Session 9

Usciva nelle sale italiane il 14 settembre del 2001, passato inosservato è stato poi rivalutato nel corso degli anni, un horror che merita assolutamente una riedizione. Girato con un budget minimo e senza effetti speciali, il film ruota attorno a cinque attori in un manicomio abbandonato.

Trama: Gordon viene incaricato di rimuovere pannelli di amianto in un ex ospedale psichiatrico. L’ambiente conserva ancora tracce della follia che ha abitato l’edificio, ed iniziano a verificarsi strani eventi.

Session 9
Peter Mullan nel ruolo di Gordon

Session 9 non ebbe molta fortuna all’uscita, se n’è parlato grazie a qualche lista di horror più spaventosi, ma meriterebbe un pubblico più ampio. Il film fu realizzato in digitale, tra i primi girati utilizzando il video HD 24P Sony, che gira a 24 fotogrammi al secondo come in pellicola (rispetto ai 30 fotogrammi al secondo del video NTSC convenzionale). Utilizzando questa tecnologia, Brad Anderson e il direttore della fotografia sono stati in grado di produrre immagini con una profondità di campo notevole utilizzando principalmente la luce naturale

Nel 2001 ricordo di aver visto il film in sala con alcuni amici e non restammo pienamente soddisfatti, è un film che spiazza anche in negativo alla prima visione. A distanza di anni, con qualche rewatch alle spalle, è diventato uno dei nostri horror preferiti. Anche la critica di quegli anni non era sicura di cosa farne con questo film, che non era riuscito a connettersi con il pubblico (guadagnando meno di 2 milioni al botteghino). Rivisto oggi fa un effetto diverso, è sicuramente più evidente quel sogno americano infranto, quella decadenza e disperazione che a inizio 2000 non aveva ancora colpito molte famiglie.

Session 9

Session 9 è un horror da vedere rigorosamente da soli, al buio.

Il motivo è abbastanza semplice, si tratta di un horror psicologico che richiede allo spettatore di essere più attivo con l’immaginazione, e a sottolinearlo è anche una linea di dialogo nel film. Ci sono diversi elementi che restano nel fuori campo, la suggestione e l’inquietudine s’insinuano lentamente, un film ipnotico se ci si lascia ipnotizzare, anche grazie all’impressionante lavoro fatto sul sonoro. Session 9 può sembrare una sorta di successore spirituale di Shining, con le sue visioni spettrali, il sottotitolo del giorno che passa o il one-point perspective. C’è sicuramente qualcosa che mi ha ricordato l’ospedale usato da Lars von Trier per la miniserie The Kingdom. Ma nonostante queste ispirazioni, Session 9 riesce ad avere un suo stile personale esplorando la fragilità della psiche umana.

Session 9

Incredibilmente suggestivo il lavoro sul sonoro che mescola suoni della natura con altri più meccanici. Un mix audio volutamente distorto, come è anche particolare il modo con cui la mdp segue i personaggi, richiamando in parte il cinema di David Lynch. I brani musicali seguono uno stile quasi dark ambient, in aggiunta c’è un pezzo elettronico/sperimentale (Piece for Tape Recorder) del compositore Vladimir Ussachevsky.

La vita è sempre più spaventosa della finzione” 

Il regista Brad Anderson

Sono sicuramente d’accordo con questa affermazione del regista, e penso che questo pensiero sia alla base anche del suo L’uomo senza sonno (The Machinist, 2004). Entrambi i film creano tensione ed angoscia senza ricorrere troppo al soprannaturale, ma usando sempre un punto di vista insolito. Con Session 9 Anderson si rende conto che ciò che può essere immaginato dallo spettatore è più spaventoso di ciò che viene mostrato, e scavando nella psiche umana si possono trovare mostri anche più spaventosi di un film slasher.

Session 9

Danvers State Hospital

Ospedale psichiatrico a Denvers, Massachussets. Costruito nel 1874, aprì le porte nel 1878, in una zona isolata della regione. La maggior parte dell’edificio fu poi demolita nel 2007, pochi anni dopo le riprese del film Session 9, per far posto ad un complesso di appartamenti. L’ospedale è ritenuto esser stato anche fonte d’ispirazione per H. P. Lovecraft.

Il regista Brad Anderson ha affermato che la maggior parte degli oggetti di scena sono stati trovati sul posto. Anche per questo il film risulta molto autentico ed immersivo, vediamo davvero le stanze dei pazienti e le zone di chirurgia dove sono state eseguite le lobotomie. Molto inquietante il complesso labirinto di tunnel sotto l’edificio, dove l’atmosfera del film è così densa da soffocare. Questi luoghi giocano un ruolo chiave soprattutto nel terzo atto, che è anche il più inquietante. 

Session 9
i 9 nastri trovati da Mike, registrazioni audio di nove sessioni

Avvenimenti soprannaturali o puramente psicologici?

Lo sceneggiatore-regista Brad Anderson e il co-sceneggiatore Stephen Geveden (che interpreta anche il ruolo di Mike) riescono nell’intento di spaventare il loro pubblico, ma lo fanno voltando le spalle a soluzioni scontate come jumpscare o effetti digitali. Il passato dei pazienti ritorna anche attraverso le bobine audio trovate da Mike, dove diventa protagonista l’orribile caso di Mary Hobbes che si svolge in nove sessioni. Una volta che inizia ad ascoltare i nastri ne diventa ossessionato, Mike fa fatica a finirli tutti e scopre cosa è davvero successo a Mary solo verso la fine. Man mano che la settimana avanza, ogni personaggio mostra segni di cedimento sotto stress e la scomparsa di Hank innesca una catena di avvenimenti sempre più spaventosi.

Session 9
Il caso della paziente Mary Hobbes

Come nei recessi della mente, ci potrebbe essere un punto di rottura in cui i nostri demoni non possono più essere tenuti a bada.

I due protagonisti interpretati da Peter Mullan e David Caruso (C.S.I.) sono stati particolarmente convincenti nel trasmettere tutta la suspense, con l’avanzare dei giorni i loro occhi diventano sempre più esausti. La prova attoriale del protagonista, Peter Mullan, non era affatto semplice, in quanto vengono esplorati gli angoli più fragili e potenzialmente tetri della mente umana, partendo dal suo tumulto interiore.

Session 9

Session 9 dà molta priorità al dialogo e al sonoro, e ovviamente le scene con le registrazioni audio sono fra le più inquietanti del film. In un crescendo volutamente lento, il regista sceglie di spaventare attraverso ciò che si nasconde nell’ombra. Nel terzo atto c’è poi un’accelerata, quando la follia, le allucinazioni, la paranoia e l’inquietudine crescono a dismisura. Un horror atipico che ha come punto di forza questo stile ipnotico, c’è la costante sensazione di minaccia oscura ed incombente, con una forte ambiguità tra soprannaturale ed inganno della mente.

Session 9, a distanza di vent’anni, è un horror psicologico da riscoprire perché diventerà sempre più un film di culto. Di certo non è una visione che si dimentica in fretta, ma anzi lascia una sensazione di disagio per giorni.

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