La seconda stagione di American Horror Story è ambientata in un altro luogo tipico del cinema (horror e non solo): il manicomio.

È infatti la struttura di Briarcliff, a Boston negli anni ’60, ad ospitare, o meglio ad “imprigionare”, i protagonisti di American Horror Story: Asylum. Nel cast di questa stagione ritroviamo alcuni volti noti come Evan Peters, Jessica Lange, Sarah Paulson, Lily Rabe e Zachary Quinto, che già avevano preso parte alla prima stagione della serie seppur ovviamente in ruoli diversi.

Molti pensano che American Horror Story: Asylum sia la stagione migliore della serie TV e uno dei prodotti televisivi più raffinati mai visti. La struttura narrativa della storia, nonostante la sua continua divisione in sottotrame, si sviluppa nel corso delle 13 puntate e finisce per chiudersi perfettamente rendendo lo spettatore pienamente soddisfatto. La regia, l’ambientazione e le interpretazioni rendono il tutto ancora più elaborato e risulta quasi impossibile non sentirsi intrappolati negli oscuri corridoi del manicomio di Briarcliff.

Ma sotto una storia già di per sé molto complessa si nasconde molto di più…

Il crudele passato dei manicomi

La verità sulle atrocità compiute nei manicomi è ormai emersa da anni e conosciuta praticamente da tutti. Anche se si è soliti etichettare come “pazzi” coloro che erano rinchiusi in queste strutture, la storia ci racconta come fossero molti gli innocenti vittime di una particolare e approssimativa selezione. Ancora più disumane erano le cure-torture a cui i vari pazienti venivano sottoposti: dai farmaci potentissimi che rendevano i pazienti catatonici all’elettroshock.

Anche in questo caso Murphy e Falchuk partono da un passato burrascoso, già di per sé spaventoso, e ce lo mostrano in tutta la sua crudeltà inserendo elementi sovrannaturali. Nel primo articolo (che potete leggere QUI) avevamo visto come i protagonisti di ogni stagione fossero perlopiù i “marginalizzati”. In Asylum questa scelta peculiare di dar voce agli ultimi emerge con tutta la sua forza: le vittime rinchiuse nel manicomio di Briarcliff non sono altro che coloro che la società ha rifiutato, scarti di un mondo depravato ed ipocrita che vengono rilegati in un non-luogo quasi estraneo al resto del mondo.

La discriminazione nelle sue forme più varie

La “terapia della conversione”

Lana Winters (Sarah Paulson) è forse la protagonista di questa stagione e sicuramente una delle vittime del regime di Briarcliff. Lana, giornalista, entra nel primo episodio nel manicomio per scrivere un articolo su Kit (Evan Peters) appena arrestato con l’accusa di essere lo spietato serial killer Bloody Face e pronto ad essere rinchiuso tra le fredde mura della struttura. Respinta inizialmente da Suor Jude (Jessica Lange) Lana si intrufola di notte nel manicomio nel tentativo di parlare con Kit, ma viene aggredita e imprigionata dalla stessa suor Jude che afferma di voler guarire la sua omosessualità.

Jude ricatta anche la compagna di Lana, Wendy, facendole firmare il documento che autorizza la reclusione della donna nell’istituto. Una delle scene più forti della stagione è proprio quella nella quale viene mostrato il trattamento a cui viene sottoposta Lana, una sorta di terapia della conversione: viene obbligata ad ingerire farmaci che le provocano nausea e vomito ed è costretta a guardare immagini di donne nude affinché il suo corpo e la sua mente provino una naturale repulsione verso quelle visioni.

Razzismo e ipocrisia

Altra vittima innocente è Shelley colpevole di aver tradito il marito e internata con l’etichetta di ninfomane. La discriminazione e l’intolleranza non si trovano però chiuse tra le mura di Briarcliff: Kit deve tenere segreta la propria relazione con Amanda, ragazza di colore, per evitare scandali e l’odio dei razzisti.

Il manicomio diventa uno specchio dell’America negli anni ’60: una sorta di élite in cui regnano il perbenismo e il puritanesimo che mascherano una realtà bene diversa fatta di perversioni e ipocrisia. Lana e Shelley rappresentano un desiderio di libertà represso e soffocato da Suor Jude, rigorosa e puritana, che indossa sotto il suo abito da suora un elegante e provocante vestito rosso che racconta molto del suo passato fatto di alcool, sesso e sangue, ossimoro perfetto fra contenuto e forma.

