“Don’t fear the Reaper…”

Lo scorso 9 Luglio è stato rilasciato, su Netflix, Fear Street 1978, secondo capitolo della trilogia di film tratti dalle opere di R.L. Stine. Alla regia e alla sceneggiatura di questa pellicola abbiamo ancora una volta Leigh Janiak. Prima di addentrarvi nella lettura di questo articolo, vi consigliamo di recuperare la recensione del primo capitolo, Fear Street 1994.

TRAMA

1994: Proseguendo dalla conclusione del precedenete film, Deena e Josh tentano disperatamente di salvare Sam dall’influsso malefico di Sarah Fier, la strega bruciata sul rogo secoli addietro. A questo proposito si recano da Christine Berman, sopravvissuta ad un terribile fatto di sangue avvenuto nel 1978: il massacro del campo Nightwing.

A Luglio del 1978, le sorelle Ziggy e Cindy Berman prendono parte al campeggio estivo Nightwing, a cui partecipano moltissimi ragazzi di Shadyside e Sunnyvale. Ziggy, la più giovane delle due, è una ragazza determinata e combattiva, mentre Cindy è più timida e remissiva. Le due non vanno pertanto molto d’accordo, preferendo trascorrere il loro tempo separatamente. La serenità del campeggio riceve una prima battuta d’arresto quanto l’infermiera, la signora Lane, ha un crollo nervoso. La donna tenta infatti di aggredire Tommy, il ragazzo di Cindy, profetizzandogli che entro poche ore morirà “in un modo o nell’altro”. La Lane è una delle più ferme sostenitrici della “maledizione di Shadyside”, lanciata dalla strega Sarah Fier in punto di morte.

Quello che sembra inizialmente il delirio di una donna dalle precarie condizioni psichiche, si tramuta in realtà quando Tommy inizia a sentire una voce nella propria testa. Una voce che lo spinge ad uccidere…

RECENSIONE

Anche questa settimana ci troviamo di fronte ad un film alquanto difficile da trattare, che probabilmente dividerà il pubblico. Partendo dall’ambito tecnico, la regia della Janiak si conferma molto convincente. Rispetto al capitolo ambientato nel 1994, la regista si è lanciata in qualche ripresa un po’ più ricca di suspense e ha inoltre evitato di rendere la pellicola una sequela di omaggi a scene cult del sottogenere del camping slasher. Le luci e la fotografia mutano dalle tonalità fluo del film precedente a una sostanziale alternanza di cromaticità tra la gamma dell’arancione (scene in interno e di giorno) e quella del blu (scene in notturna). Sono diverse le scene che si giocano su tale contrasto cromatico, regalandoci inquadrature degne di essere incorniciate. La colonna sonora è in questo caso quasi del tutto assente, se non per brani celebri dell’epoca in cui è ambientata la vicenda. Uno di essi, (Don’t fear) The Reaper, è lo stesso ascoltato da Laurie ed Annie in “Halloween”. Così come nella pellicola di Carpenter, le parole della canzone suonano come un sinistro monito per ciò che sta per avvenire. Gli effetti visivi sono ancora una volta eccellenti. Le scene splatter continuano ad essere numerose, intense, ma mai gratuite. Per quanto riguarda l’utilizzo della CGI, piccola pecca del precedente film, qui è ridotto al minimo.

Passando alla sceneggiatura e agli aspetti attinenti alla trama, sorge spontanea una domanda: nel 2021 è ancora possibile fare un camping slasher che abbia qualcosa da dire? Concludendo la visione, la risposta è più tendente al sì che al no.

Partendo dai difetti, i due principali li troviamo a livello di personaggi e di ritmo. I personaggi sono infatti numerosi e soltanto pochi hanno un minimo di caratterizzazione. Anche in tali casi, la caratterizzazione è però piuttosto labile o troppo simile a quella dei protagonisti del primo film. Abbiamo poi un personaggio che subisce una radicale mutazione psicologica nell’arco di poche decine di minuti, passando dall’essere una figura fastidiosamente superficiale a svelare una personalità fragile ed introspettiva. Una tale evoluzione potrebbe essere attuata nell’arco di più puntate di una serie, ma in un film di meno di due ore (e ambientato in una finestra temporale limitata) va a risultare un po’ forzata ed affrettata. Non è poi chiaro come mai i ragazzi di Sunnyvale sembrino possedere un’innata arroganza. Ciò potrebbe essere comunque chiarito nel prossimo capitolo come effetto collaterale della maledizione di Shadyside.

Per quanto riguarda il ritmo, il problema risiede nel secondo atto. Se abbiamo un’introduzione e una conclusione genuinamente coinvolgenti, il secondo atto contiene scene molto simili fra loro senza che la trama avanzi particolarmente. Non c’è nessun passaggio in cui l’azione si interrompa, tuttavia ciò che viene portato sullo schermo in tali sequenze risulta ripetitivo e di scarsa rilevanza.

Ciò nonostante, ci troviamo di fronte ad un film interessante. Nell’ambito delle trilogie, una regola non scritta vuole che il secondo capitolo sia il più cupo. E, in effetti, la messa in scena del massacro al campo Nightwing è molto più seria e intensa di quanto ci si possa aspettare. Da quando la vicenda prende avvio, non sono presenti gag o battute di spirito per allentare la tensione. Viene inoltre portata avanti una delle idee di fondo che emergevano dalla visione del primo film: chiunque può essere una vittima. Anzi, in questo caso, si porta tale aspetto alle estreme conseguenze, con l’uccisione (fuori campo) anche di diversi bambini. Vengono inoltre rovesciati con una certa eleganza anche i valori dell’eroismo e del sacrificio. Nel contesto degli eventi del film, l’armarsi di nobili propositi non impedisce di andare incontro a fallimento o, ancora peggio, alla morte. Anche il finale della vicenda non porta con sé nessun senso di sollievo, ma sensazioni di inquietudine e amarezza. L’inserimento di tematiche soprannaturali ed esoteriche permette inoltre al film di prendersi dei momenti di respiro dall’atmosfera slasher, garantendo una certa originalità al tutto.

Il sacco in testa è un probabile omaggio a “La ciittà che aveva paura” e “Venerdì 13 – Parte 2“.

In questo insieme, viene meno il gusto per il bizzarro e il folle che caratterizzava Fear Street 1994. In altre parole, possiamo dire che c’è poco R.L. Stine in questo film. Verosimilmente, la Janiak e collaboratori hanno deciso di riservare uno spirito “stine-iano” solo alle parti ambientate negli anni ’90.

In definitiva Fear Street 1978 non è la grande operazione di citazione che ci si potrebbe aspettare, ma un’opera che, pur con i suoi difetti, riesce a crearsi un’identità autonoma.

Classificazione: 2.5 su 5.