Regno di Gran Bretagna, XVIII secolo. Un frammento di pagina della storia inglese è prestito tematico per una pellicola affidata alla mente di un regista lontano dalla tradizione cinematografica sulla monarchia britannica perché distante da una filmografia quasi esclusivamente figlia di una – storica e storiografica – visione interna e nazionalista: La favorita possiede una direzione registica non inglese tout court, per provenienza e formazione e ideologia; Yorgos Lanthimos osserva da raffinato ellenico la Corona e la dorata chiave delle stanze di corte e interpreta da malinconico greco la tarda vendetta di un popolo espropriato di bellezza.

Prima di Y. Lanthimos la monarchia britannica mai era stata ritratta in modo così profondamente decadente senza il romantico sotterfugio dell’ammirazione per crepe e per macerie umane e istituzionali: soltanto un erede della Grecia poteva raccogliere gli occhi di Lord Byron che contro Elgin chiese futura soddisfazione dopo il furto delle metope del Partenone trafugate ad Atene per essere ammirate a Londra: nella pellicola la regina Anna Stuart chiede falsamente notizia delle proprie stoffe in arrivo da Firenze; esattamente un secolo dopo il Parlamento britannico pretenderà i marmi della Grecia.

la favorita

La favorita è il primo film della nuova fase di distribuzione maggiormente mainstream di Y. Lanthimos in cui il regista non collabora alla sceneggiatura della propria opera: questa scelta realizzativa rende paradossalmente La favorita il suo film più intimo perché il regista – libero da sostrati mitici di riferimento – lascia la propria emotività prendere letteralmente il sopravvento sulla cinica e fredda razionalità attoriale e scenica presente nella propria filmografia anche nei momenti di maggiore tensione e pathos.

Questa intima fuga di responsabilità narrativa da parte di Lanthimos lascia il film a un bivio, un crocevia splendido nell’aspetto satirico e visivo; ma costantemente in disarmonia e disequilibrio per la scelta di una narrazione topica da parte di Deborah Davis e Tony McNamara: i due sceneggiatori espongono narratologici meccanismi ancestrali vissuti con disagio da un regista da sempre abituato alla possibilità mitopoietica e interpretativa dell’intreccio (la shakespeariana maledizione di una lettera mai destinata a giungere agli occhi di chi si ama, il dialogo di Abigail Hill che – copione alla mano di Jane Eyre di Franco Zeffirelli – rivela il manifesto di una donna il cui basso stato sociale non sia sinonimo della statura del proprio animo, il falò da camino di lettere d’amore finché il fuoco distrugga parole mai più destinate alla lettura, Sarah Churchill e il suo metalinguistico accenno della tecnica di un fucile di Cechov caricato a salve).

la favorita

Sarah Churchill – interpretata da Rachel Weisz – rappresenta l’unico perno stilistico su cui Y. Lanthimos continua a esercitare la tecnica dell’ellissi narrativa tanto cara alla sua filmografia: lei è la tragicomica volta del nuovo mito surreale e atemporale del regista. Sarah Churchill con furia scaraventa a terra scaffali di libri in cerca di un volume preso da Abigail Hill durante un silenzioso ed erotico prestito notturno e avidamente letto; «l’autodifesa è la più antica legge della natura»: queste parole appartengono a John Dryden, autore pronunciato da Sarah Churchill durante la sua furiosa ricerca libraria. J. Dryden fu un letterato legato alla letteratura greca in quanto autore, critico e traduttore (cfr. Oedipus); in lui si realizzò anche una forte vena satirica nei confronti della monarchia britannica (cfr. Absalom and Achitopel) e un’attenzione alla politica subdola e machiavellica del potere: una produzione fondamentale per la storica e reale Sarah Churchill che attaccò Anna Stuart tramite versi satirici e per Thomas Stearns Eliot che si ispirò a J. Dryden per la costruzione narrativa del personaggio del Re Pescatore che, come la regina Stuarda, soffre di continui dolori alle gambe e di difficoltà deambulatorie – un male anatomico simbolo della sterilità di un regno accecato dall’arroganza del potere. L’attenzione ellittica di Y.

Lanthimos è – a mia modesta opinione – rivolta in particolare a un’opera minore di J. Dryden: il poeta collaborò alla realizzazione del prologo di un’opera teatrale scritta del cognato Robert Howard, intitolata The Great Favourite. L’opera racconta i tentativi di un cinico e manipolatorio duca per giungere ai favori di Filippo III e mostra la crudeltà dell’uomo che sebbene venga smascherato non subisce nessuna punizione regia.

la favorita

La favorita possiede una somiglianza nella titolazione, nella trama e nel finale con The Great Favourite: il regista Y. Lanthimos a noi più conosciuto vive di ellissi narrative che in questa pellicola sono ridotte e limitate; o lasciate al dubbio come nella tematica della perdita della vista oculare strutturata nella tragedia edipica e greca in generale.

Lo spazio e il tempo restano invariati quanto a esteta eccellenza registica di Y. Lanthimos: ogni ambiente interno – dai lunghissimi corridoi di corte ai ristretti passaggi segreti – è dilatato dall’accecante luce diurna, dall’utilizzo di fisheye e rallenty che sottolineano la misera antropologia di corte del divertimento, da veloci spostamenti di camera in ambienti altrimenti limitati dall’architettura degli edifici, da bracieri e candele come nei notturni di Barry Lyndon di Stanley Kubrick; anche il font grafico – utilizzato nel titolo del film e nella titolazione degli atti in cui è divisa la pellicola – subisce un layout di espansione spaziale come si verifica nelle illusioni ottiche utilizzate nei colonnati di templi greci e come nel semplice e umile autografo di Anna Stuart.

L’ambiente interno risulta assente di perimetrali mura mentre gli esterni risultano diametralmente chiusi – un bosco di foglie, una casa rilegata alla prostituzione, i giardini di corte adibiti a passeggiate ed esercitazioni musicali: spazi aperti ridotti in un altrove isolato. Il dettaglio regna sovrano in una nomenclatura gastronomica, e brie e rafano e la curativa Physalis e cioccolata calda; e Barry Lyndon ancora torna nella maniacale cura di armi caricate e mira e polveri da sparo e metaforici duelli.

la favorita

L’elleno esteta e il greco malinconico tentano insieme la chiusa della pellicola; eppure in assenza di equilibrio e armonia il finale di catarsi risulta fragile perché rappresenta un dramma particolare di Y. Lanthimos e non una soluzione universale di dolore; e nell’esuberanza esistenziale dei conigli è forse Quintilio da La collina dei conigli a profetizzare ancora una volta un regno affetto da un potere apparentemente saldo ma interiormente sterile.