Il 13 Novembre 1976, esattamente 45 anni fa, usciva negli Stati Uniti “Alice, Sweet Alice”, arrivato in Italia nel 1977 come Comunione con delitti. Il film andò purtroppo incontro a diversi problemi di budget e distribuzione e finì nel dimenticatoio in breve tempo. Tuttavia, in tempi più recenti, la pellicola ha ottenuto una (meritata) riscoperta grazie al mercato dell’home video.

TRAMA

New Jersey, primi anni ’60. Le due sorelle Karen e Alice vivono assieme alla madre Catherine nella cittadina di Paterson. L’ambiente culturale del posto è dominato dalla locale comunità cattolica. Karen, bambina tranquilla e obbediente, si sta preparando, con grande trepidazione, a ricevere la prima comunione. Alice, dalla sua, è molto più ribelle e schietta, sempre pronta a fare scherzi alla sorella e a contravvenire agli ordini degli adulti.

Il giorno della cerimonia, accade una terribile tragedia: Karen viene brutalmente assassinata proprio durante la funzione religiosa. I sospetti cadono su Alice, rea di avere sempre odiato la sorella, eppure la scia di sangue sembra non volersi fermare…

RECENSIONE

Guardando “Comunione con delitti”, salta immediatamente all’occhio un elemento: è un film molto poco americano.

Le scenografie e la regia ricordano infatti il cinema thriller italiano (etichettato come “giallo” all’estero) in voga proprio in quel periodo. La pellicola, soprattutto nelle scene di tensione, abbonda infatti di stacchi repentini e ravvicinati, nonché di primi piani sui volti oltremodo espressivi degli attori, con passaggi che regalano indubbiamente sensazioni argentiane o fulciane.

Una delle tematiche principali è quella della religione cattolica. Fin dai titoli di testa veniamo introdotti all’argomento, con un inquietante tema musicale (a opera di Stephen Lawrence) accompagnato con delle preghiere sussurrate. La religione, in “Comunione con delitti”, non è un elemento di conforto ma una sorta di prigione. Le immagini sacre abbondano, in una messa in scena che tuttavia le trasforma in elementi oltremodo austeri, quasi inquietanti. Inoltre, a sostenere tale interpretazione, sono poi le circostanze dell’omicidio di Karen, un atto di sangue che si consuma durante una cerimonia che quantomai dovrebbe celebrare la purezza d’animo. A sigillare il tutto è poi la motivazione del killer, che vuol farsi portatore di una punizione divina verso coloro che, ai suoi occhi, si sono macchiati di peccato.

Children pay for the sins of their parents”.

Per tornare al paragone con il “giallo” italiano, per certi versi possiamo accostare “Comunione con delitti” a “Non si sevizia un paperino” di Lucio Fulci. Entrambi i film trattano infatti di delitti che si consumano in una comunità piuttosto chiusa. La religione, tanto in una pellicola quanto nell’altra, passa dall’essere un elemento positivo al pretesto a cui l’assassino si rivolge per giustificare le proprie azioni.

Un’altra analogia, in questo caso con un film non italiano, è quella con “A Venezia, un Dicembre rosso shocking”. Difatti, tanto l’aspetto dell’assassino quanto la scena in cui viene rivelata la sua identità ricordano da vicino gli ultimi minuti del film di Nicolas Roeg.

L’aspetto dell’assassino, la cui identità è celata da un impermeabile e una maschera, è del tutto sovrapponibile a quello dei tanti killer mascherati che avrebbero riempito i botteghini da lì a pochi anni. Ecco perché molti considerano “Comunione con delittiuno dei principali precursori del boom del cinema slasher.

Un discorso a parte lo merita il personaggio di Alice.

