L’inquietante visionarietà di David Lynch ritrova la sala cinematografica grazie alla Cineteca di Bologna e al suo progetto di distribuzione Il Cinema Ritrovato. Al cinema: dal 16 al 18 gennaio arriva al cinema Lost Highway – Strade perdute, nel restauro in 4K realizzato da Criterion, con la supervisione dello stesso David Lynch.

Diretto nel 1997, Strade perdute rappresenta, come ha scritto il critico Roy Menarini, una “nuova resurrezione lynchana, quando veniva ormai dato per spacciato. Strade perdute si presenta come un film scintillante e dark, impaginato come un catalogo di moda ma attraversato da ogni tipo di paradosso: parlare con una persona che si trova contemporaneamente al telefono con voi, suonare al campanello e dialogare al citofono con se stessi, cambiare personalità a metà film e vedere un mondo che possiede lo stesso lessico ma un’altra sintassi”.

Un film attraversato da situazioni esasperate che lasciano un malessere gravoso, da narrazioni che si avvitano dentro una spirale inspiegabile: “C’è una parte della mia creatività che non saprei spiegare, che mi è sconosciuta”, ha detto David Lynch, che così delinea Strade perdute: “Un film noir del XXI secolo. Una vivida descrizione di crisi d’identità parallele. Un mondo dove il tempo è pericolosamente fuori controllo. Un viaggio terrificante lungo la strada perduta”.

L’idea del film nata dalla lettura del libro di Barry Gifford Night People

L’idea di Strade perdute è nata dalla lettura del libro di Barry Gifford Night People. Il romanzo non racconta la storia del film, ma uno dei personaggi utilizza ad un certo punto l’espressione “lost highway”. Queste parole producevano un’impressione e un mistero che ho molto amato. Ho così parlato con l’autore del libro e dopo un anno ci siamo incontrati a Berkeley. Abbiamo confrontato le nostre idee ed entrambi abbiamo detestato quelle dell’altro. Ho poi raccontato a Barry un’idea, venutami alla fine della lavorazione di Fuoco cammina con me, che è quella che si vede nella prima parte del film, quella con le videocassette e la coppia. Barry l’ha subito apprezzata e abbiamo continuato a lavorarci sopra. Dopo un mese e mezzo la sceneggiatura era pronta.

(David Lynch si racconta, a cura di Stefano Boni e Enrico Vincenti, in David Lynch, “Garage”,
Paravia, Torino 2000)

L’idea decisiva – dopo una seduta di lavoro infruttuosa tra Gifford e Lynch – sarebbe venuta in mente a Lynch l’ultima notte delle riprese di Fuoco cammina con me. “Rientravo in macchina con Mary Sweeney, e quello che le raccontai in qualche modo la terrorizzò, e spaventò anche me”. La sceneggiatura prende allora una direzione del tutto nuova. È l’idea di una coppia che vive in una casa, e che riceve per posta una videocassetta. Quando la guardano, scoprono che si tratta della facciata di casa loro. Non ci fanno caso, poi ne ricevono un’altra, che fa vedere un attraversamento del loro soggiorno, e li scopre addormentati nel loro letto. Tutto ciò fino all’immagine di un pugno che colpisce Fred al commissariato, senza che lui sappia come è arrivato fin là.
(Michel Chion, David Lynch, Lindau, Torino 2000)

Un’atmosfera noir

L’iconografia del film ricorda un’atmosfera che amo molto: quella del film noir. Questa tonalità è spesso tanto forte quanto la storia stessa ed è questa che affascina maggiormente. Così come affascinante è la visione della strada perduta, che ha un forte valore ipnotico. Si ha, in quest’immagine, la sensazione di precipitare, di essere assorbiti dalle tenebre. Bisognava dare l’impressione di una notte selvaggia. Alice è come un angelo caduto, sprofondato nella pornografia. Quel che mi interessa di più non è tanto il cadere quanto il combattere. Sono sempre stato affascinato dai guai in cui spesso la gente va a ficcarsi. Sono situazioni alle quali penso frequentemente.
(David Lynch si racconta, a cura di Stefano Boni e Enrico Vincenti, in David Lynch, “Garage”,
Paravia, Torino 2000)

