Usciva nella metà degli anni ’70 un piccolo film onirico e spiazzante, una pellicola dimenticata dai più che che però possiede pregi e i difetti dei cult da riscoprire. Le orme di Luigi Bazzoni è un viaggio alla ricerca di se stessi tra i dedali di una memoria beffarda, tra fantascienza dramma e follia.

LA TRAMA

Alice è una giovane traduttrice di lingua francese in servizio a Roma. Un giorno recandosi al lavoro si accorge di aver perso due giorni della propria vita, due intere giornate delle quali non ha memoria. Tornata a casa trova gli indizi di una sua possibile permanenza in una località di vacanze in Turchia e si convince a fare un viaggio alla ricerca della verità. A tormentarla ulteriormente un sogno ricorrente nel quale vede un astronauta abbandonato sulla Luna da una strana organizzazione che sta facendo misteriosi esperimenti…

LA VERITA’ NEL NON DETTO

Luigi Bazzoni aveva già avuto il merito di occuparsi dei misteri di Alleghe in tempi non sospetti, ispirandosi alla celebre vicenda nel suo La donna del lago nel lontano 1965. Dieci anni dopo torna al cinema con un film che rispecchia in pieno la nuova ondata di pellicole oniriche e cerebrali di un decennio che ha creato le fondamenta del thriller psicologico, proponendoci un viaggio nella confusa memoria di una donna (la brava Florinda Bolkan) emancipata e moderna, che si muove in una società lanciata nel futuro (non a caso gli scorci italiani sono ripresi all’ EUR) ma ancora fortemente ancorata al suo passato, fatto di antiche residenze, paesaggi esotici e placide, isolate spiagge.

Nello stridore di elementi tanto distanti si dibatte la protagonista, alla ricerca di un passato recente che le sfugge dalle mani. Armata della volontà di far luce nelle proprie lacune, Alice percorre strade per lei nuove, visita luoghi misteriosi dove le persone sembrano però ricordarsi di lei. In un crescendo angosciate la seguiamo nel suo scavare un passato di ricordi assopiti, quasi fossero cose d’altri.

Gli incontri della donna nella località turca, dove tutti giurano di avere visto lei, o qualcuno di molto simile, sono enigmatici e la confondono. Una bambina dalla personalità ambigua e un giovane uomo che fa riaffiorare in Alice ricordi di un amore perduto. Quasi un abbandono.

Su tutto poi, l’ombra di un’organizzazione criminale (forse solo sognata) che la giovane crede possa essere dietro ai propri problemi, il cui capo è nientemeno che Klaus Kinski, in poco più che un cameo.

LUCI ED OMBRE DI UN CULT IMPERFETTO

Le orme rimane nella storie del cinema tra quei film che lasciano più dubbi che certezze, più domande che risposte, ma che contengono in loro la forza di una narrazione intrigante che li rende autonomi, finiti e definiti, pur nella mancanza di una struttura del tutto logica e di una spiegazione del tutto plausibile.

Come spesso accade, quando si parla dei meandri della mente, la spiegazione ce la possiamo dare noi, più di una invero ci viene suggerita. Sta a noi capire quale sia la più corretta. Quella alla quale credere.

Nel viaggio di un’ Alice mai così lontana dalle meraviglie, saremo sorretti dalla bellissima fotografia di un grande Vittorio Storaro e dalle musiche di un Nicola Piovani ispiratissimo, a tratti solenne.

Un viaggio fatto di dubbi e speranze alla ricerca di un tempo perduto che può regalare una salvezza momentanea o far sprofondare in un infinito baratro.

Resta il fatto che Le orme è un film da vedere e rivedere, un viaggio in un cinema che anche se crediamo perduto è sempre lì, che ci aspetta, nelle pieghe di una memoria che gioca brutti scherzi.

Classificazione: 3 su 5.