Il sovvertimento dei ruoli: i pazzi al comando

Può sembrare paradossale ma nel manicomio di Briarcliff sono i pazzi a comandare: Suor Jude, il dottor Arden, il monsignor Timothee, suor Mary Eunice e, in parte, il dottor Thredson sono i veri malati mentali del manicomio, eppure le loro perversioni sono accettate da una Chiesa che sembra ipocrita e marcia, quanto la stessa società. I pazienti dell’istituto sono semplicemente vittime di un sistema che non li ha accettati e che li ha condannati a sottostare al regime di sadici individui che, paradossalmente, sono considerati normali. In questo paragrafo occorre mettere in evidenza le figure del monsignore e del dottor Thredson.

La disumana freddezza del Monsignore

Monsignor Timothee dimostra fin da subito freddezza e disinteresse verso i trattamenti che vengono inflitti ai pazienti. La sua è una fede di comodo: egli ambisce ad arrivare al papato, anche se probabilmente di Dio nella sua vita non ha mai percepito la presenza. Incapace di prendere decisioni il monsignore diventa prima la marionetta del dottor Arden e, successivamente, quella di Satana. Non a caso nel finale non è in grado di affrontare il suo passato e morirà suicida.

La lucida follia di Thredon

Il dottor Thredson, invece, sembra inizialmente l’unica fonte di razionalità all’interno del manicomio: egli cercherà di aiutare Lana fin da subito chiarendo che la sua omosessualità non è curabile in quanto non è una malattia. Questa luce di progressismo e liberalismo all’interno del manicomio si spegne definitivamente quando, dopo averla aiutata nella sua fuga, Thredson rapirà Lana rivelandole di essere il vero Bloody Face. La follia del dottor Thredson è una follia lucida, causata dal trauma dell’abbandono della madre: egli rivelerà a Lana la storia della sua vita e dopo averla violentata la costringerà addirittura ad allattarlo, chiamandola “mamma”. Thredson diventa la metafora della società americana negli anni ‘60: apparentemente perfetta e democratica è in realtà malata e lucidamente folle.

Arthur Arden e Suor Jude: il sadismo

Un aspetto principale della stagione è indubbiamente il sadismo del dottor Arden e di Suor Jude. Il primo si diverte a praticare esperimenti e amputazioni sui pazienti di Briarcliff e sembra provare piacere nel vederli soffrire; l’altra picchia i pazienti del manicomio con delle fruste, manifestando un evidente divertimento sadico. Tuttavia, quello di Jude è un personaggio molto poliedrico: lei ha preso i voti solo per cercare di dimenticare il suo passato, fatto di Night Club e alcool, che l’ha condotta ad investire una bambina e a non prestarle alcun soccorso. Gli istinti di una vita mondana impregnano ancora l’anima di Jude, la quale nasconde sotto il velo l’abito rosso con cui nella prima puntata immagina di sedurre il monsignore.

Il personaggio di Jude diventa una sorta di arena di battaglia in cui la repressione si scontra con il desiderio in un duello in cui l’unico arbitro sembra l’imparziale rimorso. Solo alla fine, rinchiusa nel manicomio di cui un tempo era a capo, Jude riuscirà davvero ad aprire gli occhi. Ella scopre che la bambina che da giovane aveva investito è sopravvissuta e da quel momento la realtà, che sembrava ignorare, le si paleserà sotto gli occhi. Jude è forse il personaggio più affascinante di American Horror Story (grazie anche alla magistrale interpretazione della Lange): prigioniera di un passato terribile cercherà di liberarsi finendo, però, inizialmente nelle grinfie della repressione e infine schiava di un sistema che non accetta opposizioni.

Anna Frank, il passato che ritorna

Suor Jude non è l’unica ad avere un passato particolare. Nel quarto episodio (“Io sono Anna Frank”), assistiamo all’arrivo di una nuova paziente la quale afferma fermamente di essere Anna Frank e di aver visto il dottor Arden tra i dottori nazisti. Successivamente scopriremo che la ragazza ha sviluppato un’ossessione per Anna Frank (anche se il dubbio rimane) e che ha cominciato a ritagliare foto e immagini di nazisti: tra le tante foto però vedremo che c’è anche quella del dottor Arden il cui vero nome è Hans Grüper.

Questo evento alimenterà i sospetti dell’incredula Suor Jude che inizierà a investigare sul passato del presunto dottor Arden e sui suoi macabri esperimenti. La “falsa” Anna Frank verrà zittita attraverso una lobotomia che la farà tornare definitivamente in “se stessa”. Tuttavia, il dubbio rimane: la donna aveva ragione sul passato di Arden e Murphy e Falchuk inseriscono spesso personaggi storici che contribuiscono a cambiare la realtà dei fatti.

