Il colore venuto dallo spazio è uno dei più celebri racconti di H.P. Lovecraft. Pubblicato per la prima volta nel 1927, il testo invecchia nel migliore dei modi possibili, continuando a offrire spunti per trasposizioni cinematografiche, riflessioni sull’influenza di materiale incontrollabile sull’ambiente, incognite celate nello spazio e, com’è caratteristico dello scrittore di Providence, la reazione del genere umano di fronte ad un ignoto che, solo tentare di comprendere, conduce senza preamboli alla pazzia.

Ripercorriamo passo per passo il racconto, accompagnati dai dipinti dei due artisti citati da Lovecraft nella storia: Salvator Rosa (1615 – 1673) e Johan Heinrich Füssli (1741 – 1825), per chiederci infine se sia possibile l’esistenza di un colore non ancora conosciuto, riprendendo la peculiare vicenda dell’impressionista Claude Monet e la sua supervista.

Il colore venuto dallo spazio: la trama del racconto di Lovecraft

La vicenda comincia con un uomo che si reca a occidente di Arkham, dove “le colline si innalzano all’improvviso, tra valli e boschi profondi che non hanno mai conosciuto la scure” per fare un sopralluogo in vista della costruzione di un nuovo bacino. Secondo gli abitanti di Arkham, quella è una regione maledetta. Ma il funzionario non ci crede – non prima di imbattersi nella “landa folgorata”. Alla vista del luogo (“cinque acri di grigia desolazione”), è colto dal terrore e torna in città per saperne di più. Scopre che c’è solo un testimone dei “giorni terribili” in cui una serie di eventi inspiegabili sono culminati, infine, nella folgorazione della landa.

Il testimone è Ammi Pierce: contadino che abita laddove “gli alberi cominciano ad addensarsi”. Il funzionario incontra Ammi, che si mostra disposto a raccontare quei “giorni terribili”. Ma dopo aver compreso la storia, un senso di inquietudine avvolge l’ascoltatore: l’uomo è così spaventato da fuggire lontano dalla landa e poi licenziarsi, perché non ha alcuna intenzione di avventurarsi ancora in quel luogo di mistero e morte.

Paesaggio fluviale con rupe
(Salvator Rosa; 1615 – 1673).
L’artista è citato da Lovecraft nella parte iniziale del racconto:
“Somigliava troppo a un paesaggio di Salvator Rosa, a un’orribile incisione di un racconto dell’orrore”.

Il racconto di Ammi Pierce

La storia che Ammi racconta al funzionario riguarda lo schianto di un meteorite vicino alla fattoria di Nauhm Gardner, un altro contadino che abita in mezzo a “fertili frutteti e giardini”. Nahum riferisce la notizia dello schianto ad Arkham, ma non prima di averla comunicata a Ammi Pierce. È proprio Pierce, che il giorno successivo conduce sul luogo i curiosi professori della Miskatonic University per esaminare il corpo alieno. Scoprono che il meteorite e i suoi frammenti continuano a rimpicciolirsi, non smettono di raffreddarsi e “proprietà ottiche e altre cose che gli uomini di scienza perplessi tirano in ballo quando si trovano di fronte all’ignoto“.

Ricerche successive rivelano un colore fuggevole che somiglia ad alcune bande emesse dallo spettro della meteora. Dopo una notte di tempesta, il meteorite sparisce. Nauhm riferisce che, durante il crepuscolo, l’oggetto misterioso ha attirati i fulmini diverse volte. Il contadino, in breve tempo, diventa una sorta di celebrità locale: tutti vogliono intervistarlo. Eppure, è solo un uomo sulla cinquantina che vive con moglie e tre figli in una fattoria, e possiede un campo oltre il torrente di Chapman.

Streghe e incantesimi
(Salvator Rosa; 1615 – 1673)

L’infiltrazione del colore venuto dallo spazio

Arrivata la stagione del raccolto, Nahum scopre che i frutteti non hanno mai prosperato come quella volta. Ma i frutti presentano qualcosa di insolito: un gusto amaro che li rende immangiabili. Col tempo, la famiglia Gardner diventa sempre più schiva e taciturna. Giunto l’inverno, il capofamiglia si convince di notare delle stranezze nelle tracce che lasciate dagli animali al passaggio sul manto nevoso. I cani di Nauhm, inoltre, cambiano le abitudini. E alcuni ragazzi che esplorano la zona per cacciare, sparano a un merlo dall’insolita costituzione corporea…

La gente inizia a sussurrare racconti inquietanti. Dei cavolfiori enormi spuntano nei pressi della fattoria Gardner e hanno un colore indescrivibile. I professori dell’università decidono di analizzarsi, ma sostengono che non esista motivo per allarmarsi. Le persone, nel frattempo, notano comportamenti sempre più strani da parte della famiglia di Nahum – strani come piante e arbusti che continuano a crescere nella zona. Il colore intravisto nella meteora sembra estendersi ovunque e la strada che passa dalla dimora dei Gardner è sempre meno frequentata.

