Non siamo più vivi è un k-drama – con gli zombie – di 12 episodi rilasciato su Netflix il 28 gennaio 2022. Basata su un webtoon intitolato Now at Our School, la serie segue le vicende di un gruppo di studenti e studentesse del liceo di Hyosan che si ritrova intrappolato nella propria scuola dopo lo scoppio di un’epidemia zombie e che tenta di sopravvivere nell’attesa che qualcuno arrivi in soccorso.

Premesse

Protagonista principale di questa serie corale è sicuramente On-jo, ragazzina non molto brava a scuola che vive con il padre, il quale la rassicura – non senza una nota di dispiacere – sul fatto che i voti non sono poi così importanti. Il suo migliore amico è Cheong-san, figlio di una ristoratrice convinto che la madre ami più il proprio locale che il figlio. La dinamica iniziale è semplicissima e vecchissima: a lui piace lei ma a lei piace l’altro, il compagno di classe atletico Su-hyeok. E all’”altro” piace invece Nam-ra, la capoclasse sveglia e riservata. Insomma, ci sono gli ingredienti perfetti per un drama amoroso che porta lo spettatore a sostenere la propria ship fino alla fine. Peccato che a metterci lo zampino c’è un virus che inizia a trasformare mezza scuola in zombie affamati di carne umana.

Lo zombie di Non siamo più vivi è proprio quello da infezione: velocissimo e letale, alla 28 giorni dopo. La serie è ambientata in un universo in cui i personaggi sanno cosa sia uno zombie (con tanto di riferimento a Train to Busan) e in cui il Covid-19 esiste. E c’è anche una diversa tipologia di zombie che la serie ci propone, insieme alla critica della società e delle istituzioni che è quasi un must dei prodotti sudcoreani. Il riferimento al Covid-19 viene inserito attraverso un servizio del telegiornale in cui si parla del nuovo virus zombie come di una nuova pandemia. Si aggiungono poi video di persone che fingono di essere infette per seminare il caos e influencer che si recano nella città da cui è partito il virus per trasmettere in diretta allo scopo di racimolare followers. Il tutto mentre il governo cerca di capire come salvare la popolazione civile e quali parametri adottare per la quarantena. Da questo punto di vista, la situazione è verosimile al massimo livello: l’abbiamo vissuto già. Solo che lo spettatore si sente al sicuro perché l’epidemia zombie non può esistere…  

Per andare più nello specifico, da questo momento in poi ci saranno SPOILER!

Il vero elemento interessante da cui partono tantissime riflessioni è proprio il motivo che scatena l’epidemia e il tipo di zombie che la serie inventa. A creare il virus è stato il professor Lee, biologo e insegnante del liceo di Hyosan, con l’intento di rafforzare fisicamente il figlio; il virus, infatti, ha la capacità di trasformare la paura in aggressività. Il fine ultimo del professor Lee era rendere il figlio capace di affrontare i bulli che lo tormentavano. Ecco apparire il primo macro tema, il bullismo, piaga globale ma particolarmente sentita in Corea del Sud. Il paese è infatti caratterizzato da una fortissima competitività soprattutto tra i più giovani, dato che solo chi ha i voti più alti a scuola (oltre alla disponibilità economica) riuscirà ad andare avanti con l’università e a trovare un lavoro che possa inorgoglire i genitori. Gli atti di bullismo sembrerebbero la norma, qualcosa che chiunque prima o poi sperimenta nella vita, così normali che il preside del liceo non prende provvedimenti neppure dopo che la vittima ha tentato il suicidio. Vittima che si trasforma nel paziente 0, finalmente adatto alla sopravvivenza in una società malata, in cui violenza e suicidio sono ordinari.

