Il 5 Agosto 2022 è arrivato su Disney+ Prey, diretto da Dan Trachtenberg. La pellicola costituisce il quinto capitolo della saga di Predator e fa da prequel per tutti i precedenti film.

TRAMA

XVIII secolo. Nel cuore della natura selvaggia del nord degli Stati Uniti, Naru è il giovane membro di un villaggio comanche. La ragazza comincia a sospettare che nei boschi si aggiri una misteriosa creatura che rischia di mettere in pericolo tutti i membri della tribù. Non riuscendo a trovare nessuno disposto a dar credito alla sua teoria, Naru decide di inoltrarsi da sola nelle fitte foreste alla ricerca del pericoloso essere.

RECENSIONE

La pellicola di Trachtenberg arriva a quattro anni di distanza da The Predator di Shane Black, un film chiassoso che faceva dell’eccesso e della spettacolarità i propri punti di forza. La pellicola del 2018 fallì tuttavia proprio in quello che sarebbe dovuto essere il suo intento principale: raccontare una storia che valesse la pena di seguire. Prey riporta invece, letteralmente e simbolicamente, la saga alle origini, con un prequel misurato che si avvicina per atmosfere a Predator del 1987. Tanto nell’una quanto nell’altra pellicola, la natura selvaggia è il setting pincipale delle vicende. Ci si sposta dall’afa della giungla al gelo delle foreste, con paesaggi dall’indubbia potenza visiva, e si torna a basare la vicenda su un conflitto triplice, umano vs alieno vs natura.

Torniamo poi ad avere un unico alieno yautja come antagonista. Dal punto di vista del design è stato apportato un piccolo ma vistoso cambiamento, con la scelta di un copricapo di osso anziché di metallo. Trachtenberg ha motivato la scelta da un punto di vista narrativo, per sottolineare la natura predatoria della creatura, e da un punto di vista estetico, dato che tale copricapo permette di scorgere meglio l’espressività dell’alieno. Nella maggior parte delle scene in cui esso è visibile, si è ricorso all’uso di ottimi effetti pratici anziché digitali.

Autentico punto di forza di Prey è però la sua protagonista: Naru. La giovane ci viene presentata come una cacciatrice molto intelligente ma dalla scarsa esperienza pratica, non godendo pertanto di alta considerazione da parte dei coetanei e dei membri adulti del villaggio. Non a caso Naru è l’unica a rendersi conto che qualcosa di insolito e pericoloso si sta aggirando tra le foreste, non ottenendo però il supporto di nessuno. Alla base della sua decisione di inoltrarsi nel verde e affrontare la minaccia c’è quindi sia la volontà di proteggere il proprio villaggio, sia quella di dare prova del proprio valore.

Il suo è un viaggio dell’eroe nel senso più classico del termine: dal mondo ordinario ( il villaggio) a quello straordinario ( i boschi) e ritorno. La giovane deve compiere un percorso che la porti dall’essere quella preda (prey) del titolo al divenire il predatore. La situazione di svantaggio è nettamente più evidente rispetto al primo capitolo della saga, in cui seguivamo un gruppo di mercenari dotati di svariate armi da fuoco. Naru è invece giovane, inesperta, priva di armi che possano tenere testa all’alieno, e anche piuttosto sola. Oltre alla minaccia principale, abbiamo poi gli animali della foresta e un gruppo di cacciatori francesi del tutto privi di etica. Questo ultimo aspetto, ovvero la presenza di un senso dell’onore, rende la ragazza e la creatura speculari. Come sappiamo, infatti, gli yautija riconoscono il valore dei loro avversari e non uccidono chi è completamente inerme.

L’impressione che si può avere di primo acchito è pertanto quella di un conflitto troppo sbilanciato per essere plausibile, ma ciò è vero solo in minima parte. E’ vero che Naru nel corso del film si trova in svariate situazioni in cui ci sono effettivamente poche possibilità di salvarsi, tuttavia tale ragionamento può essere applicato allo stesso modo a qualsiasi pellicola del genere. Anzi, Prey riesce molto bene nel delineare fin dall’inizio le enormi potenzialità intellettive della ragazza. Là dove gli altri personaggi cercherebbero un confronto diretto e fallimentare con il Predator, Naru preferisce fuggire, osservare e cercare di elaborare una strategia. Prey è una pellicola di formazione, che culmina in uno scontro finale in cui la condizione di sbilanciamento fra le parti è senza dubbio percepibile in misura molto minore rispetto all’inizio.

Amber Midthunder si è calata alla perfezione nei panni del personaggio. La sua intensa interpretazione non può non essere considerata uno dei punti di forza della pellicola.

Il film gode poi di un discreto numero di scene di suspense. In una delle più riuscite, la presenza del Predator è accennata unicamente dal movimento della vegetazione di una radura. Trachtenberg ha affermato che per questo passaggio si è ispirato al Lo Squalo di Steven Spielberg.

Per quanto riguarda la violenza, essa è presente nel corso di tutta la trama, ma quasi mai inquadrata in maniera esplicita. Campi lunghi, stacchi di inquadratura e altri artifici permettono di evitare di sfociare nello splatter. Il risultato non è tuttavia, come si potrebbe pensare, quello di un prodotto frenato. Nel suo mostrare ma non del tutto, Trachtenberg è invece riuscito a rendere allo stesso modo la ferocia del Predator, lasciando che però sia il pubblico a immaginarne i dettagli più truculenti.

Complice un minutaggio non eccessivo (100 minuti circa), la pellicola gode di un buon ritmo, che alterna i momenti di azione serrata a quelli dedicati allo sviluppo del personaggio di Naru senza mai annoiare.

Venendo ai difetti di Prey, essi sono sostanzialmente tre.

Il primo riguarda la CGI che, sebbene non venga utilizzata in maniera massiccia, risulta spesso di livello piuttosto basso per una produzione del 2022.

In secondo luogo, i dialoghi fra Naru e gli altri membri del villaggio appaiono troppo freschi e moderni se messi in relazione con il setting storico della pellicola, ostacolando un po’ l’immersione nel flusso della della storia.

Infine, il momento risolutivo dello scontro tra la giovane protagonista e il Predator risulta poco chiaro. Una maggiore costruzione avrebbe sicuramente giovato nel ridurre l’effetto di straniamento.

In definitiva, Prey è un film che fa della ricetta less is more il suo più grande punto di forza. Una pellicola scorrevole e coerente che sicuramente piacerà ai fan del primo Predator, ma anche un perfetto starting point per i neofiti.

Classificazione: 3.5 su 5.