Il nuovo film di David F. Sandberg, uscito al cinema il 24 aprile e basato sul videogioco “Until Dawn” per PlayStation, si configura come un puro prodotto di intrattenimento dalla struttura narrativa poco solida.

Trasposizioni e adattamenti: Hollywood e i videogiochi

Per quanto le operazioni crossmediali non mi convincano mai del tutto, va loro riconosciuto l’indiscutibile merito di aver generato microcosmi interessanti, in cui un prodotto nato per un preciso medium viene adattato o trasposto in forme nuove, capaci di espandere il suo bacino di utenza. Nel corso degli anni abbiamo assistito più volte a trasposizioni e adattamenti di videogiochi per il grande e il piccolo schermo: basti pensare al recente successo di The Last of Us o al flop di Assassin’s Creed diversi anni fa. Il fatto che Until Dawn – Fino all’alba sia arrivato nelle nostre sale poco dopo l’uscita del film su Minecraft dimostra il forte interesse di Hollywood nei confronti di questo tipo di operazioni che – al di là della loro discutibile qualità oggettiva – ottengono sempre ottimi numeri al botteghino.

Ambientazione suggestiva e “vite limitate”: i punti di forza del film

Pur non trattandosi di un adattamento fedele, quanto piuttosto di un’opera ispirata al videogioco originale, Until Dawn – Fino all’alba conserva al proprio interno alcuni meccanismi chiaramente “ludici”: tra questi, il numero limitato di “vite” a disposizione di ciascun personaggio, che richiama direttamente la grammatica del videogame. Tra i punti forti della pellicola c’è senza dubbio l’ambientazione suggestiva: un luogo isolato – come nella migliore tradizione horror/slasher –, fuori dal mondo, dal quale la fuga è pressoché impossibile. Al film, inoltre, va riconosciuto il merito di riuscire a offrire cento minuti di buon intrattenimento.

L’ormai abusato meccanismo del personaggio che si risveglia dopo la morte – avendo così un altro tentativo per affrontarne la causa – viene qui rielaborato in chiave videoludica: i personaggi hanno un numero limitato di tentativi per “superare la prova” e ogni volta la causa della loro morte è inedita e quindi imprevedibile. Gli appassionati del videogioco, inoltre, apprezzeranno i numerosi tributi a esso – e le varie citazioni inserite qua e là –, soprattutto la presenza nel cast di Peter Stormare, presente anche nel gioco.

Una regia che regge, una sceneggiatura che cede

Anche dietro la macchina da presa troviamo un volto noto: David F. Sandberg, celebre per Lights Out e Annabelle 2 – forse l’unico sequel sopportabile all’interno del Conjuringverse. In Until Dawn, però, le indiscusse capacità del regista svedese non sembrano emergere in modo particolarmente evidente: la sua è una buona regia capace anche di ammiccare allo “sguardo” videoludico in alcune situazioni, ma in fin dei conti piuttosto limitata allo svolgimento del cosiddetto “compitino”.

Più debole la sceneggiatura, affidata a Gary Dauberman – altro volto noto all’interno del Conjuringverse (e un po’ in Until Dawn quello stile si nota) – che pecca un po’ di presunzione, soprattutto nel finale quando tenta il classico “spiegone” che però resta solo abbozzato e che rimarrà incomprensibile e insensato ai più (compreso il sottoscritto). Numerosi anche i buchi di trama e le incongruenze all’interno della narrazione che faranno storcere il naso soprattutto al pubblico che non conosce il videogioco.

Tensione carente e jumpscares eccessivi

La tensione è rarefatta e spesso spazzata via da inutili jumpscares in pieno stile Dauberman, e questo è probabilmente il vero punto debole del film che non riesce a tradurre nel linguaggio cinematografico quella tensione perenne che permea i videogiochi horror e che il giocatore prova direttamente su di sé, in quanto direttamente coinvolto (anche quando, come in Until Dawn, il gioco non è in First Person View).

Conclusioni

In conclusione, Until Dawn – Fino all’alba è un film godibile, capace di offrire un buon intrattenimento anche grazie a un cast solido e credibile. Tuttavia, come già accennato, la pellicola pecca nella costruzione della tensione – troppo spesso sacrificata a favore di jumpscare prevedibili – e in una narrazione che, soprattutto nel discutibile “spiegone” finale, sembra voler mettere troppa carne al fuoco senza riuscire davvero a gestirla. Il risultato è un film che intrattiene ma non lascia il segno, soprattutto per chi non ha familiarità con il videogioco originale.

VOTO

Classificazione: 2.5 su 5.

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