Disponibile dal 17 novembre su Netflix la prima stagione di 1899 la nuova serie creata e diretta da Baran Bo Odar e Jantie Friese, gli ideatori di una delle storie seriali che più ha affascinato il pubblico negli ultimi anni, Dark. Gli otto episodi della serie tedesca, composta da un nutritissimo cast internazionale, esplorano una realtà che ancora una volta si preannuncia misteriosa, ricca di simboli e rivelazioni, in un’ambientazione che si espande stavolta oltre i confini del continente. Ma sarà riuscita 1899 a tener testa alle aspettative generate dalla sua serie sorella?

La storia

Le premesse della serie partono chiare: un gruppo di migranti provenienti da luoghi disparati viaggiano a bordo di un imponente transatlantico, il Kerberos, per lasciare l’Europa e giungere oltre oceano, nel Nuovo Continente. Ma durante la traversata il capitano Eyk Larsen (Andreas Pietschmann), decide improvvisamente di cambiare rotta: ha ricevuto un misterioso segnale da un’altra nave, il Prometeus, ormai scomparsa quattro mesi prima. L’istinto del capitano, però, si rivela giusto e la nave sparita – tra lamentele e paure dei passeggeri spaventati dal cambio di rotta – viene ritrovata.

Ma quel che sembrava una semplice deviazione per un salvataggio, metterà i passeggeri e nell’equipaggio di Kerberos davanti a delle porte spalancate sull’inimmaginabile, perché ciò che trovano in Prometeus – che si presenta come una nave fantasma ormai desolata – va ben oltre i confini del conosciuto.

Il giovane medico Maura (Emily Beecham), per prima inizierà a raccogliere i pezzi del suo passato che sembrano prepotentemente farsi largo nei suoi ricordi da quando il suo viaggio è iniziato. Ma non sarà la sola.

Le premesse del nuovo racconto

1899 è sicuramente una delle serie più attese dell’anno sul catalogo Netflix, e non solo. Da quando è stata annunciata dai suoi ideatori nel 2018, il pubblico ben avvezzo alle dinamiche della pregressa Dark ha iniziato a scalpitare, cercando di figurarsi quali altri pirotecniche dinamiche di trama i due creatori potessero inventarsi per stupirci ancora una volta.

E così il 17 novembre debutta online (dopo ben quattro anni di lavorazione) 1899, e lo fa con un ingresso spettacolare: da mesi circolavano sui social gli intrigantissimi character poster e le prime immagini della serie che mostrava un’ambientazione nuova e stupefacente oltre che a un cast internazionale molto nutrito e promettente e circa 60 milioni di euro di budget (con i quali si qualifica la serie tedesca più costosa di sempre).

L’entrata in media res dello spettatore lo proietta al cuore della vicenda: l’imponente transatlantico – tanto spettacolare quanto inquietante – solca le acque nere dell’oceano mentre le vite dei suoi personaggi vengono lentamente dischiuse: il set up dei personaggi parte in quarta in perfetto stile Bo Odar e Friese, gettandoci direttamente nelle backstory misteriose e affascinanti dei membri dell’equipaggio protagonisti del racconto. In particolare in quella di Maura, giovane donna esperta di medicina, che sembra essere tormentata da ricordi fin troppo “invadenti”. Ma lentamente, scendendo nelle profondità delle cabine di ogni protagonista, capiamo che ognuno di loro ha molto più da dire di quanto faccia credere nelle sue comparse in “pubblico”.

Questi svelamenti tuttavia, sebbene siano ben calibrati nei primi due episodi della serie, rischiano di diventare ripetitivi nel meccanismo che la serie adotta per portare avanti il racconto: gli elementi sci-fi sono presenti e anche visivamente molto soddisfacenti all’interno delle sequenze di azione, ma rischiano di essere frenati forse dall’eccessivo dilatamento del racconto. Certo, l’andamento progressivo e lo svelamento lento fa senza dubbio parte dello stile preciso dei due autori che – anche all’interno del precedente lavoro – hanno dimostrato di sapersi ben orientare all’interno di tematiche molto conosciute prediligendo anche un forte coinvolgimento a livello emotivo grazie ai personaggi. In 1899 però, essendo l’ambientazione molto ampia e il coinvolgimento dei personaggi estremamente corale, rischia di rallentare l’andamento della serie che con fatica – e con meccanismi iterativi – prosegue il suo sviluppo nello svelamento del mistero.

Insomma, gli elementi del “giallo” sono molti e, non essendo innovativi rispetto ai topoi ricorrenti all’interno dei prodotti di genere, il loro avanzamento risulta frenato dal lento schiudersi del mistero. Grazie ad alcuni efficacissimi escamotage narrativi tuttavia, la serie istiga senza dubbio al divoramento. Viene da chiedersi se lo faccia con meccanismi relativi più alla struttura stessa del mistero, che ai contenuti profondi del prodotto.

