Dagon – La mutazione del male (2001) è probabilmente uno dei migliori adattamenti cinematografici tratti dall’opera di H.P. Lovecraft. Diretto da Stuart Gordon e interpretato da Ezra Godden e Raquel Merono, il film trae ispirazione da Dagon e La maschera di Innsmouth, in cui risulta fondamentale la presenza dei Deep Ones. Sono tuttavia presenti numerosi riferimenti ad altri racconti del solitario di Providence e al pantheon lovecraftiano.

“Ia Ia Cthuluh Fhtagn!” cantano in coro i membri del culto esoterico di Dagon per onorare il padre dei Deep Ones.

Il lungometraggio inizia con la presentazione dei personaggi principali: Ezra Godden, nei panni di Paul Marsh, e Raquel Merono nel ruolo di Barbara, la sua fidanzata. I due sono in vacanza, ma Paul non fa che pensare al lavoro. In barca, con loro, sono presenti gli amici Howard (Brendon Price) e sua moglie Vicky (Brigit Bofarull). Il mare è cristallino, la giornata è splendida. Ma una tempesta sta per sconvolgere la gita in barca. Una serie di nuvoloni scatenerà la tormenta che costringerà Paul e Barbara a cercare aiuto nel paese che intravedono sulla scogliera più vicina. Eppure, strane persone abitano nel luogo, che a momenti sembra completamente deserto. 

Un indizio della peculiarità del paese proviene dal canto che i fidanzati odono prima della tempesta: una litania accompagnata da musica religiosa. Per Paul e Barbara inizierà un’avventura che cambierà le loro vite. E, nel caso di Paul, lo porterà a scoprire la propria incredibile discendenza.

Innsmouth: al largo della costa spagnola?

Il paesino, una comunità di pescatori al largo della costa spagnola, è un chiaro riferimento a quello che nell’opera di Lovecraft viene chiamato Innsmouth. Nel film, gli abitanti del posto vengono fuori pian piano, mostrando le proprie particolarità – o mostruosità – in maniera graduale. Il primo a conoscere Paul e Barbara è il prete del paese (Ferran Lahoz). È chiaro fin da subito, però, che nel luogo non sia praticato il cristianesimo – bensì un culto ben più antico e di origini pagane, noto proprio come il culto di Dagon. Strani simboli, statue, manufatti e strumenti cerimoniali riempiono il luogo dove si venera il re dei Deep Ones. Gli abitanti, affetti da quella che Lovecraft chiama nel racconto “maschera di Innsmouth” presentano diversi gradi di metamorfosi prima di diventare creature acquatiche a tutti gli effetti e raggiungere Dagon negli abissi dell’eternità.

Ero contento di poter scendere finalmente dalla corriera, e andai subito a depositare la valigia nella squallida portineria dell’albergo. Vi trovai una sola persona – un uomo anziano il cui aspetto non mostrava segni di quella che ormai avevo battezzato la “maschera di Innsmouth”.

Deep Ones

I Deep Ones sono esseri umanoidi con tratti di anfibi e pesci. Vengono talvolta adorati dagli umani. Quando intrattengono rapporti con loro, tuttavia, questi ultimi finiscono per essere “contaminati” o distrutti.

L’agire degli ibridi è ben espresso nel film di Stuart Gordon: gli abitatori del profondo promettono all’uomo ricchezza e abbondanza di cibo, per poi essere pagati con prezzi troppo alti per qualsiasi essere umano dotato di morale. La proposta dell’immortalità, comunque, finisce per corrompere qualsiasi uomo, che inizia così a venerare nuovi terribili dei, rinnegando la fede in Cristo.

I cambiamenti nell’aspetto iniziano alla fine dell’adolescenza. Si avverte il risveglio di nuovi sensi, accompagnati da strani sogni. Alcuni rimangono ignari della loro discendenza e, quando il cambiamento comincia, si sentono attratti dal loro luogo di nascita. Proprio come accade a Paul Marsh in Dagon – La mutazione del male. Entro la mezza età, gli ibridi mostrano gravi forme di deformità e si ritirano nelle loro case. Nel giro di pochi anni, l’ibrido subisce la trasformazione finale in un Deep Ones e inizia la nuova vita nel mare.

Pare che tutti gli ibridi provengano da una femmina di Deep Ones e da un maschio umano, poiché entrambi possiedono il gene limitante della crescita della propria specie, necessario perché il nascituro non diventi troppo grande. È per evitare quello che accade, ad esempio, al ligre: ibrido nato da un leone maschio e da una femmina di tigre, che non smette mai di crescere fino alla maturità.

I Deep Ones discendono da Padre Dagon e Madre Hydra. Hanno molte città sottomarine. La più celebre è forse Y’ha-nthlei, che si troverebbe al largo della costa del Massachussets, vicino a Innsmouth.

Il dio mesopotamico Zagan, da cui ha tratto ispirazione Lovecraft per la creazione di Dagon.

La maschera di Innsmouth e il razzismo di Lovecraft

Vediamo, adesso, come Lovecraft descriveva gli effetti della maschera di Innsmouth sul fisico. Il seguente passo è tratto dall’omonimo racconto e descrive il momento in cui il protagonista si trova faccia a faccia, per la prima volta, con un abitante del bizzarro paese: l’autista della corriera che porta a Innsmouth.

