Il 14 marzo 2016 veniva presentato al South by Southwest Film Festival Jack Goes Home, horror indipendente diretto dall’attore e regista Thomas Dekker. Nel cast, la regina dell’horror Lin Shaye e il giovane e talentuoso Rory Culkin.

Trama

Dopo la morte del padre in un tragico incidente d’auto, Jack Thurlow (Rory Culkin) torna nella casa della sua infanzia. L’ostilità della madre Theresa (Lin Shaye), devastata dalla perdita del coniuge ma fredda come il ghiaccio, mette sin da subito in crisi la sua permanenza. Gli eventi precipitano quando Jack trova in soffitta un oggetto destinato a cambiare per sempre il suo mondo: un registratore contenente un’audiocassetta. Il nastro è indirizzato a lui, e il mittente è il padre defunto. Da quel momento in avanti, segreti sepolti in un passato ormai dimenticato torneranno a galla, con conseguenze disastrose per la psiche del protagonista.

Niente è come sembra

Jack Goes Home è un film ambiguo e a tratti disturbante, una pellicola dalle tinte dark in cui delirio e angoscia si mescolano in un cocktail allucinatorio superbamente inquietante. Il film di Dekker fa suo il concetto freudiano di “Unheimlich”, reso in italiano con l’aggettivo “Perturbante”. Per lo psicoanalista austriaco, si parla di “unheimlich” in riferimento a qualcosa (un fatto o una persona) che venga percepita da chi guarda come familiare ed estranea allo stesso tempo. Questa confusione nel definire ciò che si vede (nel caso di Jack Goes Home, l’usuale sicurezza dello spazio domestico e familiare — letteralmente, che ospita la famiglia— cozza con la minaccia rappresentata dallo stesso) instillerebbe una paura tanto irrazionale quanto allarmante nell’osservatore. Ad accrescere questo senso di disagio, nel thriller di Dekker, è un elemento imprecisato e tuttavia stridente, un’impressione sotterranea, diffusa e incessante, che lo spettatore non può ignorare; il dubbio che, nei fatti narrati e, nello specifico, nella storia personale del protagonista, ci sia una falla, qualcosa di non detto, un mistero destinato a essere svelato solo nell’ultima scena. La suspense, palpabile e costante, è uno dei fattori vincenti di questo dramma in chiave horror in cui nulla è come appare. Persino i temi centrali di Jack Goes Home (tra gli altri, l’elaborazione del lutto e i meccanismi della memoria traumatica) sono elusivi, sfocati, volutamente inafferrabili.

L’attore Thomas Dekker (The Secret Circle, A Nightmare on Elm Street), al suo secondo film da regista dopo Whore (2008), è anche lo sceneggiatore di Jack Goes Home. Il regista ha raccontato di aver deciso di realizzare un film sulla perdita nell’anno successivo alla morte del padre:

“Ho avuto un’idea per un film che mi è sembrata interessante. Non credo fosse stata davvero esplorata in precedenza. Questo progetto non intendeva mostrare semplicemente un ragazzo che perde un genitore, ma lo stesso ragazzo che, perdendo il genitore, perde anche tutta la sua stabilità.”

Considerata l’importanza cruciale del legame padre-figlio in Jack Goes Home, e alla luce delle dichiarazioni di Dekker relative al lungo periodo di depressione seguito alla morte del padre, il film acquista un significato completamente diverso. Ma gli elementi autobiografici non finiscono qui: il regista ha apertamente dichiarato di essere stato vittima di abusi durante l’infanzia, un dettaglio che non può lasciare indifferenti e che, al contrario, costringe il pubblico, sempre scettico di fronte a pellicole sofisticate e tematicamente complesse, a guardare il suo film con occhi nuovi.

Cosa c’è in soffitta, Jack?

Il vero elemento inquietante (e fulcro) di Jack Goes Home è il trauma di Jack Thurlow, trauma velatamente suggerito già nella scena iniziale: il film si apre con un primo piano degli occhi di Culkin e, attraverso quest’inquadratura tutt’altro che casuale, Dekker ha affermato di aver voluto proiettare il pubblico nell’intimo del suo protagonista sin da subito. Per il regista, il primo e più importante dettaglio da tenere a mente mentre si guarda Jack Goes Home è che gli eventi narrati sono il frutto della percezione di Jack. Letteralmente, gli spettatori vedono attraverso i suoi occhi, che sono anche una finestra sulla sua anima tormentata.