Altro studente vittima di bullismo è Gyeong-su; la compagna Na-yeon (interpretata da Lee Yoo-mi, apprezzatissima già in Squid Game) lo odia perché di ceto inferiore e perché riceve sussidi dal governo. Anche in questa situazione da fine del mondo, Na-yeon non smette di mostrare il suo disprezzo, affermando che il ragazzo non merita di stare lì con loro in quanto è solo un parassita. Infine, c’è Eun-ji, altra ragazza presa di mira dallo stesso gruppo che tormentava il figlio del professore, capitanato da Gwi-nam. Proprio quest’ultimo la minaccia di divulgare le foto che le aveva scattato dopo averla costretta a spogliarsi. E anche lei, nonostante ci sia la fine del mondo, in preda alla rabbia e dopo aver pensato anche lei al suicidio, mette a rischio la propria vita per distruggere tutti i cellulari che riesce a trovare nel timore di essere giudicata. Insomma, il quadro è chiarissimo: nonostante la maggior parte delle persone non siano più tali, la società resiste e non crolla. I militari, infatti, non hanno mai perso il controllo della situazione e tutto sembra presagire che, una volta arginato il virus, si andrà avanti come prima. Questa “pandemia” sarà stata solo una breve parentesi di caos nell’ordine vigente. Significative sono anche le parole di Mi-jin, studentessa dell’ultimo anno e personaggio cui è affidata la maggior parte degli intermezzi (tragi)comici, sul fatto che il vero inferno sia in realtà la fine del liceo. Cosa si farà dopo, se non si entra all’università? E non è possibile, protesterà lei, ammettere all’università i liceali sopravvissuti a questa guerra senza costringerli a sostenere il terribile test d’ingresso? La risposta parrebbe essere negativa dato che, come detto prima, nulla cambia dall’inizio alla fine.

Cucciolina in Squid Game, mostro in Non siamo più vivi. Chiaro?

Lo zombie asintomatico     

La serie ci presenta ben presto lo zombie asintomatico, una persona che viene morsa ma si trasforma solo per metà, apparendo sana all’esterno ma guadagnando una forza sovrumana e, ovviamente, la voglia di mordere la gente. In questa categoria vanno a finire il bullo Gwi-nam, Eun-ji e la stessa capoclasse Nam-ra. In un flashback, il professore spiega ai suoi alunni (andando contro quanto scritto nel libro di testo) che la sopravvivenza di qualsiasi organismo, sia questo vivente che no, dipende solo dalla sua volontà di vivere. Gwi-nam, infatti, viene morso mentre sta giurando vendetta contro Cheong-san e Eun-ji mentre sta distruggendo i cellulari dei suoi molestatori: entrambi, al momento del contagio, dimostrano una fortissima volontà di portare a termine quanto si erano prefissati. Però, siccome gli asintomatici sono comunque contagiosi e in più difficili da individuare, il governo decide di smettere di salvare civili e abbandonarli a loro stessi. Qui arriviamo ad un altro nodo importante che può essere compreso solo se si tiene presente che la società sudcoreana, oltre che ad essere classista, è basata su una forte fiducia nelle istituzioni e, in generale, negli adulti. Basti pensare agli onorifici che vengono utilizzati in coreano per rivolgersi a chi è più grande, a chi ha più esperienza o a chi è più in alto nella gerarchia sociale. On-jo e il resto del gruppo sono fermamente convinti che gli adulti (i loro genitori, la polizia, i militari) andranno a salvarli.

Gli adulti in Non siamo più vivi però sono perlopiù inermi, quando dotati di buona volontà: la professoressa Park, la madre di Cheong-san e il padre di On-jo, alla fine, non riusciranno a fare molto per salvare la prole. E la cieca fiducia (“la fiducia è contagiosa” dice On-jo) che i liceali nutrivano nei confronti delle istituzioni cederà ben presto il passo alla consapevolezza che, in realtà, al governo non interessa salvare loro la vita.

I personaggi

Una serie teen (perché, ricordiamolo, Non siamo più vivi è prima di tutto un drama adolescenziale) non potrebbe funzionare senza un buon cast di giovani attori e il quartetto di protagonisti principali è sicuramente il cuore di questo drama. Oltre alle scene romantiche tra le coppie, a far battere il cuore c’è anche la bromance tra Cheong-san e Su-hyeok, pronti a spalleggiarsi sempre. Peccato che spesso sfoci in un gioco a chi dei due sia più macho; ma comunque è da apprezzare il fatto che gli sceneggiatori abbiano evitato di creare rivalità e gelosie e abbiano invece optato per i buoni sentimenti. Anche Nam-ra e On-jo sono infatti protagoniste di un sincero rapporto di amicizia che intessono proprio durante l’apocalisse.
Non possiamo non parlare anche degli antagonisti. Gwi-nam è odioso dall’inizio alla fine e l’attore Yoo In-soo ha il carisma perfetto per un ruolo così. Il suo è il tipico personaggio cattivo perché manchevole: è un bullo ma non è il bullo supremo, il che lo rende ancora più frustrato e desideroso di rivalsa. Se vogliamo, anche Eun-ji passa dalla parte degli antagonisti nel momento in cui non si fa scrupoli a mangiare la gente. Continuamente vessata e spinta al limite della sopportazione, già prima della trasformazione si mostra “corrotta” e il suo forte istinto di sopravvivenza si manifesta quando rifiuta le avances dell’amico, anche lui al gradino più basso della catena alimentare, per non rimanere intrappolata nel ruolo di sfigata. Tutto ciò che fa – incluso mangiare la gente – è dettato dal bisogno di farsi strada nel mondo. E un’altra grande cattiva è Na-yeon, la quale merita la fine che fa; il suo breve arco di redenzione non me l’ha fatta piacere di più, scusatemi.