Scena da un maleficio
(Salvator Rosa; 1615 – 1673)

Sprofondare nella follia

A maggio arrivano gli insetti: non sono normali né per quanto riguarda l’aspetto, né per i movimenti. Gli alberi paiono muoversi anche quando non soffia vento. In più, un viaggiatore di passaggio durante la notte constata che una strana luminescenza avvolge la fattoria Gardner. Col tempo, anche l’erba intorno alla casa, finora rimasta immutata, e il latte delle vacche di Nauhm presentano cambiamenti raccapriccianti.

L’unico che visita ancora la famiglia reietta è Ammi Pierce. I Gardner, infatti, conducono un’esistenza sempre più ritirata. Non a caso, la moglie di Nahum impazzisce. La sue crisi crescono di intensità. E quando i figli iniziano ad avere paura di lei, il marito la confina in soffitta. La donna assume atteggiamenti fuori dal comune e al buio dà l’impressione di essere “un poco luminosa“.

I cavalli di Nauhm ammattiscono: qualcosa, nel loro sistema nervoso, sembra cedere e diventa necessario abbatterli. La vegetazione, invece, diviene grigia e friabile – si sbriciola in una polvere grigiastra. Anche l’acqua del pozzo cambia sapore, ma i Gardner continuano a bere. Sembra che siano precipitati in una qualche “stolida forma di rassegnazione“. I ragazzi smettono di andare a scuola. Presto anche uno di loro impazzisce: Thaddeus, il più sensibile. Destinato anche lui alla soffitta, urla con la madre in quella che sembra una conversione in una lingua sconosciuta.

Le tentazioni di Sant’Antonio – particolare
(Salvator Rosa; 1615 – 1673).

Il colore venuto dallo spazio – un colore che uccide

Quando torna il tempo del raccolto, nella fattoria non è rimasto un solo animale vivo. I maiali sono caduti a pezzi prima di morire. Le vacche sono andate incontro a un destino simile, subendo un un’accartocciamento delle parti interne del corpo. Un giorno, Nahum va a casa di Ammi per comunicargli, sconsolato, che Thaddeus è morto. Ammi cerca di consolarlo. Ma il contadino sfortunato si ripresenta a casa dell’amico tre giorni dopo: stavolta il più piccolo dei figli, Merwin, è scomparso. Dopo una vana ricerca, trascorrono diverse settimane senza che Nauhm si faccia vivo. Perciò Ammi decide di andare a trovarlo.

La casa dei Gardner vessa in condizioni pietose. Nahum è intento a dare ordini all’ultimo figlio rimasto, Zenas (che però non si vede). Quando Ammi chiede spiegazioni, il padre disgraziato risponde che suo figlio: <<è nel pozzo… adesso vive nel pozzo…>> Ammi capisce tutto: Nahum dev’essere impazzito. Ma dov’è la signora Gardner? Il visitatore decide di cercarla e quando la trova in una stanza della cantina può solo “pensare alla mostruosità che aveva davanti e che fin troppo chiaramente aveva condiviso il fato del giovane Thaddeus e del bestiame”.

l sogni del pastore
(Johan Heinrich Füssli; 1741 – 1825).
Füssli è uno dei due artisti citati da Lovecraft nel Colore venuto dallo spazio.

Ti entra nel cervello e poi ti brucia…

Ammi inizia a scendere le scale, ma gli insoliti rumori provenienti dal piano di sotto lo paralizzano. E non solo: nota che “gradini, pareti, corrimano e travi erano fosforescenti!” Il nitrito del suo cavallo, rimasto all’esterno, lo allarma ancor più. la bestia dev’essersi data alla fuga. Proprio quando Ammi ritrova l’audacia e comincia a scendere, si palesa davanti a lui la sagoma distorta di Nahum: nel giro di mezz’ora, la disgregazione (già a livello avanzato) l’aveva atterrito. L’uomo ridotto a una creatura informe e grigiastra parla: <<Viveva nel pozzo, l’ho visto… il colore ti entra nel cervello e poi ti brucia…>> quindi crolla su se stesso.