Jack lavora come scrittore a Los Angeles, ha lasciato il nido ormai da tempo ed è sul punto di diventare genitore, quando la sua famiglia di origine viene distrutta da un tremendo incidente d’auto in cui il padre rimane orrendamente decapitato e a cui la madre sopravvive riportando solo ferite superficiali. Il protagonista, che in un primo momento viene percepito dallo spettatore come arrogante e caustico, reagisce con distacco alla notizia della morte del padre. Racconta alla compagna Cleo (Britt Robertson) dell’incidente minimizzando la tragedia e mostrando di accettare la Morte come una verità universale di fronte alla quale ogni manifestazione emotiva sarebbe inutile. Dice alla ragazza: “Doveva accadere, prima o poi”. Ed è tutto, l’argomento non viene più affrontato. Ma il suo distacco nasconde un significato più profondo: Jack è, in realtà, emotivamente bloccato. La morte del padre, al quale era legato molto più che alla madre Theresa, lo lascia sgomento e incapace di avere una reazione appropriata, rendendolo simile a un contenitore vuoto.

Una volta a casa, Jack si scontra con una realtà che si era ormai lasciato alle spalle, e sostenere la madre, intrattabile e inspiegabilmente aggressiva, diventa per lui quasi impossibile dopo aver trovato il messaggio del padre, messaggio che mette a dura prova la sua stabilità mentale rivelando segreti terribili: l’esistenza di un fratello, il gemello di Jack, morto prematuramente in circostanze inquietanti, e, soprattutto, gli abusi fisici subiti dal protagonista quando aveva solo 4 anni. E’ dopo aver ascoltato l’audiocassetta che i traumi sepolti nell’inconscio di Jack assumono contorni via via più nitidi. In precedenza, il suo trauma si era manifestato solo attraverso un episodio di sonnambulismo (disturbo del sonno di cui Jack soffriva da bambino) nei giorni immediatamente successivi alla morte del padre. Questo episodio solitario è già di per sé un preludio al successivo disvelamento del suo passato, che culminerà in una serie di sogni inquietanti. Impossibile non cogliere il riferimento all’opera di Freud L’interpretazione dei sogni e alla cosiddetta “Teoria del sogno”: per Freud, che considerava i sogni una via d’accesso all’inconscio, questi ultimi traducevano in immagini desideri e conflitti interiori irrisolti. Inoltre, in psicologia, è proprio attraverso i sogni che la mente umana tenta di superare i traumi. Tuttavia, oltre agli incubi, Jack ha anche delle allucinazioni violente: in questi sogni a occhi aperti, il ragazzo vede sé stesso nell’atto di procurarsi dei tagli profondi a gola e polsi. Le allucinazioni, insieme al cosiddetto “appiattimento affettivo” (o, più semplicemente, distacco emotivo), sono tra i più comuni sintomi della schizofrenia. Se Jack sia o meno schizofrenico non è chiaro, ma studi recenti confermano che le esperienze traumatiche in età precoce sono molto spesso causa dello sviluppo di psicosi nell’adulto. Considerati questi elementi, è naturale chiedersi quanto sia affidabile il punto di vista del protagonista. Ce lo si domanda soprattutto quando, con un plot twist assolutamente inaspettato, si scopre che qualcuno di molto vicino a Jack non è chi il ragazzo pensa che sia, ma solo una sua proiezione mentale.

Jack Goes Home esplora, a suo modo, un tema delicato e di grande interesse: l’ereditarietà delle malattie mentali. E’ stato dimostrato che il patrimonio genetico di un individuo ha spesso un ruolo cruciale nella trasmissibilità di patologie psichiatriche come la depressione, il disturbo bipolare e la schizofrenia. Nel film di Dekker, l’instabilità emotiva scorre nel sangue dei Thurlow, e a fare da anello di congiunzione tra passato e futuro, tra padre e figlio, è la morte di Andy, il fratello gemello del protagonista. Le circostanze della morte del bambino sono spaventose: il padre di Jack ha trascinato il neonato nella vasca da bagno, per poi, in seguito, annegarvelo. Il raptus è stato attivato da una situazione di forte stress (il signor Thurlow non riusciva a calmare il pianto del bambino) che ha provocato un grave esaurimento nervoso. A peggiorare il tutto, il fatto che, nel suo delicato stato mentale, l’uomo abbia realizzato troppo tardi di aver ucciso il bambino sbagliato: era il piccolo Jack a piangere, non il gemello Andy.

