Tra superstizione e tradizione

Malanotte è un piccolo borgo in cui tutti gli abitanti si conoscono tra loro e non esistono segreti. Quando Marta vi si trasferisce insieme alla figlia Nina, la loro presenza non passa certo inosservata. E se desta qualche sospetto, e più di un malevolo giudizio, la decisione di una madre single di rifugiarsi in un paesino così isolato nel tempo e – come sottolineato da alcune inquadrature- persino nello spazio, ancor più preoccupazione aleggia sulla piccola, perchè sono proprio i giorni della festa della Pantafa, e i bambini non devono stare in giro da soli..

Il rapporto madre-figlia

Sono varie le sfaccettature che emergono dal personaggio interpretato da Kasia Smutniak. Marta è una donna schiva e solitaria, il cui carattere non si amalgama facilmente con il senso comunitario degli abitanti di Malanotte, in cui tutti sanno tutto di tutti. Marta è, però, anche madre premurosa con la figlia, con cui condivide momenti di dolcezza e complicità. Marta, quando vuole, si dimostra donna capace di sedurre gli uomini del paese. Marta è una donna pragmatica, che non vuole dare attenzione alle superstizioni di Malanotte..

“Sono solo vecchie storie di paese”

Pantafa di Emanuele Scaringi è un film che gioca (per molto) a carte scoperte. Della figura della Pantafa si parla esplicitamente e lo si fa fin da subito, quando Marta e Nina arrivano in paese e ricevono le prime raccomandazioni. Centrale nell’indottrinamento (riuscito con la figlia, fallito con la madre) delle superstizioni locali è la figura della balia Orsa, interpretata da Betti Pedrazzi, che tramanda credenze del posto e che, per veneranda età e dialetto stretto, rappresenta la memoria collettiva di Malanotte.

Viene, ti prende e ti porta via

Il film non presenta preamboli. La sceneggiatura, che muove dal trasferimento a Malanotte, è molto semplice e segue quasi linearmente gli stilemi tipici della favolistica, con una presentazione dei protagonisti, l’introduzione di qualche figura benevola (Orsa, i bambini con cui fa amicizia Nina), qualcuna più ambigua (Andrea, interpretato da Mario Sgueglia), tutto in un’atmosfera rarefatta, nebbiosa, oscura, ben resa dal comparto fotografico. La Pantafa c’è, viene ricordata nei suoi simboli e in quella che ne è la manifestazione più tipica secondo la leggenda: la privazione del respiro. E a farne le spese è soprattutto Nina, interpretata dalla brava Greta Santi, che da tempo soffre di paralisi ipnagogiche, un disturbo del sonno che può portare ad avere stati allucinatori.

La Pantafa (nota più comunemente come pantafica) è tutto questo, il film non indugia a dircelo. Ma non si dice mai che cosa questa figura rappresenti e perchè i nostri protagonisti ne siano finiti nelle grinfie, fino al finale della pellicola. ll climax esploderà infatti solo nella notte della Pantafa, dove avremo lo scioglimento dei nodi ed un buon twist narrativo.

Le scelte narrative e alcune rivelazioni sulla figura della Pantafa non possono non far pensare ad un’altra figura del folklore (non italiano, stavolta), su cui è stato prodotto un horror americano, qualche anno fa. Ma lasciamo a voi il piacere della scoperta..

Attingendo dal notevolissimo (e in gran parte cinematograficamente inesplorato) bacino di leggende nostrane, Pantafa rappresenta un interessante esperimento di fiaba horror tutta italiana. Ritmi dilatati e sceneggiatura compatta non lo rendono un prodotto appetibile per chi cerca una pellicola dai ritmi frenetici, effetti stravaganti e da spaventi in serie. Al suo secondo lungometraggio, Emanuele Scaringi confeziona un’opera che strizza l’occhio a tutti quegli spettatori che sono stanchi dei moderni stilemi del genere, ma che si lasciano affascinati dal folk-horror e dalle antiche credenze popolari, spesso più inquietanti dei patinati prodotti hollywoodiani.

Distribuito da Fandango, Pantafa esce oggi, 30 marzo, al cinema!

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