Il silenzio
(Johan Heinrich Füssli; 1741 – 1825).

Ricorrere alle autorità

Ammi Pierce racconta la tragedia alle autorità di Arkham. È costretto a tornare nel luogo del dramma con diversi uomini, tra cui diversi agenti e un medico legale. Riempiono due provette con le ceneri dei cadaveri, che per un po’ rivelano una gamma di emissioni sconosciute. Ormai al tramonto, decidono anche di svuotare il pozzo. Scoprono che i resti di Merwin e Zenas sono almeno in parte sul fondo, con un cervo, un cane e ossi di piccoli animali.

Al crepuscolo, sono tutti nel soggiorno della casa maledetta. Formulano domande senza risposta e riflettono. Poi notano dalla finestra un bagliore che si sprigiona dal pozzo. Ammi trasale, perché conosce fin troppo bene quel colore… I cavalli, all’esterno, iniziano a scalciare e nitrire. L’uomo che più di tutti sa, Ammi Pierce, sprona gli altri a restare all’interno della casa, perché <<quella cosa mangia gli esseri viventi e così diventa forte>>. Restano tutti interdetti. Rabbrividiscono quando vedono gli alberi muoversi senza vento e una “costellazione mostruosa di luce innaturale”, che guizza “come uno sciame di lucciole nutrite da cadaveri”. Il fascio di luce che si innalzata dal pozzo diventa sempre più intenso.

Le tre streghe
(Johan Heinrich Füssli; 1741 – 1825).

Il colore venuto dallo spazio… torna a casa?

Un’agitazione selvaggia anima la scena. Alcuni tra gli uomini avanzano ipotesi o espongono il loro pensiero sugli accadimenti. Poi è il turno di Ammi: <<È venuta da fuori, dove le cose non sono come qui… e adesso sta tornando a casa…>> Il flusso di colori senza nome scorre nel cielo dal pozzo, la colonna si irradia sempre più forte. Il cavallo di Ammi emette un verso indefinibile e muore. Nella casa, la lampada che illuminava l’ambiente è spenta: gli uomini si accorgono che una fosforescenza pervade l’appartamento, perciò si danno alla fuga in fretta.

Quando guardano indietro scoprono una “scena degna di un quadro di Füssli“. In un subbuglio cosmico il colore scocca come un razzo verso il cielo. Presto lo segue gran parte della materia che ne è intrisa e della casa di Nahum non resta quasi niente. Gli spettatori tornano esterrefatti alle proprie abitazioni. Ma Ammi non troverà più pace, perché vede un brandello del colore nascondersi ancora nel pozzo.

Satana lascia la corte del caos
(Johan Heinrich Füssli; 1741 – 1825).

L’acqua inonderà tutto

Il funzionario che ha interrogato Ammi Pierce, a questo punto, fa alcune considerazioni sugli inspiegabili eventi. E cita altri strani fatti accaduti intorno alla “landa folgorata”, per affermare infine che devono esserci altri globuli di quel colore indefinibile. È inquietato dalle vicende, e sarà contento quando, grazie alla costruzione del nuovo bacino, l’acqua inonderà tutto. Ma resta la preoccupazione nei confronti di Ammi: il timore che diventi una di quelle grigie e fragili mostruosità che turberanno per sempre i suoi sogni.

La visione di Caterina d’Aragona
(Johan Heinrich Füssli; 1741 – 1825).

Possono esistere colori che non riusciamo a vedere?

Scientificamente, la risposta a questa domanda non può che essere negativa. Per l’essere umano, infatti, sono dei colori tutte le radiazioni all’interno del campo a lui visibile, ovvero dall’infrarosso all’ultravioletto. Ciò che è all’esterno di questo campo non è visibile, e di conseguenza non è chiamato colore. Ai limiti degli intervalli, però, la sensibilità individuale può spingersi più o meno verso il confine del visibile. Perciò, non possiamo definire colori le lunghezze d’onda che appartengono all’ultravioletto e all’infrarosso, poiché sono per noi invisibili. Alcuni animali come le api, invece, percepiscono i raggi ultravioletti.