Mary Eunice, l’innocenza nel male

Suor Mary Eunice (Lily Rabe) è un personaggio al quale è necessario dedicare almeno una parte di questa analisi. Come il dottor Thredson la giovane suora inizialmente sembra l’unica luce nell’oscurità di Briarcliff. Pura, dolce e devota sembra l’unica a nutrire un po’ di compassione all’interno del manicomio. Ma se il dottor Thredson è un personaggio subdolo e malato fin dall’inizio (anche se lo spettatore non lo sa), Mary Eunice è davvero un’anima pura finché non sarà posseduta da Satana nel secondo episodio. L’innocenza di Mary Eunice viene scelta da Satana il quale decide di entrare nel corpo più “debole” e facile da possedere: quello fragile e puro della giovane suora.

Il diavolo prende il controllo completo di Eunice alterando pian piano il suo comportamento e prosciugando quell’innocenza che la contraddistingueva. Da quel momento il male all’interno di Briarcliff sarà ancor più potente. Non a caso il primo ad accorgersi del radicale cambiamento della suora sarà il dottor Arden, il quale inizialmente sembrava provare un forte sentimento nei confronti della purezza di quella ragazza.

Come fanno notare D. Montigiani e E. Saracino nel loro saggio (American Horror Story: Mitologia moderna dell’immaginario deforme) Arden vede in Eunice la purezza e la bontà, aspetti a lui così estranei che gli permettono di dimenticare momentaneamente il suo passato violento. Quando, però, la suora viene posseduta diventa per il mad doctor una sorta di specchio: guardandola egli rivede tutto il male che ha fatto e per la prima volta è costretto ad affrontare in modo diretto le sue azioni più disumane.

La “morte” del male

Episodio dopo episodio il male perpetrato da Eunice spegne (quasi) definitivamente quella luce che un tempo illuminava seppur di poco Briarcliff. In uno degli ultimi episodi la suora violenta il monsignore il quale, senza nemmeno ribellarsi troppo, perderà anche la purezza del corpo. In questo modo privo anche della purezza dell’anima (che non ha mai posseduto) il monsignore diventerà incarnazione metaforica della pura ambizione. Egli aspira alla fama e al successo attraverso Dio ma l’interesse che nutre per la religione è in realtà inesistente. Sarà proprio il monsignore, inoltre, a gettare da uno dei piani più alti della struttura suor Mary Eunice (su richiesta della giovane donna che per un attimo riesce ad avere il sopravvento sul controllo del suo corpo), uccidendola e liberandola così da Satana.

Durante la cremazione, di cui è incaricato il dottor Arden, quest’ultimo rivedrà per l’ultima volta la purezza nel giovane e innocente volto di Mary Eunice e, distendendosi su di lei, azionerà il forno crematorio, bruciando insieme alla sua amata. Questo passaggio è metaforicamente molto importante: se da un lato questo gesto di Arden dimostra che il suo amore per Eunice era davvero puro, dall’altro egli, con la morte della suora, vede sfumare ogni possibilità di salvezza e decide di suicidarsi; il male sovrannaturale muore e brucia assieme al male terreno, incarnato appunto da Arden (magistrale anche l’interpretazione di James Crowell).

Blasfemia o femminismo?

La blasfemia è comune in molti film horror e in American Horror Story ovviamente non poteva mancare. Le scene criticate e incriminate da molti puritani sono due e vedono protagonisti il dottor Arden e Mary Eunice. Nella prima Arden sfigura una statua di una Madonna con un rossetto, sussurrandole “puttana!” con rabbia e rancore e, infine, distruggendola in mille pezzi. La seconda invece vede Mary Eunice, già posseduta da Satana, spogliarsi in modo provocante e spudorato danzando di fronte a un crocefisso.

Sempre nel loro saggio, Montigiani e Saracino evidenziano come l’intento di quest’ultima scena non sia affatto dissacratorio, bensì femminista:

Mary Eunice si fa controverso simbolo della donna che sta cercando di liberarsi delle vecchie catene che la tenevano prigioniera a causa di una società repressiva. […] il Cristo […] perde il significato di semplice icona religiosa per diventare immagine utilizzata dai poteri alti della società con lo scopo di tenere a freno la libertà, anche sessuale, degli individui”.

Con la stessa abilità i due autori del saggio notano anche come la scena del dottor Arden sia metaforica: egli distrugge e sfregia una figura sacra, simbolo di purezza, la stessa che Mary Eunice sembra aver perso. Il dottore è arrabbiato per ciò che è successo a Eunice e, quindi, sfoga la sua frustrazione in questo modo.

