparenza formale, di ipocrisia condivisa che accetta la perversione a patto che avvenga negli angoli più oscuri, là dove lo sguardo della società non può arrivare. L’unica scena di sesso che viene rappresentata in pieno giorno è quella del ragazzo che chiede gli venga praticata l’asfissia erotica, rischiando di perdere la vita. Le scelte stilistiche di rappresentazione del soggetto, tra cui l’utilizzo di droghe che compie (fuma una sostanza da una lattina di birra, ndr), lo fa apparire come un nullafacente, una persona che quindi può essere rappresentata nei suoi atti più estremi, anche alla piena luce del giorno.

Il colore, infine, assume un ruolo decisivo, soprattutto nella descrizione della personalità della protagonista. Ai è, infatti, una ragazza che ha in sé una duplice natura. Nonostante appaia timida e timorosa, la vediamo compiere atti di sesso estremo, creando una situazione straniante tanto per lo spettatore, quanto per la protagonista stessa. Questa dicotomia viene acuita dallo stile e dai colori dell’abbigliamento che porta. Casta ed elegante, i colori che utilizza sono prettamente il bianco e i colori pastello. Quando non utilizza abiti interi, soprattutto per la parte superiore del corpo i colori che le vediamo indossare sono chiari, quasi angelici, mentre dal busto in giù i colori si scuriscono, passando al rosso acceso al nero. Un importante dettaglio è posto nelle scarpe e nella borsa, colorate di rosso (tranne in un momento di cui parleremo nella parte spoiler). Come una moderna Dorothy Gale (Il mago di Oz ndr), Ai si aggira alla ricerca del suo Mago di Oz sperando che, questa volta, non sia altrettanto deludente.

“Una ragazza pura come te è la sola speranza per il corrotto Giappone”

– Frase pronunciata dall’uomo nell’incipit

Il rapporto con le donne

Il Giappone è tristemente noto per essere un Paese con una forte tradizione maschilista, in cui l’asimmetria di potere tra uomini e donne è ancora sentita e radicata. Questo aspetto è uno dei temi centrali della pellicola. Essa è strutturata in modo tale che l’intensità della sottomissione a cui è posta Ai, durante gli incontri con i clienti, sia un continuo decrescendo. Parallelamente a ciò anche le parole che le vengono rivolte dai avventori, decresce in termini di brutalità. Infatti, se nel corso dei primi due incontri vediamo la nostra protagonista in performance di BDSM, in cui la parte sottomessa è lei, nell’ultimo incontro si arriva addirittura ad un ribaltamento della situazione, in cui Ai e Saki (Sayoko Amano) sono le vere protagoniste. Parallelamente a ciò cogliamo le parole degli acquirenti, due in particolare (quelli dei primi due incontri ndr) li sentiamo pronunciare le seguenti frasi:

“Le ragazze che vanno a letto con i professori universitari e poi si fanno sposare dai professionisti. Quelle sono le vere p*, non le ragazze pure e vergini come te”

-Avventore rivolgendosi ad Ai

“Voglio che sembri una di quelle segretarie arrapate, vogliono tutte il c*, un bel c* duro”

-Avventore rivolgendosi ad Ai

Il disprezzo maschile verso il genere femminile trasuda non solo dagli atti che vengono richiesti ad Ai, nonostante lei spesso cerchi di sottrarsi a pratiche che non vuole subire, ma anche attraverso le parole. Le frasi che pronunciano i due clienti sono lo specchio di una società che disprezza le donne, viste solo come oggetti sessuali e/o arrampicatrici sociali, senza fornire loro i mezzi affinché possano emanciparsi. Man mano che ci addentriamo nella pellicola, tuttavia, la consapevolezza della protagonista cresce e la vediamo riuscire a sottrarsi ad atti che non gradisce (la simulazione di necrofilia ndr), fino ad arrivare al ruolo di Mistress. E’ proprio l’incontro con Saki che la libera dalla sua condizione. Saki è, infatti, una donna che è riuscita ad emanciparsi economicamente, sfruttando le debolezze dello stesso sistema patriarcale che la opprime.

Ai: Tu sei molto ricca vero?

Saki: Oh no, niente affatto. E’ il Giappone che è molto ricco, ma siccome è ricchezza senza dignità crea ansia negli uomini e così diventano masochisti. Quello che ho, l’ho guadagnato sfruttando la debolezza di questi uomini. Lo considero un modo onesto di guadagnare.

In un mondo in cui la condizione femminile è rilegata alla subordinazione, l’unico modo di ribellarsi è sottomettere (letteralmente) gli oppressori.

L’amore nella società del consumismo

ATTENZIONE QUESTO PARAGRAFO CONTIENE SPOILER

Ai è innamorata di un uomo sposato, che tuttavia non riesce a dimenticare. Una volta liberatasi del ruolo di sottomessa e su consiglio di Saki, decide di andare a cercarlo per provare a riconquistarlo. La scena è di una poeticità incredibile (ed è anche nei 30 minuti di girato tagliati dalla versione italiana ndr). Ai, vestita di bianco e con delle scarpe gialle, si ricopre del suo candore per andare alla ricerca del suo amore perduto. In uno stato di confusione indotto dalla sostanza che le ha fornito Saki, viaggia per una Tokyo deserta che, man mano, le sgualcirà scarpe e vestito. La rottura di una bottiglia di vino, che aveva portato in dono, la riporterà al suo stato originario, al rosso del sangue, della violenza e del sesso. L’unica figura amica che incontra in questo suo girovagare a vuoto è la cantante lirica finita in disgrazia, interpretata da Chie Sema, anche lei uscita di senno a seguito di un amore perduto. In una città che predilige il denaro alla dignità, anche l’amore perde la sua efficacia ed è, forse, solo la solidarietà femminile a fornire un barlume di speranza. Non c’è via d’uscita, il tessuto sociale è crollato e con esso anche qualsiasi prospettiva di felicità.

Conclusioni

Tokyo Decadence è uno di quei film a cui gli spettatori spesso si avvicinano con fare pruriginoso, per poi rimanere delusi o sconvolti dal rendersi conto che stanno guardando qualcosa che va ben al di là del voyerismo. Meno estremo di altre pellicole Asian Extreme, ne condivide le atmosfere e il desiderio di addentrarsi in un’analisi sociologica. Se vi è piaciuto, probabilmente adorerete Visitor Q di Takashi Miike (di cui trovate la recensione qui), film che analizza la situazione giapponese post scoppio della bolla finanziaria. Se avete desiderio di addentrarvi nella cultura del Sol Levante, Tokyo Decadence fa decisamente per voi!

Classificazione: 4 su 5.

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