Il caso Monet

Vale la pena di citare il caso del pittore francese Claude Monet. Nel 1922, l’artista riusciva quasi non riusciva distinguere alcuni colori. Era costretto a etichettare i tubi di vernice con grandi lettere e metterli sempre negli stessi punti della sua tavolozza, così da memorizzarne la posizione: i pigmenti gli sembravano tutti uguali. Monet soffriva di cataratta. Era reticente all’idea di affrontare un intervento chirurgico. La probabilità di successo, infatti, non era molto alta e si poteva incorrere comunque nella perdita totale della vista.

In ogni caso, il pittore comprese di non avere altra scelta: doveva operarsi. E dopo l’intervento fu obbligato a restare immobile per giorni, con la testa incastrata tra diversi sacchi di sabbia. Per settimane, poi, indossò delle bende. Avvertiva un prurito che metteva a dure prova i suoi nervi. Quando poté rimuovere le bende, venne il momento di fare i conti con la nuova lente correttiva, che curvava e distorceva ogni cosa, e Monet la definì come un’esperienza terrificante.

Claude Monet, il pittore francese fondatore dell’Impressionismo.

Uno sguardo sull’ultravioletto

Col tempo, però, il suo occhio guarì. Dopo due anni potè indossare dei nuovi e costosissimi occhiali realizzati per le persone prive di una cristallino (la lente che c’è all’interno del bulbo oculare, rimossa a causa della cataratta). Con un po’ di fortuna, il mondo che vedeva sembrò tornare alla normalità. Ma c’era qualcosa di più

Come scritto sopra, l’essere umano non può vedere la luce ultravioletta. Ma pare che i coni nei nostri occhi possono percepire i raggi ultravioletti se ne viene data la possibilità: è una percezione debole, ma le nostre retine possono comunque captarla.

La casa vista dal Giardino delle Rose
(Claude Monet; 1840 – 1926).

Sfumature di blu e viola

Noi non possiamo vedere, ad esempio, le macchie sulle farfalle (in base alle quali è possibile distinguere il sesso di certe specie), perché i cristallini dei nostri occhi filtrano la luce ultravioletta. Ma Monet, a quel punto, non aveva un cristallino. Perciò, dopo essersi ripreso, poteva vedere la luce ultravioletta. Gli si aprì un mondo di figure e modelli nascosti nella natura. E ne sono una prova i suoi dipinti: i gigli, che per chiunque possegga i cristallini appaiono bianchi, a Monet apparivano ora con sfumature di blu e viola.


Non a caso, i chirurghi oculistici che rimuovono i cristallini dei pazienti affetti da cataratta, di solito li sostituiscono con lenti artificiali che bloccano la luce ultravioletta. Ma prima degli anni ottanta del novecento, non c’erano ancora lenti in grado di farlo.

Ninfee
(Claude Monet; 1840 – 1926).

Il timore dell’immensità nel Colore venuto dallo spazio

Dopo aver assistito al racconto di Ammi Pierce, il funzionario recatosi ad Arkham per il sopralluogo pensa:

“Nella mia anima si era insinuato uno strano timore dei profondi vuoti celesti sopra di me”.

Nel Colore venuto dallo spazio, Lovecraft riflette sul timore di ciò che potrebbe trovarsi nell’immensità dello spazio, del cielo, dell’universo o in generale di ciò che è più grande di noi e non riusciamo a spiegare. Si tratta di una paura atavica, da cui scaturisce l’attribuzione della spiegazione dei fenomeni naturali a potenze invisibili. E in seguito a entità immaginarie chiamate dei, oppure ad un unico dio. Ma non solo. Come scrive Emil Cioran nel Breviario dei vinti:

“Se vivessimo nei giardini, la religione non sarebbe possibile. È la loro assenza a suscitare in noi la nostalgia del paradiso. Uno spazio senza fiori né alberi porta a guardare al cielo e ricorda ai mortali che il loro primo antenato dimorò per breve tempo nell’eternità, all’ombra degli alberi. La storia è negazione del giardino”.

L’eco del vuoto
(Salvator Dalì; 1904 – 1989).

Il colore venuto dallo spazio, oltre ad essere un racconto molto appassionante, conduce il nostro pensiero verso moltiplici regioni: scenari post nucleari, ambienti corrotti dall’effetto di radiazioni ingovernabili (come non ripensare a Chernobyl?), il ruolo dell’uomo in un cosmo infinito e inconoscibile, la sua percezione, il timore di ciò che potrebbe albergare in antri oscuri dello spazio e il rapporto con un’immensità che non si può controllare e forse neppure conoscere.