House è stato l’esordio cinematografico di Nobuhiko Obayashi, regista giapponese che ci ha lasciato da più di un anno. Hausu, titolo originale, è il suo film più celebre, diventato un cult-movie.

House
Le 7 protagoniste di House pronte per il viaggio

Trama: Le lezioni stanno per terminare, Gorgeous (Kimiko Ikegami) decide di passare l’estate da sua zia che non vede da quando era una bambina. La zia (Yōko Minamida) ha vissuto in solitudine per anni e invita con entusiasmo la nipote a farle visita nella sua remota tenuta. La studentessa coinvolge sei amiche per quello che sperano sarà un viaggio avventuroso, ma presto si trasformerà in un incubo.

House di Nobuhiko Ôbayashi è un racconto surreale, fra la commedia e l’horror, dove al centro di tutto c’è una casa che sembra voler divorare le giovani malcapitate. Non è quel genere di horror che cerca di spaventare con un’atmosfera seriosa, neanche può essere considerato puramente comico. Un film decisamente sopra le righe, inverosimile e bizzarro. Le performance attoriali, che possono dare una parvenza di amatorialità, valorizzano invece questa composizione così eccentrica e surrealista, con una discesa narrativa nella follia. Tutte le giovani attrici erano aspiranti modelle/attrici che avevano lavorato con Obayashi in spot pubblicitari, con poca o nessuna esperienza di recitazione. L’unica attrice esperta era Yōko Minamida, che interpreta l’enigmatica zia con il suo gatto bianco di nome Blanche.

House
La zia con il suo gatto Blanche

Nobuhiko Obayashi 

Nato nel 1938 a Onomichi (Giappone), è stato un autore particolarmente originale e anarchico, uno di quegli artisti interessati più alla realizzazione di opere personali o sperimentali. Nella sua carriera ha girato numerosi film fra lungometraggi e cortometraggi, sempre portando avanti un suo linguaggio filmico riconoscibile, e lontano da quelle produzioni più commerciali. Quando aveva vent’anni, Obayashi iniziò a dedicarsi ai film sperimentali e alla scena artistica underground. Fu solo quando finalmente si avvicinò ad uno studio – con l’idea di creare una versione giapponese di Lo squalo (1975) – che gli fu data la prima possibilità di fare film con un budget sostanzioso.

Poster del film

Una fiaba contorta quella di House, ulteriormente accentuata dall’estetica da libro illustrato e da un approccio visivo molto giocoso. Lo stile pop-art e cartoon di House trova radici anche nella sua esperienza con spot pubblicitari, che si riflette in modo netto nello stile con il quale è stato girato House. Le sue composizioni spesso possiedono una spiccata qualità grafica, utilizzando tecniche diverse come stop-motion, animazione disegnata a mano, e tanti effetti visivi che all’epoca erano ancora in fase sperimentale.

House

Un suo film più recente che consiglio di recuperare è Hanagatami (2017), in parte ispirato alla sua infanzia ma soprattutto agli orrori della bomba atomica e della seconda guerra mondiale. Hanagatami cattura la passione, l’innocenza e la lotta degli ultimi giorni di giovinezza, in un paese consumato dalle fiamme della guerra. Inedito da noi, è disponibile in home video in versione originale con sottotitoli in inglese (Regno Unito).

Hanagatami, film del 2017

Il regista ha comunque esplorato diversi generi durante la sua carriera, ad esempio con il suggestivo His motorbike, Her island (1986) che è un sognante teen-drama romantico. Uno strano ritorno agli anni ’50 con la storia di due giovani amanti ossessionati dalle corse in moto. Passando dal bianco al nero al colore, Obayashi dipinge l’immagine di un giovane intrappolato in un’estate eterna da cui non ha alcun desiderio di fuggire. L’ultimo film del regista è Labyrinth of Cinema (2019), prima di lasciarci il 10 aprile del 2020.