Altri due personaggi meritevoli di menzione sono l’arciera Ha-ri e la già citata Mi-jin, entrambe studentesse dell’ultimo anno. Anche la loro è una womance che si crea durante l’apocalisse, sebbene alcuni commenti e comportamenti di Mi-jin facciano pensare alla possibilità di un interesse di tipo amoroso. Ha-ri è austera e seria mentre Mi-jin è un vero uragano e tiene al fatto che i più piccoli utilizzino un linguaggio adeguato con lei e le portino rispetto. Nonostante appaia come una sprovveduta, in realtà è in grado di prendere in mano la situazione e agire per il meglio. Probabilmente il personaggio migliore della serie, che pronuncia parole taglienti e suscita sempre risate amare.

Ha-ri e Mi-jin

Ingenuità e punti di forza

Andiamo a tirare le somme. Non siamo più vivi non è sicuramente una serie perfetta. Lascerei stare l’accuratezza scientifica delle affermazioni del professor Lee, siccome siamo comunque in una serie di fantasia. E voglio chiudere un occhio anche sul fatto che un ragazzino adolescente da solo sia in grado di respingere a mani nude un’orda di zombie corridori. Ma non riesco a spiegarmi il trattamento riservato al personaggio di Nam-ra; è vero che ha un carattere riservato ed è vero che abbiamo visto fin dall’inizio che non dice nulla quando le sue parole potrebbero salvare vite. Quindi posso capire che non si offra volontaria subito per salvare gli amici, quando diventa una mezza zombie. Però la serie ci mostra che Nam-ra cambia e diventa più aperta e disponibile al gioco di squadra. Quindi perché non tenta mai di affrontare e uccidere gli zombie da sola, dato che è ormai già contagiata e super-forte, per aprire la strada al resto del gruppo? Perché lascia che i suoi amici muoiano invano? E perché non zittisce una volta e per tutte Su-hyeok che la tratta sempre come un fiorellino fragile? Forse questa è l’unica vera nota dolente dell’intera serie. Un personaggio femminile con un grande potenziale che viene lasciato a fare la parte della donzella in pericolo e le cui azioni (anzi, non-azioni) paiono insensate.  

Sui lati positivi penso di aver già scritto abbastanza. I temi possono sembrare tanti ma, se ci si riflette su, in realtà si intrecciano tra di loro e offrono un quadro chiaro della società della Corea del Sud. Io ci ho visto anche un sottile riferimento al naufragio della Sewol avvenuto nel 2014 nelle acque sudcoreane, che si va ad inserire in quella critica del sistema fondato sulla fiducia nelle istituzioni di cui ho già parlato. Nel disastro morirono 304 persone, la maggior parte studenti, rimasti in cabina dietro ordine del comandante, il quale invece scappò alla prima occasione. Una delle vittime adolescenti registrò un video per informare i genitori della situazione, dinamica che mi è subito venuta in mente guardando la scena in cui On-jo e gli altri si riprendono con una videocamera per lasciare messaggi ai familiari. La tragedia della Sewol scatenò un acceso dibattito in Corea del Sud circa la loro cultura: “se un adulto gli avesse detto di non muoversi, loro sicuramente non si sarebbero mossi” (parole di un giornalista della CNN). Una “deformazione” tale da annullare la capacità d’azione e di decisione dei singoli individui, specie dei più giovani, fermamente convinti, come i protagonisti di Non siamo più vivi, che gli adulti abbiano tutto sotto controllo. Dopo essere stati abbandonati e lasciati sul tetto della scuola a morire di fame – quella è stata per me una scena terribile – i nostri protagonisti si salvano da soli fino ad essere portati nel centro per la quarantena. Qui, interrogati, arrivano alla conclusione che loro, degli adulti, non intendono più fidarsi ciecamente. Nonostante l’immobilismo che pervade la situazione, forse la vera e più forte azione dei giovani protagonisti è proprio questa affermazione.

Ricordo che Non siamo più vivi è su Netflix. In arrivo la stagione 2.