Fin dalla scena in cui ci viene presentata, Alice appare come una bambina tutt’altro che gentile o remissiva. Nonostante la si possa considerare il personaggio principale del film, è difficile che la giovane possa guadagnarsi una sincera simpatia da parte dello spettatore. Nonostante ciò, a una visione più attenta, la sua personalità può essere compresa e, per molti aspetti, giustificata. Quello che vediamo è infatti il risultato, il punto di arrivo di anni vissuti in un ambiente che poco si confà al temperamento della giovane. Abbiamo già toccato il tema della soffocante educazione cattolica. Un esempio notevole del peso che le influenze religiose abbiano esercitato sui pregiudizi nei confronti di Alice arriva dal comportamento di sua zia, Annie. Durante la visione, emerge chiaramente come la donna disprezzi la nipote in maniera quasi viscerale. La ragione di tale attitudine arriva nel passaggio in cui Catherine (madre della bambina) accusa Annie di odiare Alice poiché concepita al di fuori del matrimonio. Probabilmente non è stata soltanto la religione a portare Alice a maturare la propria personalità oppositiva. Il film infatti assume un certo peso anche il tema della separazione dei genitori. Alice e Karen sono cresciute con la madre, la quale non sembra mantenere un atteggiamento coerente e attento verso le figlie. Da quel poco che vediamo, sembra inoltre che Catherine sappia rapportarsi molto più facilmente con l’indole mite di Karen, mentre con Alice alterna (quasi senza un criterio) rimproveri e manifestazioni d’affetto. Viene poi lasciato intuire che Dom, il padre delle bambine, abiti lontano e sia stato molto poco presente durante gli anni antecedenti ai fatti del film.

Nel 1980, quattro anni dopo l’uscita della pellicola, venne introdotta l’etichetta diagnostica di “Disturbo oppositivo provocatorio”. L’ultima edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statitistico dei Disturbi Mentali), lo definisce come un modello di umore arrabbiato/irritabile, comportamento polemico/provocatorio o vendicativo” in età infantile e/o adolescenziale. Sebbene nel corso degli anni la ricerca si sia mossa anche verso l’individuazione di cause di matrice genetica e biologica, ci sono alcuni fattori ambientali che sono stati messi in relazione con l’insorgenza del disturbo.

In particolare, fra essi troviamo:

Modelli disadattivi di adattamento con i genitori.

-Conflitti familiari

-Gestione incoerente della disciplina da parte di genitori/tutori.

Le tecniche di intervento sul disturbo oppositivo-provocatorio sono state perfezionate nel corso degli anni, in un processo che non si è ancora esaurito. Non stupisce quindi vedere come venga trattata Alice dalla struttura a cui viene affidata nel corso della vicenda. I metodi adottati appaiono infatti inadeguati e decisamente obsoleti rispetto al reale disagio della bambina.

Non ci sono prove realmente schiaccianti nei confronti della giovane: Alice viene sospettata dell’omicidio della sorella per lo più sulla base di dicerie e pregiudizi.

Siamo quindi di fronte a un personaggio del tutto privo di una reale malvagità d’animo? Questa domanda è destinata a non ricevere una risposta, complice un’inquadratura finale che si diverte a destabilizzare le congetture dello spettatore.

Un’altra figura degna di menzione è quella del signor Alphonso, il proprietario dello stabile in cui vivono Alice e la madre. L’uomo, dalla stazza massiccia, vive in condizione di degrado, circondato da gatti e indossando vestiti sporchi. Alphonso DeNoble, che lo ha interpretato, è riuscito a conferirgli un’aria tremendamente inquietante e malsana. In particolare, alcune delle espressioni facciali del personaggio fanno sinceramente accapponare la pelle. In tutto e per tutto, Alphonso sembra la controparte umana della figura dell’orco delle fiabe, tant’è che in una scena lo vediamo attirare Alice nel proprio antro, gettare la maschera di apparente gentilezza e tentare di aggredirla.

In definitiva, è un vero sollievo che “Comunione con delitti” sia riuscito a guadagnarsi una certa fama nel corso degli ultimi anni. Nonostante il film segua i passi di alcuni suoi predecessori, ci troviamo comunque di fronte a uno dei thriller più particolari e interessanti di fine anni ’70, che ha gettato senza dubbio le basi per ciò che sarebbe venuto in seguito.

Una piccola curiosità prima di concludere: Paula Sheppard, interprete di Alice, vestì i panni di un personaggio dodicenne nonostante all’epoca avesse…19 anni.