Ryan Murphy torna su Netflix con “Ratched”, la serie che racconta la genesi della sadica infermiera di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”. Quali terribili eventi possono portare una persona a perdere del tutto ogni forma di empatia? Che cosa scatena dolore, odio e indifferenza in una giovane infermiera? Murphy racconta la storia di Mildred Ratched, uno dei personaggi più iconici del cinema, e lo fa a modo suo, con lo stile e i temi che caratterizzano ogni sua produzione.

Un universo di personaggi femminili

Ryan Murphy è famoso per aver creato personaggi femminili complessi: donne dal grande fascino, figure costruite su passati burrascosi e drammatici e analizzate attraverso i loro conflitti interiori. Questi maestosi personaggi, scritti in modo impeccabile, hanno sempre avuto la grande fortuna di essere messi in scena da grandi attrici : tra le muse di Murphy troviamo infatti Jessica Lange, Sarah Paulson, Kathy Bates, Lady Gaga e Patti LuPone. 

Con Ratched possiamo quindi dire che Ryan gioca in casa: riprende uno dei personaggi più iconici del cinema e, attorno ad esso, costruisce una terza dimensione. Il sadismo e la crudeltà di Mildred Ratched vengono indagati, umanizzati e motivati. Murphy costruisce una storia, un passato che risponde a domande precise e soprattutto chiarisce un concetto: nessuno nasce mostro, ma tutti possiamo diventarlo. La spirale di odio, violenza e sofferenza che ha plasmato l’infermiera Ratched ci viene mostrata (anche se solo in piccola parte, dato che la serie continuerà per altre stagioni) attraverso l’umanizzazione di  un personaggio che emerge con tutte le sue fragilità suscitando nello spettatore pena, rabbia e ammirazione. In questi primi 8 episodi Murphy costruisce un’altra delle sue donne impeccabili: una figura sfaccettata e ambigua ma che ci viene mostrata a 360º gradi. 

Un’opera tecnicamente ammaliante

Oltre al personaggio di Mildred ad essere impeccabile è anche la qualità tecnica della serie: i magnifici scenari regalati dall’ambientazione californiana sono resi superlativi da una fotografia molto curata che (ab)usa spesso di colori pastello. La regia presenta un’”identità” precisa e ben studiata, riuscendo a ricreare a tratti un’atmosfera che oscilla tra l’hitckockiano e il lynchiano, e anche i costumi (in particolari quelli usati nell’istituto psichiatrico) non possono fare altro che ammaliare lo spettatore. Il cast è eccezionale: Sarah Paulson mette in scena perfettamente ogni sfumatura della sua Mildred, Sharon Stone è impeccabile nei panni di una donna ricca e molto sopra le righe e anche Judy Davis stupisce nella sua ottima interpretazione dell’infermiera Betsy Bucket. Nel cast troviamo anche Finn Wittrock, Vincent D’Onofrio, Cynthia Nixon e Jon Jon Briones, tutti in gran forma.

Troppe sottotrame

Tuttavia, la serie ha anche qualche difetto: come succede spesso, Murphy sembra creare un numero eccessivo di sottotrame, alcune appena abbozzate, altre evitabili o del tutto inutili. Questo rende la narrazione a tratti leggermente macchinosa, genera qualche piccolo buco di trama e toglie tempo e spazio ad argomenti senza dubbio più interessanti che avrebbero potuto essere trattati in modo più attento e preciso (argomenti che presumibilmente verranno approfonditi nella seconda stagione).

Manipolazione e sessualità

Murphy, inoltre, riprende il personaggio dell’opera di Ken Kesey ma lo riadatta secondo uno stile del tutto personale regalandoci anche una denuncia sociale quantomai attuale: la violenza a cui le persone LGBT+ andavano incontro negli istituti psichiatrici è uno dei temi attorno ai quali si sviluppa la trama ed è mostrato in modo crudo e diretto. La manipolazione, la lotta per il potere che corrode inevitabilmente l’animo umano, la scoperta di se stessi e della propria sessualità e la fuga da un passato tormentato e pieno di menzogne e infelicità, sono tutti temi tipici dello sceneggiatore di American Horror Story, temi che in Ratched tornano con tutta la loro potenza.

In “Ratched” troviamo, infatti, solo personaggi complessi: non ci sono macchiette e non c’è assolutamente una netta distinzione manichea tra bene e male, tanto che lo stesso spettatore arriva all’ottavo episodio senza aver capito bene da che parte stare. Questi personaggi veri e multidimensionali arricchiscono notevolmente la narrazione rendendo del tutto imprevedibili alcuni snodi narrativi. Mildred risulta il più ambiguo dei personaggi, in una perenne oscillazione tra bene e male (da brividi il finale del quarto episodio) il suo carattere si arricchisce, mostra le sue diverse sfaccettature e finisce per affascinare lo spettatore.

Interessante è anche l’uso dei simboli; molte scene sono costruite intorno a quello che apparentemente è solo un banale frutto, una pesca. Ma proprio la pesca in realtà diventa espressione di una sessualità repressa, sbagliata e (im)pensabile.

Con Ratched, Netflix ci regala un’ottima serie sia dal punto di vista tecnico che da quello narrativo.

Non è forse il miglior Ryan Murphy che abbiamo visto ma, sicuramente, è uno dei più interessanti e l’interpretazione di Sarah Paulson varrebbe da sola la visione di tutti gli episodi. 

Se avete amato American Horror Story o lo stile di altre serie di Murphy, oppure se apprezzate l’introspezione psicologica di personaggi particolarmente complessi allora buttatevi: Ratched non vi deluderà.

VOTO: 8