Era magro, alto, con spalle cascanti, sotto l’uno e ottanta […] Doveva avere trenta, trentacinque anni, ma le bizzarre e profonde grinze ai lati del collo lo facevano sembrare più vecchio finché non si guardava il volto ottuso e inespressivo. Aveva la testa stretta, occhi d’un azzurro slavato che sembravano non chiudersi mai, naso piatto, fronte e mento sfuggenti, orecchi singolarmente atrofizzati.

Il labbro superiore era grosso e insolitamente lungo e le guance grigiastre dai pori dilatati quasi glabre, non fosse che per qualche ciuffetto di peli gialli e arricciati che crescevano radi qua e là; in alcuni punti la pelle sembrava squamosa, come se soffrisse di qualche malattia. Le mani grandi, coperte di un fitto intrico di vene in rilievo, erano di un colore grigio bluastro molto insolito, con dita tozze e cortissime in proporzione alla grossezza del palmo. 

Sembrava, inoltre, che le dita tendessero a ripiegarsi nel palmo enorme. Mentre s’avviava verso la corriera, notai la sua andatura strascicata e vidi che aveva piedi smisurati: più li guardavo, più mi chiedevo come facesse a trovare scarpe che gli andassero bene. L’aspetto sudicio e untuoso dell’uomo accrebbe il mio disagio. Evidentemente, a tempo perso, lavorava o ciondolava nelle pescherie, perché ne emanava il caratteristico odore. 

Bestialità acquatica

Il concetto della maschera di Innsmouth è utile per comprendere il razzismo che ha caratterizzato la prima fase del pensiero di Lovecraft, per cui l’autore è stato a lungo criticato. Ma è importante specificare che il suo razzismo fosse rivolto alla barbarie, cioè all’uomo selvaggio e non civilizzato e non, come si è creduto a lungo, semplicemente allo straniero con un diverso colore della pelle o particolari lineamenti.

Dall’estratto è facile comprendere che la maschera di Innsmouth non sia una metafora per stigmatizzare lo straniero. È piuttosto, come scritto dallo stesso Lovecraft, una degenerazione biologica. Chi ne è affetto muta nella forma e nella sostanza. È come un virus o una malattia aliena:

Non riuscivo a capire quale sangue barbaro scorresse nelle sue vene. Le sue bizzarre peculiarità fisiche non erano certamente asiatiche, polinesiane, levantine o negroidi, eppure capivo perché la gente vedesse in lui uno straniero. Personalmente, avrei pensato a una degenerazione biologica piuttosto che a sangue esotico.

Leggere superficialmente La maschera di Innsmouth può portare, dunque, a conclusioni errate. Un’analisi più approfondita, mirata a scoperchiarne le radici, conduce invece ad una chiave di lettura diversa. 

Lovecraft, ancora una volta, come in altre storie, nel suddetto racconto fornisce una visione negativa di ciò che è barbaro, selvaggio, incivile poiché, secondo lui, si allontana dall’essere umano. E in questo racconto l’allontanamento avviene in senso letterale, poiché gli abitanti di Innsmouth mutano la propria natura, rinnegando la loro umanità per abbandonarsi ad una forma di bestialità acquatica.

I Deep Ones tra racconto e film

Gli abitanti del paese che nel film rispecchia Innsmouth riflettono grossomodo le descrizioni di Lovecraft. Tuttavia, nell’opera cinematografica, la trasformazione avviene a livelli più profondi – o meglio, si spinge oltre le descrizioni dell’autore di Providence, che non ha mai illustrato l’aspetto delle creature allo stadio avanzato della metamorfosi, lasciando così il lettore libero di immaginare

Il film, infatti, per quanto ben riuscito e per esigenze che riguardavano probabilmente l’avanzamento della trama, ad un certo punto si distacca dall’opera di Lovecraft, perché sceglie di mostrare fin troppo. Notare i tentacoli che crescono sui corpi, infatti, fa perdere, in parte, il senso di mistero che lo caratterizza fino a quel momento e che stimola la curiosità perversa dello spettatore.

Gli abitatori del profondo nel lungometraggio sono più fantasiosi e assumono forme più grottesche di quelli immaginati da Lovecraft, in certi casi soltanto per spaventare lo spettatore. 

E anche in questo aspetto, l’opera cinematografica diverge dal racconto. In quest’ultimo, infatti, gli abitanti di Innsmouth sembrano immaginati con l’intento di generare terrore soltanto attraverso l’estetica, inducendo chi li guarda a provare un senso di estraneità e immaginare quali orripilanti mutamenti o malattie scavino in quei corpi. 

Non è propri così nel film, in cui, ad un certo punto, si conosce fin troppo di loro. E paiono caratterizzati da esigenze e comportamenti a volte troppo umani. È il caso, ad esempio, di Uxìa Cambarro (Macarena Gomez), che nonostante la trasformazione è animata da profondi sentimenti d’amore, aggiungendo un tocco tragicamente romantico alla pellicola. L’elemento amoroso non rovina il film, ma aumenta le distanze dalla letteratura di Lovecraft.

Lo stile di Lovecraft e le atmosfere da lui create sono una commistione di elementi ben dosati e perfettamente in equilibrio tra loro. Cambiare uno soli di questi elementi, oppure eliminarne o aggiungerne un altro può cambiare in modo drastico la sensazione e il sottile senso di weird e terrore che trasmette la lettura delle sue opere. Ma trasporre su grande schermo qualcosa che è nato ed è perfetto per la prosa è una sfida che, forse, richiede necessariamente rielaborazioni e cambiamenti.

E di certo, Stuart Gordon, si è avvicinato all’obiettivo, forse più di chiunque altro, con Dagon – La mutazione del male.

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