Rilasciata da alcuni giorni su Netflix, la miniserie Dracula continua a far parlare di sé. Il nuovo adattamento delle sanguinose avventure del Conte, nel bene o nel male, non lascia di certo indifferenti.

 

L’attesa era molto alta per questa miniserie, in quanto Steven Moffat e Mark Gatiss rimangono due dei più brillanti showrunner inglesi. Conosciuti dal grande pubblico per la prima volta nelle rocambolesche avventure spaziali della storica serie Doctor Who. Sono riusciti a conquistare il pubblico di tutto il Mondo con la loro innovativa rivisitazione di Sherlock, ambientando le indagini dell’investigatore ai giorni nostri. Il format rimane lo stesso di quest’ultima serie: 3 episodi da 90 minuti l’uno circa. Il grosso problema è che hanno trattato la materia letteraria di base in maniera boriosa. Sembra infatti che, seppur conoscendo ed omaggiando splendidamente il testo di Bram Stoker e tutta la letteratura a riguardo, abbiano voluto creare un nuovo Sherlock. Il problema è proprio questo: Dracula non è Sherlock. Né nel riutilizzo di alcuni espedienti visivi, né nella costruzione del protagonista e di alcuni comprimari.

 

Dalla Romania all’Inghilterra: una lunga scia di sangue

La storia parte nel 1897, in terra rumena, presso un convento di suore dove Jonathan Harker narra la storia di come è fuggito dal castello del Conte Dracula. La suora che lo sta interrogando è la prima grande rivisitazione di un personaggio iconico della letteratura: Abraham Van Helsing che qui diventa Agatha Van Helsing. Le caratteristiche investigative peculiari del personaggio sono state mantenute, unite anche al tema della fede di cui la religiosa si fa carico. Il suo metodo deduttivo ricorda troppo quello dell’investigatore di Baker Street, trasformando quindi Agatha in una sorta di Sherlock Holmes. Tutto il racconto del castello di Dracula rimane un piacevole intrattenimento, mentre vediamo come il Conte abbia dissanguato piano piano il povero Jonathan. Uno dei pochi grossi problemi che imputo alla narrazione è la non preoccupazione del giovane per il ringiovanimento di Dracula. Seppur il non morto ringiovanisca notte dopo notte, Jonathan non viene troppo turbato dalla situazione. Così come per quello che scoprirà al castello. Non sarebbe un grande problema se parlassimo di un racconto gotico, ma questa rivisitazione punta molto sul finto realismo.

Dracula, inseguendo Jonathan, giungerà al convento intenzionato anche a nutrirsi. Nel suo complesso l’episodio è quello che mi hai intrattenuto di più, con un buon montaggio ed alcune trovate  interessanti. Claes Bang è un Dracula che ha fascino e carisma, anche se con il passare delle puntate risulti essere troppo pedante e meno sanguinario di questo primo episodio.

 

L’ultimo viaggio della Demeter

La seconda puntata racconta del viaggio del Conte alla volta dell’Inghilterra. La struttura narrativa che inizia con Dracula ed Agatha che giocano a scacchi mentre la suora deve capire come sia arrivata lì e cosa sia successo dopo il convento, ricorda ancora troppo Sherlock. Il viaggio della Demeter inoltre prende a piene mani dai racconti di Agatha Christie. Quando i pochi passeggeri inizieranno a sparire, si aprirà la caccia al colpevole, in cui tutti sono sospettati. Nonostante ciò, Dracula non fa nulla per sviare i sospetti in maniera concreta, se non accusando un misterioso passeggero infermo al posto suo. Anche in questo caso viene meno il realismo che gli showrunner hanno voluto dare alla miniserie, in favore di una narrazione che funziona bene solo nella prima metà dell’episodio. Tutta la parte finale riesce però a convincere per la risoluzione degli eventi e il plot twist con cui termina l’episodio.

 

L’orrore arriva ai giorni nostri

Giunto a nuoto sulle coste inglesi, Dracula scopre che sono passati 123 anni da quando il Demeter affondò. Ad attenderlo la dottoressa Zoe Van Helsing, discendente di Agatha e una squadra di scienziati e mercenari. Tutti loro fanno parte della fondazione Harker, nata con lo scopo di proteggere l’umanità dal malvagio Conte, se mai fosse tornato alla sua non vita. Nell’episodio ai tentativi di fuga e cattura di Dracula, corre parallela la storyline del giovane Jack Seward innamorato della disinibita Lucy Westenra. Belli i riferimenti alle opere letterarie, ma ho trovato questo cambio di focus molto penalizzante per la narrazione. Se nel finale le storyline si uniranno nella risoluzione finale, rimane una deviazione narrativa mal sviluppata per una miniserie di soli 3 episodi.

Il fatto della discendenza di Zoe rimane un espediente ormai obsoleto, che risulta essere anche ridicolo nell’utilizzo della stessa attrice oltre un secolo dopo la morte di Agatha. Sarebbe stato molto più convincente dare una innaturale lunga vita alla suora, dopo che Dracula aveva bevuto dal suo sangue ma senza arrivare ad ucciderla. Un lotta quasi eterna tra le forze della luce contro quelle dell’oscurità.

Il finale, inoltre, cambia ancora le carte in tavola su quanto spiegato della lore del Conte fino a quel momento. Il tutto per giungere ad un finale forse troppo buonista e con alcune considerazioni interessanti che vengono però risolte in un paio di minuti. Dal mio punto di vista, l’episodio più promettente, anche alla luce dei due precedenti, che si rivela però il vero anello debole della miniserie.

 

Moffat e Gatiss non si sono confermati ai livelli delle loro serie precedenti, sia per l’hype che generano i loro nomi in sceneggiatura sia per la difficoltà di adattare una materia così complessa. La miniserie ha molte buone trovate: un quasi ottimo primo episodio, un episodio centrale più lento ma godibile e un finale potenzialmente interessante ma sviluppato in maniera svogliata e superficiale. Una gigantesca occasione sprecata.