Certamente si tratta di una serie che affianca ad un’ambientazione periodscifi (particolarmente d’impatto le scelte visive, dai costumi alle scenografie fino agli effetti visivi “oscuri” e affascinantissimi) un’ampia schiera di personaggi, cercando di creare con lo spettatore – e questo era stato a suo tempo uno dei grandi punti di forza di Dark – un legame che vada oltre la spettacolarità dell’estetica del prodotto, mettendo radici nel cuore delle storie stesse dei personaggi.

La struttura e alcuni meccanismi narrativi della serie permettono infatti senza dubbio di approfondire il passato dei personaggi per cercare di creare profondità e arco che però, purtroppo per via degli sviluppi, rischiano di rimanere vacui.

Subito dopo le premesse – sia per quanto riguarda l’ambientazione e l’innesco della vicenda, sia per i personaggi –  esposte in maniera chiara, viene rivelato un elemento chiave fondamentale alla comprensione della vicenda. Questo elemento ha un peso specifico che modifica fortemente l’equilibrio delle informazioni che lo spettatore ha a disposizione sulla storia, sebbene poi non venga approfondito di lì a breve ma che – al contrario – rimanga ai margini per gran parte dello sviluppo. L’inserimento dell’elemento chiave per la serie rischia dunque di snaturare ciò che, nelle premesse, affascina di questo prodotto.

L’impressione che ne deriva è che si cerchi un forte appiglio fin dai primi episodi, una sorta di gancio per agguantare in maniera diretta l’attenzione del fruitore. Sembra infatti più un amo per lo spettatore che una scelta di contenuto, in quanto imposta la struttura della serie a svantaggio del ritmo: le rivelazioni successive tardano ad arrivare. Viene dunque da domandarsi se a delle premesse così nette ed efficaci sia stato affiancato uno sviluppo complesso per il puro scopo di complicare.

L’eredità di Dark

Se ripercorriamo il panorama seriale internazionale a ritroso degli ultimi anni soffermandoci sui titoli più emblematici all’interno della vastità delle piattaforme, è chiaro che tra questi spunterà senza dubbio Dark, la serie creata da Baran Bo Odar e Jantje Friese. Un prodotto tutto made in Germany, che ha fatto ampiamente parlare di sé: un po’ perché divenuto serie-caso europea (o comunque non hollywood centrica), e questo attira sempre una buona dose di attenzione (basti pensare a La casa di carta o Squid Game), un po’ perché per molti spettatori si è trattata di una vera e propria sfida alla comprensione di un’intricatissima trama.

Certo, Dark è molto più di questo e ha saputo sicuramente sfruttare una tematica inflazionata – quella dei viaggi nel tempo – in maniera intelligente grazie allo stile, ai personaggi, al giustissimo cast e ad un gusto estetico elevato e intrigante. Ma questa lunga premessa per tornare all’oggetto della nostra analisi: 1899. L’impressione generale della serie è quella di un prodotto partito con un’ingombrante eredità, che è quella appunto di Dark. Talvolta sembra che gli elementi caratteristici della prima serie dei creatori (il simbolismo, l’intricato sviluppo, la lentezza nello snocciolamento del mistero) siano stati inseriti perché è quello ciò che il fruitore di questa serie si aspettava dai suoi creatori. 

Sebbene quindi 1899, così come Dark, mostri delle qualità stilistiche innegabili e che spiccano – lo stile registico, il cast (è raccomandata una visione in lingua originale per meglio godere degli elementi che caratterizzano un cast proveniente dai luoghi più disparati), e gli elementi tecnici – la serie sembra essere rallentata dall’alto numero di indizi presenti che in maniera non brillante procedono nel loro lento sviluppo.

La volontà di essere complicata per il puro gusto del complicare, un po’ alla luce della sua serie sorella Dark che, anche per questo motivo, aveva fatto molto parlare parlare di sé. Ecco, quello che forse ha mancato di fare 1899 è stato proprio questo: trovare la sua voce in maniera originale oltre i meccanismi-svelamento del mistero in un territorio dominato da sì molti elementi, ma

Diciamo che tutto ciò che in premessa si è rivelato vincente e intrigante – riprende la struttura narrativa di Dark con un’apertura criptica e significativa – tende a perdere di valore con la risoluzione.

1899 è un racconto che mantiene alti gli standard estetici e creativi dei due ideatori, che con Dark erano stati capaci di lanciare su un mercato saturo e super competitivo una serie made in Europe che ha fatto molto parlare di sé. Un cast convincente inserito in un’ambientazione period con elementi sci-fi che intriga e convince, catturando l’attenzione dello spettatore che senza dubbio è catapultato efficacemente all’interno del mistero.

Un mistero composto tuttavia da tanti elementi disgregati, a tal punto che il vero motore per il fruitore diventa quasi quello di vedere il puzzle completo per il puro piacere di giungere a conclusione, e non per il viaggio stesso che compie insieme all’opera. Gli elementi di genere sono ben bilanciati e coerenti all’interno del racconto che però – forse perché porta l’eredità un po’ ingombrante di una delle serie più influenti e chiacchierate degli ultimi anni – fatica a trovare una sua voce personale che vada oltre lo svelamento degli elementi mistery seminati.

Classificazione: 2.5 su 5.