Sinossi

Un violinista dell’opera, Erique Claudin, è costretto a lasciare il suo lavoro lavoro a causa di alcuni problemi alla mano sinistra. In seguito, derubato di una sua composizione, cede alla rabbia e alla frustrazione e commette un omicidio. Rimasto sfigurato in volto, l’uomo inizia a vivere nei sotterranei del teatro, generando la leggenda de “Il fantasma dell’opera” e cercando di favorire in ogni modo possibile l’ascesa della soprano Christine DuBois, per il quale nutre una misteriosa attrazione.

Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo (omonimo) di Gaston Leroux pubblicato nel 1909 ed è il remake di una prima trasposizione risalente al 1925.

Il progetto della Universal

Siamo in tempo di guerra, le canzoni di Andrew Lloyd Webber che renderanno l’opera uno dei cavalli di battaglia di Broadway saranno composte ben 43 anni dopo, ma la Universal decide ugualmente di investire una notevole somma di denaro nella realizzazione di questa pellicola, nel tentativo di sfidare altre major cinematografiche (la Metro Godwyn Mayers su tutte). E così la trama resta invariata ma le nuove invenzioni tecnologiche, soprattutto quella del technicolor, portano il film ad un livello superiore, permettendogli anche di vincere ben 2 Oscar (Miglior fotografia e Miglior scenografia).

La produzione del film è, però, assai travagliata: il regista Arthur Lubin subentra solo successivamente e lo stesso Claude Rains (Claudin) non accetta subito il ruolo perché non convinto del tutto della sceneggiatura. L’opera viene girata negli USA, in California, e, date le spese necessarie per il techicolor, vengono riutilizzate molte delle scenografie del film del 1925.

Personaggi piatti e una scelta particolare

Tuttavia l’opera, tecnicamente molto raffinata, non è sicuramente impeccabile, anzi. I personaggi sono appena tratteggiati, schizzati in modo veloce e approssimativo: l’unico personaggio tridimensionale è proprio Claudin, “Il fantasma dell’opera”, di cui ci viene mostrata la “caduta nel baratro”; l’uomo infatti privato del proprio lavoro, delle proprie certezze e delle proprie composizioni, diverrà uno spietato omicida, pronto a tutto pur di regalare fama e gloria alla sua protetta, Christine DuBois. Il film è drammatico: la storia di un uomo che, privato di tutto ciò che ha, decide di donare la sua vita al successo di una donna, per cui nutre una sorta di attrazione/ossessione.

Per questo motivo una sottotrama secondo la quale Claudin e Christine erano padre e figlia fu completamente tagliata: la relazione “romantica” (ma malata) che in un certo modo si instaurava tra i due, avrebbe altrimenti assunto le sembianze di un rapporto incestuoso.

Un’opera impeccabile dal punto di vista tecnico

Il film quindi è tecnicamente impeccabile e lo spettatore non potrà fare altro che rimanere sorpreso di fronte alla grande qualità delle immagini che ci vengono mostrate: le immagini e i colori nitidi che rendono difficile associare ciò che vediamo sullo schermo all’anno 1943. La fotografia e la scenografia sono davvero ottime (come testimoniano le due statuette vinte): curatissima la ricostruzione dei sotterranei del teatro, cupi ma affascinanti.

L’interpretazione di Claude Rains (Claudin) risulta, invece, meno (con)vincente rispetto a quella del suo predecessore (Lon Chaney) che era senza dubbio più tenebroso e inquietante. La sceneggiatura, infine, si accontenta di “copiare e incollare” in modo piuttosto banale il film precedente senza riuscire a regalare niente di più, privando addirittura alcuni personaggi del loro spessore e rendendoli semplici macchiette.

“Il Fantasma dell’Opera” del 1943, diretto da Arthur Lubin è ,quindi, un film che funziona a metà: sorprende per le tecniche utilizzate e per una buona regia, ma allo stesso tempo delude perché svuota i personaggi e priva di dettagli interessanti quella storia che ormai tutti noi conosciamo.