Richard Stanley ci offre una delle migliori trasposizioni di un classico di Lovecraft: Il colore venuto dallo Spazio. Con il suo stile visionario e moderno, riplasma il racconto ai nostri giorni mantenendone però intatto il mistero ed il suo fascino

Tanti cineasti hanno provato ad approcciarsi alle opere del solitario di Providence, ma sono in pochissimi quelli che ne hanno colto l’essenza. Richard Stanley, dopo lunghi anni di esilio dalla regia di film per il grande pubblico, ritorna con Il colore venuto dallo Spazio che, ne sono sicuro, nei prossimi anni verrà ricordato come un cult.

Il colore venuto dallo Spazio è stato pubblicato a puntate sulla rivista Amazing Stories. A Lovecraft venne rifiutata la pubblicazione su Weird Tales, come per altri suoi racconti precedenti, proprio a causa delle difficoltà economiche provocate dalla nuova gestione del magazine. La maledizione dello scrittore di Providence si ripete, anche questa nuova opera non verrà molto considerata. Lovecraft sarebbe morto solo 10 anni dopo, in ristrettezze economiche e senza mai raggiungere la fama che si sarebbe meritato.

Era solo un colore che non apparteneva né alla Terra né al cielo

Nonostante qualche differenza con il romanzo, Il colore venuto dallo Spazio non perde nemmeno un briciolo del suo mistero in questo film. Stanley infatti inizia mostrandoci i boschi attorno alla fattoria dei Gardner, mentre il voice over scandisce l’incipit del racconto. La storia è ambientata ai nostri giorni, ma il contesto bucolico di partenza la rende quasi atemporale. I protagonisti sono la famiglia Gardner, appunto. Nathan è il padre tornato a vivere nella vecchia fattoria di famiglia; Theresa, la madre, lavora in smart working dopo essersi appena sottoposta ad una mastectomia. Hanno tre figli: Benny, adolescente irrequieto, Lavinia, ragazza affascinata dalla Wicca e il piccolo Jack.

La famiglia sembra aver trovato una stabilità nella nuova casa, dove Nathan si è dato all’allevamento degli alpaca, fino all’arrivo di un meteorite. Il sasso spaziale finirà la sua corsa proprio nel terreno dei Gardner e da quel momento nulla sarà più come prima. La vegetazione e poi anche la fauna cambieranno, muteranno, mentre uno strano bagliore di un colore mai visto prima si espanderà su tutta la loro proprietà.

L’indescrivibile paura dell’ignoto

Anche ne Il colore venuto dallo Spazio, Lovecraft riversa tutte le sue fobie ed insicurezze verso l’ignoto. In particolare, l’ignoto che arriva dalle sconfinate profondità del cosmo. In un racconto scritto tanti anni fa, si possono trovare tematiche profetiche: come l’inquinamento delle acque e la morte della Natura. Oggi sappiamo che siamo stati noi a condannare il Pianeta e non un meteorite venuto da un altro Mondo, anche se l’ipotesi di estinguerci ci accomuna ai Gardner. Molto interessante anche la resa cromatica del colore, un viola acceso che pare vibrare quando entra in contatto con altri esseri viventi. Stanley riesce a spaventare lo spettatore con l’uso di primi piani e dettagli sui volti, prima spaventati e poi mutati dei componenti della famiglia.

Nicolas Cage, a mio parere, è stata la scelta giusta per interpretare Nathan. Un padre di famiglia affettuoso e un buon marito che, piano piano, perde la ragione a causa del colore. Sarà disposto a far di tutto per non dividere la sua famiglia, fino ad un finale sempre più allucinato ed allucinante. Ottima anche Madeleine Arthur, la sua Lavinia è la figura più centrale del film che tenta disperatamente di far ragionare il padre e sfuggire alla minaccia cosmica. Interessante che Stanley abbia messo una figura femminile centrale quando, nel racconto, i figli dei Gardner sono tutti maschi. La soluzione, però, funziona alla grande: permettendo al pubblico di identificarsi nella giovane mentre il caos si sta scatenando.

La funzione di osservatore dei fatti spetta all’idrologo Ward Phillips, chiaro riferimento al romanzo. Infatti, la vicenda descritta da Lovecraft, partiva proprio quando la vecchia fattoria dei Gardner già non c’era più. Un giovane idrologo accompagna il lettore alla scoperta di quello che accadde, in prospettiva della costruzione di una diga che avrebbe sommerso la cosiddetta ‘Valle Maledetta‘. Solo il vecchio Ammi Pierce, vicino di casa dei Gardner, sarà in grado di rivelargli cosa veramente accadde. Un racconto nel racconto, tipica tecnica di scrittura già utilizzata dallo scrittore di Providence, in cui il lettore rimane avvinto ed affascinato.

E i segreti di quegli strani giorni si uniranno ai segreti delle profondità; si uniranno al sapere occulto dell’antico oceano, e ai misteri della terra primeva

Richard Stanley riesce a trasporre l’orrore cosmico lovercraftiano senza per nulla snaturare l’essenza stessa di un racconto che oggi, dopo quasi 100 anni, riesce ancora ad inquietare e suggestionare tutti noi

Classificazione: 3.5 su 5.

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