Anche voi siete rimasti stregati da Midsommar, folk horror del 2019 diretto da Ari Aster?

Che ne direste di soddisfare qualche piccola curiosità circa la tradizione svedese che ha ispirato la cerimonia descritta nel film?

Eccovi serviti.

La tradizione svedese che ha ispirato il film di Ari Aster

La Festa di Mezza Estate, che ha evidenti origini pagane, è un insieme di riti e festeggiamenti con i quali gli svedesi sono soliti salutare l’arrivo dell’estate. Questa tradizione affonda le sue radici nel lontano 1500, quando, nelle campagne, i fattori cominciarono ad adornare le loro case con il fogliame degli alberi per festeggiare l’inizio della stagione fertile. Durante il Midsommar, che ricorre ogni anno nella terza settimana di giugno, si celebra la rinnovata comunione con la natura in aperta campagna, indossando costumi a tema e corone di fiori tra i capelli, danzando fino all’alba e mangiando in compagnia i piatti della tradizione.

I simboli

L’Albero di Maggio (Midsommarstång) è un palo decorato con fiori, rami e nastri issato nel giorno di Midsommar. Ritenuto sacro dagli svedesi, che sono soliti ballare e cantare intorno al Midsommarstång tenendosi per mano, l’Albero di Maggio è un simbolo di fertilità eretto per ingraziarsi il favore della madre terra in vista del prossimo raccolto autunnale. Contrariamente a ciò che si potrebbe credere, il maypole è un elemento cristiano: in occasione della festa di San Giovanni il Battista – che, ancora oggi, viene fatta coincidere in molti paesi nordici con il giorno del solstizio d’estate – gli abitanti dei villaggi della Svezia preindustriale erano soliti radunarsi e danzare intorno all’Albero di Maggio. É interessante notare come in Francia, nel 1400, la stessa Giovanna d’Arco dichiarò, durante il suo processo per stregoneria, di aver danzato intorno all’arbor Dominarum (“l’Albero delle Donne”) in occasione della festa di Calendimaggio, la ricorrenza che celebra l’arrivo della primavera ancora oggi osservata anche in territorio italiano: durante i festeggiamenti, raccontò Giovanna, era usanza appendere delle ghirlande di fiori ai rami dell’albero.

Midsommar è la festa dei fiori, sapientemente intrecciati nelle blomsterkrans (“corone di fiori”). Per la festa di Mezza Estate, ogni ragazza indossa la sua corona, simbolo di rinascita, vita e fecondità.

I festeggiamenti di Mezza Estate si protraggono spesso fino a notte fonda, alla luce dei falò, e, nel nord della Svezia, i festaioli possono facilmente assistere allo spettacolo del cosiddetto “sole di mezzanotte” (midnattssol): nelle regioni polari, il sole non tramonta mai oltre la linea dell’orizzonte e splende ininterrottamente; per questo, “sole di mezzanotte”. Questo fenomeno atmosferico di surreale bellezza è, per gli svedesi, un altro dono della natura per il quale rendere grazie in un giorno di luce come Midsommar.

Midsommar

Midsommar – Il villaggio dei dannati: cosa c’è di vero?

Il film di Ari Aster porta sul grande schermo una Festa di Mezza Estate molto diversa da quella sopra descritta: se la festività svedese è una tavolozza di colori sgargianti, vissuta all’insegna del divertimento e dell’allegria, il Midsommar di Hårga è una celebrazione onirica, cruenta e inquietante. L’ambiguità degli abitanti di Hårga e i loro riti pagani a base di sesso e sacrificio umano gettano un’ombra sulla tradizione svedese, e lo spettatore arriva facilmente a chiedersi quanto ci sia di vero nella rappresentazione del Midsommar di Ari Aster.

Il suicidio rituale dell’Ättestupa

Nel film di Aster, quando i membri anziani della comunità arrivano alla stagione finale della loro vita, le tradizioni di Hårga li spingono a commettere pubblicamente il suicidio lanciandosi da una rupe. Nel folklore scandinavo, esiste una pratica – l’Ättestupa –, risalente alla preistoria nordica, che ricorda il geronticidio di Midsommar: l’Ättestupa esigeva che gli anziani del villaggio, troppo deboli per andare avanti, fossero costretti al suicidio e incoraggiati a gettarsi giù da un dirupo alla presenza di un pubblico. Con “Ättestupa” si intende proprio il gruppo di precipizi – collocati tra Svezia, Islanda e Norvegia – scelti dai norreni per praticare questa brutale eutanasia. Ovviamente, il geronticidio NON è praticato nelle celebrazioni di Mezza Estate odierne; né, apparentemente, lo era in quelle del passato.