His motorbike, Her island (1986)

Complessità visiva e tecnica

Per la realizzazione di House mette in secondo piano una narrazione che potrebbe apparire fin troppo semplice, ma l’intento era anche questo. Obayashi infatti per questo film si basa su un’idea della figlia che in quegli anni era una bambina. Ammette di aver preso molta ispirazione dalla piccola Chigumi, chiedendole cosa la spaventava, e alcune di queste paure includevano quella di uno specchio che la inghiottiva, di trovare una testa in un pozzo, e un pianoforte che mastica le persone. Obayashi ha poi ampliato quelle immagini nella storia di una casa che divora i suoi abitanti. Il regista ci ricorda l’importanza della curiosità infantile nel suo processo creativo. “Gli adulti pensano solo alle cose che capiscono”, dice il regista, “tutto resta troppo ancorato ad un livello razionale mentre i bambini riescono più facilmente ad inventare cose che non si possono spiegare”.

House
House, la scena del pozzo

House è un film fatto prevalentemente di immagini, con uno stile che mischia l’espressionismo con una pop-art surreale e un umorismo inaspettato. Non è molto semplice descrivere quest’opera a parole, ma già soltanto vedere alcuni frame aiuta a farsi un’idea più chiara. Il film è più un esperimento audiovisivo, in cui Obayashi si rifà ad un’idea di regia (e di estetica) che potremmo definire anche dadaista, perché analizzando le scelte che fa sembra evidente un tentativo di decostruzione dei canoni stilistici.

C’è tuttavia qualcos’altro alla base di tutta questa follia, una traccia silenziosamente malinconica che alla fine eleva il film. Come molte storie di fantasmi, House riflette i modi in cui gli eventi passati possono riverberarsi nel presente, e può essere visto come la storia di sette adolescenti che si ritrovano ad affrontare il trauma della guerra che la generazione dei loro genitori ha subito. Per metterla ancora più razionalmente potrebbe essere una metafora riguardante la loro sessualità, visto che le protagoniste sono adolescenti e ciò che accade nella casa diventa un’esasperazione di certi cambiamenti a volte incomprensibili, a volte spaventosi.

House

Un cult-movie da avere in collezione

House è dunque un’opera anticonvenzionale che si allontana dagli elementi più classici della narrazione cinematografica, un approccio decisamente coraggioso e personale (soprattutto considerando l’anno di produzione). Non si tratta sicuramente di un film che convince tutti, capita spesso infatti che opere più personali o radicali finiscano poi per dividere il pubblico. Ad esempio la componente comica può essere facilmente fraintesa, o scambiata per involontaria da uno spettatore non abituato. La sua natura così infantile e spontanea non poteva che essere rappresentata con una moltitudine di colori accesi, sfondi dipinti, montaggio sempre dinamico e una colonna sonora che varia diversi generi senza preoccuparsi di essere coerente.

Sicuramente non scontata la scelta del regista di visualizzare l’ossessione in modo così eccentrico e teatrale, evocando l’irrazionalità del reale in modo inquietante e straniante. Sebbene la narrazione abbia una struttura coerente, la messa in scena ribalta questa linearità, visualizzandola con animazioni ed effetti il più possibile irrealistici. Il rischio che si corre realizzando film così sopra le righe è quello di spezzare la sospensione dell’incredulità, ma questo film è uno di quei casi in cui questa “assurdità” diventa la protagonista dell’opera. Riesce a modo suo anche ad inquietare, perchè ci ritroviamo davanti a scene che, nonostante siano caricaturali, celano qualcosa di sinistro e non spiegato.

Blanche che osserva
  • In home video è disponibile una bella edizione blu-ray della serie Masters of Cinema (Eureka), ma non ci sono sottotitoli in italiano in quanto è del Regno Unito.

Hausu, nel 1977, ha ricevuto molti consensi diventando un successo in Giappone. Quando il film è arrivato ufficialmente negli Stati Uniti (nel 2009) aveva già un seguito di culto, e resta ancora oggi uno dei film weird più amati del cinema giapponese.

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