Jack Goes Home

Di norma, casa è uguale a famiglia, e la famiglia è un posto sicuro. Ma non in Jack Goes Home. Ed ecco che lo stesso titolo del film assume una connotazione metaforica: “Jack torna a casa”, ossia “Jack torna alle sue radici”, e la famiglia del protagonista, una famiglia perfetta solo in apparenza in cui i segreti scomodi vengono spazzati sotto il tappeto, è tutt’altro che un posto sicuro. Alla luce di questi elementi, la soffitta (come concetto e luogo fisico) gioca un ruolo di primaria importanza: rappresentazione di ciò che è nascosto, oscuro e, soprattutto, inconscio, è proprio nella soffitta di casa Thurlow che il passato traumatico di Jack è in agguato. Mentre è sonnambulo, il ragazzo mormora frasi sconnesse, ma solo una parola viene colta chiaramente dalla migliore amica Shanda (Daveigh Chase): quella parola è “soffitta”.

Shanda: “Cosa c’è in soffitta, Jack?”

Jack: “Ci sono io in soffitta.”

Dopo questo breve scambio (al quale Jack partecipa in maniera automatica e che, in seguito, dimenticherà), il protagonista inizia a urlare in preda al panico. Qualunque cosa ci sia in soffitta, inconsciamente ne è terrorizzato.

L’uomo nero

Dopo il suo ritorno a casa, Jack incontra il coetaneo Duncan (Louis Hunter), un ragazzo loquace e di bell’aspetto che dice di essere il suo vicino di casa. Sin da subito, Duncan sembra essere particolarmente interessato al protagonista, e determinato a conquistarne la fiducia. Tra i due si instaura un legame morboso e ambiguo che funge da elemento chiave per comprendere l’entità del trauma infantile di Jack.

Jack Goes Home

In Jack Goes Home, il sesso assume una connotazione negativa. E’ un atto violento e foriero di traumi, che causa turbamento e guasta l’innocenza del protagonista. Nel film, l’elemento sessuale non è mai esplicito, ma solo suggerito in maniera vaga, e lo stesso orientamento sessuale di Jack sfugge ad una classificazione precisa. Infatti, pur essendo fidanzato con una donna, il ragazzo è attratto, seppur in maniera inconscia, da Duncan. L’attrazione sembra essere reciproca, ma qualcosa non torna nel personaggio di Duncan. Nel complesso, il ragazzo sembra poco reale. In Jack Goes Home, i confini tra sogno e realtà, tra delirio e lucidità, sono così sottili che si fa presto a mettere in dubbio persino l’esistenza di quello che, in apparenza, sembra solo un innocuo, sebbene a volte un po’ inopportuno, vicino di casa. Alla luce dell’instabilità di Jack, non è da escludere che Duncan sia solo una creazione della sua mente, una figura fittizia e oscura che tenta di far emergere i ricordi repressi degli abusi subiti da bambino. Dopotutto, non sarebbe la prima volta che Jack immagina di interagire con qualcuno che esiste solo nella sua mente.

Jack Goes Home

Che Duncan sia una persona in carne e ossa o l’uomo nero che ha strappato Jack alla sua innocenza, a rendere più pericoloso che mai questo legame è il fatto che, seppur inconsapevolmente, il protagonista stia percorrendo una via a lui già nota, sebbene ormai dimenticata. Dopo l’incontro con il vicino, infatti, le dinamiche insidiose della sua infanzia traumatica si ripropongono nel suo presente. Quando Jack trova i documenti relativi agli abusi in una valigetta conservata in soffitta, si scopre che a molestarlo sessualmente da bambino sono stati il vicino di casa adolescente e il padre di quest’ultimo. Dai documenti, si evince che il bambino è stato stordito con alcool, farmaci e droga, ed è interessante notare come il Jack adulto sia manipolato allo stesso modo da Duncan, che lo seduce offrendogli delle droghe leggere. Inoltre, nel tentativo di provargli la sua affidabilità, il ragazzo confida al protagonista di aver avuto un’adolescenza difficile, parla con lui del rapporto conflittuale col padre e dei segreti di famiglia tenutigli nascosti da entrambi i genitori. E’ curioso come quest’ultimo dettaglio della sua storia rievochi in maniera inquietante il ritrovamento dei documenti e dell’audiocassetta indirizzati a Jack, le cui rivelazioni stravolgeranno per sempre il mondo in cui il protagonista è cresciuto.

Jack: “L’unica cosa che potrebbe farti aprire gli occhi sarebbe la fine di tutto ciò di cui ti fidavi e in cui credevi. Tutto il tuo mondo.”

Jack Goes Home

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