L’Aquila di Sangue

Simon, uno degli stranieri in visita, è sacrificato dagli abitanti di Hårga in modo singolare: la sua schiena è squarciata; i suoi polmoni, estratti dalla cavità toracica e mantenuti in tensione da corde appese al soffitto, disposti a formare un paio d’ali; i suoi occhi, infine, sono stati cavati, e sostituiti da fiori gialli. Quando Christian, il fidanzato di Dani, si imbatte in questa macabra scoperta, il ragazzo scopre con sgomento che l’altro visitatore è ancora vivo: i seguaci del culto neopagano lo hanno paralizzato, e Simon, agonizzante, sta morendo lentamente. La pratica rituale messa in atto dagli abitanti di Hårga non è altro che un metodo di tortura vichingo noto come “Aquila di Sangue”. Ripetutamente menzionata nella poesia scaldica e nelle saghe vichinghe, questa forma brutale di tortura, la cui esistenza non è mai stata provata, è entrata a far parte del mito: stando ai racconti delle saghe norrene, che hanno reso leggendaria la ferocia dei Vichinghi, questi ultimi, dopo aver conquistato un nuovo territorio, erano soliti torturare e sacrificare i loro nemici in nome di Odino, dio della guerra, e, spesso, ricorrevano proprio all’Aquila di Sangue per infliggere loro dolore. Pare che, per acuire le sofferenze delle vittime, i Vichinghi gettassero del sale sulla ferita aperta.

Si aprano le danze

Nella seconda metà del film, le donne di Hårga trascinano Dani in una strana danza dal ritmo tanto incalzante quanto angosciante: dopo aver assunto delle sostanze psichedeliche non meglio identificate, le ragazze ballano intorno al maypole sulle note di un violino, tenendosi per mano in un girotondo senza fine in cui tutte, confuse dalle droghe ed esauste, sono destinate a cadere. Tutte, tranne una: la Regina di Maggio. Sembra che Ari Aster abbia tratto ispirazione per questa scena chiave da una leggenda svedese: nell’Hälsingland, esisterebbe una montagna, l’Hårgaberget, dove pare che il Diavolo in persona, nelle sembianze di un violinista, attirasse in tempi lontani le sue sfortunate vittime, a danzare in cerchio fino al sopraggiungimento della morte. Questa leggenda locale, sopravvissuta nella memoria collettiva nella canzone popolare Hårgalåten (“La canzone di Hårga”), è spesso raccontata ai bambini per instillare in loro il senso della responsabilità – “mai fidarsi degli sconosciuti e, soprattutto, non danzare” – e non sembra avere alcun legame diretto con le tradizioni di Mezza Estate.

La cerimonia di purificazione

Midsommar si conclude con un sacrificio umano di massa: ben 9 persone (4 figli di Hårga, 4 visitatori e un uomo o una donna scelti dalla Regina di Maggio) vengono bruciate vive. Il sacrificio ha luogo nel tempio di Hårga, una struttura in legno di forma piramidale dipinta di giallo, un colore brillante e festoso che cozza con l’usanza oscura degli Hårgans: ogni 90 anni, la comunità deve offrire in sacrificio 9 anime in una cerimonia di purificazione in cui il fuoco, simbolo di luce e rinnovamento, lava via tutti i peccati e le energie negative. Il rito celebrato nel finale di Midsommar affonda le sue radici in pratiche rituali delle popolazioni barbariche: nel De bello Gallico, Giulio Cesare descrive un “Uomo di Vimini“, una mastodontica scultura in legno con fattezze umane all’interno della quale i Druidi usavano collocare uomini innocenti e bestie da dare alle fiamme per rendere omaggio ai loro dei. Chiaramente, nessun sacrificio umano viene perpetrato in occasione del Midsommar svedese, ma l’importanza attribuita al fuoco nel rituale di Hårga è un elemento cardine nei festeggiamenti di Mezza Estate, e si rifà ad antiche usanze pagane e germaniche: la notte del solstizio d’estate, i Germani erano soliti onorare la divinità solare Saule accendendo grandi falò.

Midsommar non è un film per tutti: o si apprezza la spiccata simbologia del film di Ari Aster sin dalla prima visione, o non lo si fa mai. Quello di Dani Ardor è un viaggio di dolore e bellezza che sconvolge e affascina lo spettatore in egual misura, un viaggio alla scoperta di sé e delle (non così) oscure tradizioni della Svezia, patria del Midsommar.

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