Il 31 Luglio 1914, 109 anni fa, nasceva Mario Bava, uno dei nomi più importanti del cinema thriller/horror italiano nonché fonte d’ispirazione per svariati cineasti.

Per celebrare la ricorrenza, andremo a trattare una delle sue pellicole più riuscite: “Operazione Paura” del 1966.

TRAMA

XIX secolo. Il medico legale Paul Eswai giunge in un remoto paesino, Kermigen, per eseguire l’autopsia di una giovane morta in circostanze tanto misteriose quanto cruente. La mentalità locale, dominata dalla superstizione e da un indefinito senso di angoscia, contrasta in maniera netta con la visione prettamente razionale e scientifica dell’uomo. Eppure, come Paul sarà costretto a constatare, sul paese sembra essersi davvero abbattuta una maledizione. Le dicerie fanno risalire tutto alla sontuosa Villa Graps. Con l’aiuto della curatrice Ruth e della giovane Monica, il dottor Eswai cercherà di porre fine una volta per tutte alle morti che da tempo affliggono Kermigen.

RECENSIONE

Operazione Paura”, come pressoché qualsiasi pellicola all’interno della filmografia di Bava, fu girato con un budget estremamente limitato. Le riprese si svolsero in soli 12 giorni e la sceneggiatura era così risicata da costringere gli attori a improvvisare in diverse scene. Fatte tali premesse, risulta quasi inverosimile trovarsi di fronte a uno dei migliori horror italiani di sempre. Eppure, assieme a “La maschera del demonio” (dello stesso Bava), possiamo considerare quest’opera come uno dei punti più alti mai raggiunti dal cinema di genere italiano e, senza alcun dubbio, come uno dei migliori horror gotici anni ’60.

Nel film ritroviamo le cifre stilistiche che Bava aveva già mostrato in “Sei donne per l’assassino”. Lo stile registico fa abbondante uso di dissolvenze, carrellate e, soprattutto, zoom in/zoom out. Quest’ultima tecnica viene usata in due tipi distinti di passaggi: l’introduzione di personaggi fondamentali e i colpi di scena (che in un paio di casi assumono i connotati di veri e propri jumpscares). Interessantissima è poi la sequenza dell’incubo di Monica, in cui Bava usò anche deformazioni prospettiche e sfocature per confezionare una combinazione di scene deliranti e piuttosto sinistre.

Non manca poi l’uso estremamente espressionista e pop delle luci. Il film brulica di fasci di luce colorati (specialmente nelle tonalità del giallo e del blu), spesso provenienti da fonti inesistenti all’interno della scena. A tal proposito possiamo menzionare la bellissima carrellata sul cimitero di Kermigen, in cui al vorticare ipnotico della nebbia bluastra fanno contrasto le luci giallognole provenienti dalle candele. Le vie di Kermigen sono illuminate da fasci luminosi che, a ben rifletterci, non avrebbero alcun motivo di esistere in quello specifico contesto temporale. Il cinema di Bava, tuttavia, è un cinema in cui le sensazioni hanno la meglio sulla logica. E non c’è dubbio che quelle semplici luci riescano nel loro intento di rendere degli spogli vicoli un qualcosa di tremendamente misterioso e sinistro.

E come non citare poi il sibilare incessante del vento, ulteriore trademark del regista.

Nella costruzione degli interni di Villa Graps, probabilmente Bava e collaboratori dovettero farsi bastare ciò che avevano, ma riuscirono alla perfezione nel proprio intento. Le tende mosse dal vento, le stanze comunicanti, le ragnatele a coprire gli oggetti e i candelabri a forma di braccia umane collaborano per creare degli interni dal sapore lugubre, perfetto riflesso della personalità della baronessa Graps. E, a proposito di stanze comunicanti, la scena dalle tinte allucinatorie in cui Paul si ritrova a inseguire sé stesso è stata omaggiata nientemeno che da David Lynch nella ventiduesima puntata della seconda stagione di Twin Peaks.

La trama è piuttosto semplice e coerente. Vari sono gli elementi che permettono di accostare “Operazione Paura” a una fiaba. Il protagonista, Paul, rispecchia le caratteristiche del cavaliere senza macchia e senza paura arrivato dall’esterno per risolvere i problemi della comunità. A differenza dell’archetipo, che è privo di difetti e pertanto non gode di un arco di arricchimento personale, Paul è costretto a liberarsi della zavorra della propria razionalità per venire a capo del mistero. Inoltre, è interessante constatare come il villaggio perseguitato dalla maledizione dell’antagonista non sia in verità privo di colpe. La morte di Melissa sarebbe infatti potuta essere evitata se soltanto una persona la avesse soccorsa, ma nessuno decise di farlo.

E’ doverosa una menzione a parte per il personaggio del fantasma di Melissa Graps. Siamo probabilmente di fronte a una delle figure infantili più inquietanti in assoluto del cinema horror. Dalla carnagione terrea che va a confondersi col vestito bianco, agli occhi sbarrati che ne condiscono il ghigno malefico, all’iconica palla lasciata rimbalzare, Melissa è una figura destinata a imprimersi nella memoria di qualsiasi spettatore del film. Basti pensare, in effetti, che Federico Fellini stesso la prese da ispirazione per un personaggio di uno degli episodi del film “Tre passi nel delirio”. Alquanto originale è inoltre la rivelazione che il fantasma non si sia materializzato da sé, pronto ad avere la propria vendetta, ma in virtù delle doti parapsichiche della madre, quasi ne fosse una diretta emanazione.

Le musiche di Carlo Rustichelli, radicalmente differenti da quelle che il compositore realizzò per “6 donne per l’assassino”, non sono memorabili ma comunque perfettamente appropriate per le atmosfere della vicenda.

Nel 2013, sul settimanale Topolino è uscita la storia “Topolino e il mistero di Borgospettro”, un vero e proprio omaggio disneyiano a “Operazione Paura”. L’autore, Enrico Faccini, è attualmente una delle menti più geniali del fumetto umoristico italiano. In tale caso, tuttavia, riuscì perfettamente a bilanciare la componente humor con le atmosfere sinistre della pellicola di Bava.

In definitiva, “Operazione Paura” è un gioiello del cinema horror all’italiana. Un film girato con risorse limitate, che non aveva alcuna ragione di riuscire tanto perfettamente.

Anzi, una ragione c’era: l’immenso genio del suo regista, il mai abbastanza ricordato Mario Bava.

Classificazione: 4 su 5.