Trent’anni fa David Cronenberg vinceva una scommessa con il mondo e con se stesso portando sugli schermi un’opera letteraria fino ad allora considerata impossibile da filmare. Il pasto nudo.

LA TRAMA

Lo sterminatore di insetti William Lee sviluppa una pericolosa dipendenza alla polvere che utilizza per il suo lavoro. Finito nei guai con la legge e dopo aver ucciso la moglie in un gioco mentre erano entrambi sotto effetto di stupefacenti, inizia un contorto percorso di riscatto all’interno di una complicata storia di spie, tra tradimenti, omicidi e complotti sempre più imprevedibili.

L’ORIGINE DEL LABIRINTO

Il pasto nudo deriva dal complicato e autodistruttivo approccio alla vita di William Burroughs, figlio degenere di una agiata famiglia benestante americana, animo irrequieto, dedito agli eccessi e alla tossicodipendenza in molte delle sue declinazioni. Divenuto autore cult della Beat Generation, della quale incarnava in pieno la volontà di sovvertire le rigide regole e i vincoli sociali degli anni ’50.

LA SFIDA DI DAVID

Come portare Il pasto nudo al cinema?

Pur non essendo stato il primo a farsi questa domanda il cineasta canadese è stato l’unico a prendere di petto la questione riuscendo a creare un’intreccio utile a rappresentare i deliri contenuti nel libro di culto. 

Le visioni, i personaggi e le ambientazioni presenti nel film sono infatti un mosaico ardito e geniale di verità legate al vissuto dello scrittore, mescolate a situazioni di fantasia presenti nel testo.

Va detto subito che Il pasto nudo non è un vero e proprio romanzo, quanto più un’insieme di scritti, a tratti folli, che traducevano in parole i demoni personali dell’autore. 

Da qui l’idea di Cronenberg di creare una sorta di spy story che potesse contenere Burroughs e il suo irrazionale mondo, all’interno di una cornice (l’esotica Tangeri) dove lo scrittore aveva realmente trovato rifugio, per poi perdersi nei suoi meandri.

TRA SPIONAGGIO IMMAGINARIO E VERI SENSI DI COLPA

Fotografato splendidamente, il film si fregia di effetti speciali convincenti con una serie di creature divenute iconiche a far da ponte tra la realtà confusa del protagonista (un Peter Weller finalmente senza maschera) e il pericoloso terreno della dipendenza. 

La colonna sonora curata da Howrd Shore si avvale del talentuoso jazzista Ornette Coleman, che fornisce al racconto un ossessivo tappeto sonoro, molto funzionale a far crescere nello spettatore un senso di instabilità.

Tra i fatti veri narrati, l’omicidio della moglie dello scrittore, realmente deceduta durante un tragico gioco al “Guglielmo Tell” fatto con una pistola. Tragedia gratuita che condannerà il Burroughs reale (e quello cinematografico) ad una vita di rimorsi.

Classificazione: 4 su 5.