Definire un film è pericoloso. Quelli che appartengono a un solo genere non mi piacciono: ecco perché questo è una combinazione di elementi. È una specie di horror, di thriller, ma fondamentalmente è un mystery. Ecco che cos’è: un mistero. Per me il mistero è come una calamita. Ovunque ci sia qualcosa d’ignoto si sviluppa sempre una grande attrazione. L’intero può avere una logica, ma il frammento, tolto dal suo contesto, assume un eccezionale valore di astrazione. Può diventare un’ossessione.
(David Lynch, Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita, a cura di Chris Rodley, Il
Saggiatore, Milano 2016)

Sicuramente, David Lynch non indaga il noir nel modo in cui decidono di farlo Lawrence Kasdan, Michael Cimino, Oliver Stone, Curtis Hanson, David Fincher, per citare i più suggestivi. Tuttavia, egli può essere considerato uno dei più intelligenti autori di noir contemporaneo, a patto di spiegare che cosa intendiamo. Se, nella letteratura critica, il noir è da sempre considerato uno dei generi che più facilmente ospitano una crisi delle coordinate spazio-temporali e una certa predisposizione all’onirico, il cinema di Lynch sembra il più adatto a dialogare con tali costanti. Ciò è ancor più vero considerando la caratteristica principale dell’onirismo del noir, che è quella di incrinare i piani dell’oggettività per segnalare che ciò cui assistiamo potrebbe non essere vero. In buona sostanza, il noir mette in dubbio più di ogni altro genere la credibilità del racconto cinematografico.
(Roy Menarini, Il cinema di David Lynch, Falsopiano, Alessandria 2002)

Aperture interpretative

Tutte le tracce necessarie a una corretta interpretazione sono contenute nel film, e amo ripetere che per molti aspetti si tratta di una storia lineare; solamente alcuni elementi escono leggermente dagli schemi consueti. Anche nella vita ci sono cose incomprensibili, eppure, quando le si vedono in un film, la gente si preoccupa. E tuttavia in qualche modo sono comprensibili. La maggior parte dei film sono concepiti in maniera tale da essere compresi da un gran numero di persone. Così non rimane molto spazio per il sogno e la meraviglia.
(David Lynch, Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita, a cura di Chris Rodley, Il
Saggiatore, Milano 2016)

Non si tratta di trovare una spiegazione in grado di sistemare gli eventi in modo coerente, quanto di proporre una interpretazione che innanzitutto tenga conto dei due più vistosi interrogativi che si impongono sin dalla prima visione: come è possibile che Fred sia colui che riceve il messaggio e colui che lo reca? Come è possibile che Fred, una volta in cella, si trasformi in Pete? Naturalmente si tratta di domande che non ci porremmo mai in un testo che ammette l’orizzonte del fantastico come regola narrativa. Ma qui – ed è il bilico in cui Lynch ama condurre lo spettatore – non siamo alle prese né con una “fiaba”, né con un horror.
(Andrea Minuz, Strade perdute, in David Lynch, a cura di Paolo Bertetto, Marsilio, Venezia 2018)

Numero approssimativo di modi in cui sembra che Strade perdute si possa interpretare: all’incirca 37. Sembra che il grande bivio interpretativo sia se dobbiamo prendere l’improvviso, inspiegabile cambiamento di identità di Bill Pullman sul serio (cioè se dobbiamo considerarlo letteralmente reale all’interno del film), o come una specie di metafora kafkiana della colpa, della rimozione e dell’evasione psichica, oppure se dobbiamo vedere tutta la cosa – dalle videocassette invadenti al braccio della morte alla metamorfosi nel meccanico, ecc. – come una lunga allucinazione da parte di un elegante sassofonista jazz che potrebbe trarre grandi benefici da qualche cura somministrata da un professionista. La possibilità meno interessante sembra quest’ultima, e sarei molto sorpreso se qualcuno alla Asymmetrical Productions preferisse un’interpretazione di Strade perdute come un lungo folle sogno. Oppure, secondo un’altra ipotesi, la trama del film potrebbe semplicemente essere incoerente e non avere nessun significato razionale e non essere affatto interpretabile convenzionalmente.
(David Foster Wallace, David Lynch non perde la testa, in Tennis, tv, trigonometria, tornado (e
altre cose divertenti che non farò mai più), minimum fax, Roma 1999)

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