Un Buñuel messicano da riscoprire: Él realizzato in Messico nel 1953 dal regista spagnolo, arriva
nelle sale italiane dal 3 aprile, grazie al progetto della Cineteca di Bologna per la distribuzione
dei classici restaurati, Il Cinema Ritrovato. Al cinema.
Considerato da molti il migliore tra i capolavori di Luis Buñuel insieme a Estasi di un delitto e
a L’angelo sterminatore, contiene alcune immagini che spingono a chiedersi se Hitchcock avesse
visto e ricordasse Él quando girò La donna che visse due volte cinque anni dopo.
Il restauro è realizzato da The Film Foundation’s World Cinema Project, Les Films du Camélia e
Cineteca di Bologna con il supporto di OCAS, in collaborazione con Películas y Videos
Internacionales
e con il sostegno di Material World Foundation.

Parallelamente, la Cineteca di Bologna proporrà nel mese di aprile al Cinema Lumière un
omaggio alla produzione messicana di Luis Buñuel, come annuncia il direttore Gian Luca
Farinelli: “Al regista aragonese, nato a Calanda nel febbraio del 1900 e scomparso a Città del
Messico quarant’anni fa, oggi molto dimenticato, dedichiamo un omaggio messicano. Negli ultimi
anni del muto, assieme a Salvador Dalí realizzò due opere d’avanguardia tra le più rilevanti del
gruppo surrealista parigino che ruotava attorno ad André Breton. A seguito della Guerra civile
spagnola, in fuga dalle truppe franchiste, riparò prima a New York e poi a Città del Messico, nel
periodo in cui il cinema messicano viveva la sua età dell’oro. Dopo un silenzio di quindici anni, nel
1946 riprese la sua attività e nel 1951 vinse a Cannes, con I figli della violenza, il premio per la
regia
. Realizzò film iconoclasti, mai ideologici, sovversivi, dove denunciò una borghesia paralizzata
e ipocrita. I suoi film sono ironici, feticisti, cinici, poetici. Él è tutto questo ed è uno dei suoi film
più amati. Don Luis diceva di aver studiato il protagonista come un insetto, trasformando la
macchina da presa in uno strumento di analisi. La precisione del film ha sedotto Jacques Lacan,
che mostrava Él ai suoi studenti. Come ha scritto François Truffaut, Él non è né anticlericale, né
surrealista, ma piuttosto una requisitoria, il preciso racconto di un vero caso clinico, sia pur
dissimulato; un film che all’epoca non ebbe successo, ma che col tempo la critica e i cineasti hanno
riconosciuto tra le opere maggiori di Buñuel; un grande messicano contemporaneo, Guillermo del
Toro
, lo considera il suo film preferito; improbabile che Hitchcock non lo avesse visto: la scena del
campanile di La donna che visse due volte sembra una citazione diretta”.

“Nel 1953 – ha scritto il critico Miguel Marías – la carriera registica di Luis Buñuel stava
riprendendo con maggiore libertà e intraprendenza in Messico. Dopo il successo europeo di I figli
della violenza
, Luis Buñuel adattò con il suo complice e collaboratore abituale Luis Alcoriza il
romanzo Él di Mercedes Pinto: più che una storia di fantasia era la cronaca dettagliata del
terrificante calvario vissuto da vittima di un marito megalomane e gelosissimo che era, in realtà, un
caso grave di delirio paranoide (Lacan mostrava questo film ai suoi studenti di psichiatria come
buona illustrazione della malattia). Magnificamente interpretato da Arturo de Córdova, Francisco
Galván è ciò che in Spagna si chiama meapilas, un baciapile: un devoto cristiano buono e puro, ma
di fatto un vergine di mezza età. Ossessionato dai piedi calzati di un’altra fedele, Gloria (Delia
Garcés), la corteggia finché questa non rompe con il fidanzato per sposare lui, sorprendentemente
affascinata com’è dal suo carattere dispotico. Ma già durante la luna di miele Gloria scopre e
subisce la gelosia completamente ingiustificata dell’uomo, che interpreta maniacalmente ogni cosa
come gesto beffardo e come prova dell’infedeltà della moglie o di complotti contro di sé e contro i
propri interessi finanziari e patrimoniali. Diffida di sua moglie, dei suoi avvocati e di quasi tutti,
disprezza gli esseri umani che considera parassiti e afferma in modo megalomane che se fosse Dio
non perdonerebbe mai l’umanità. Sebbene di solito Luis Buñuel fosse un grande umorista e un
perenne surrealista, questo – un po’ come Il ladro di Hitchcock – è probabilmente uno dei suoi film
più seri, e anche uno dei più complessi e maggiormente caratterizzati da un narrazione tesa ed
ellittica, e si conclude con una delle più inquietanti scene finali mai girate”.

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