Il rosso, colore del peccato

L’uso dei colori è spesso significativo in American Horror Story. È interessante vedere come in Asylum ci sia un forte (ab)uso del rosso, che sembra simboleggiare il peccato. Suor Jude, come abbiamo visto, indossa sempre un vestito rosso sotto quello da suora: infatti sotto le apparenze Suor Jude cela una vita fatta di “peccati”. Il rosso allude al sangue (lei pensa di aver ucciso la bambina), al vino e al sesso, tutti presenti nel suo burrascoso passato. Arden sfigura la statua sacra con un rossetto, imbrattando il bianco (purezza) con il rosso (peccato), proprio come è successo all’anima di Mary Eunice. Quest’ultima, dopo la possessione, tinge sempre le sue labbra di un rosso acceso. Infine il rosso richiama il sangue anche nella scena in cui uno dei pazienti del Briarcliff inizia a uccidere indossando l’abito (rosso e bianco) di Babbo Natale.

Gli alieni

Criticata e controversa è invece la questione degli alieni. Sono in molti a pensare che questa timeline sia priva di significato, l’unico problema di uno schema narrativo praticamente perfetto. Recentemente Ryan Murphy ha dichiarato che non fu lui a voler aggiungere gli extraterrestri alla trama. Tuttavia qualche anno fa lo fa stesso Murphy aveva dichiarato che gli alieni potevano essere interpretati come una sorta di “paradiso”. Questo spiegherebbe perché in punto di morte Kit, l’anima più pura di questa stagione e quindi l’unica meritevole di accedere al paradiso, venga rapito dagli alieni. Gli extraterrestri giocano un ruolo più importante nella trama e se l’interpretazione del paradiso giustifica alcuni aspetti della loro presenza (e si sposa perfettamente con la sacralità che pervade tutta la stagione), rende altri elementi completamente incomprensibili in quest’ottica, che sono lasciati alla libera interpretazione dello spettatore.

Il grottesco e il camp

Elementi grotteschi e camp pervadono anche Asylum. Il vestito da Babbo Natale indossato da uno dei pazienti di Briarcliff durante i suoi omicidi è indubbiamente l’elemento più grottesco della stagione. Molto camp è invece la scena di “The Name Game” nella quale Suor Jude, ormai una dei tanti pazienti del manicomio, immagina di mettersi a ballare e a cantare con gli altri “pazzi”. Questa scena ricorda inevitabilmente una delle tante coreografie di Glee, serie musical – teen drama andata in onda tra il 2009 e il 2015 e i cui autori erano, per l’appunto, Murphy e Falchuk (più Ian Brennan).

Il rassicurante bacio della morte

Uno dei personaggi più caratteristici della stagione è sicuramente l‘ “angelo della morte” che prende il nome di Shachath (interpretato da Frances Conroy, Moira in Murder House). Ella scende su coloro che stanno morendo e con un bacio sulle labbra pone fine alle loro sofferenze. Nonostante la morte sia spesso vista come una figura negativa, malvagia e spietata, in Asylum assume una connotazione unicamente positiva. Shachath pone fine alle sofferenze delle vittime del manicomio di Briarcliff, le salva dalle torture a cui, continuando a vivere, sarebbero destinate ad andare incontro. L’angelo della morte si manifesta anche di fronte a Jude che però non è ancora pronta a cessare di vivere e così Shachath vola via risparmiando la suora che deve ancora completare il suo percorso di redenzione.

Un drammatico finale

Il finale è indubbiamente toccante. Con un significativo salto temporale (passiamo al 2012) ci viene mostrato il destino di ogni personaggio. Il monsignore, ignavo, è morto suicida incapace di affrontare un passato che Lana Winters stava facendo riemergere. La stessa Lana è diventata una scrittrice e giornalista di successo. Le sue inchieste hanno svelato gli orrori del manicomio di Briarcliff che ormai è stato chiuso da anni. Lana è ormai anziana ma la sua fama è inarrestabile: è diventata anche una presentatrice di successo ed è lei a raccontare nel dettaglio allo spettatore il destino accaduto agli altri personaggi.

Jude è stata liberata da Kit che l’ha accolta in casa sua e, nonostante i danni irreversibili procurati dall’elettroshock, la donna ha potuto vivere felicemente gli ultimi anni della sua vita accanto ai due bambini di Kit. Significativa è l’ultima scena di Jude: davanti a lei compare Shachath, Jude sorridendo afferma di essere pronta e l’angelo della morte la bacia portandola via per sempre. Anche Kit va incontro ad una triste sorte: ammalatosi di cancro e in fin di vita viene rapito dagli alieni che avevano sempre avuto per lui una sorta di predilezione.

Lana e il trionfo dell’ambizione

Negli episodi finali scopriamo che, nonostante le affermazioni di Lana, il figlio frutto dello stupro del dottor Thredson è nato ed è stato fin da subito abbandonato da Lana stessa, incapace di vedere oltre il gesto brutale che aveva portato alla nascita di quel bambino. Ormai cresciuto, nel 2012, egli sta ripetendo le disumane azioni del padre ed è pronto a incontrare Lana per ucciderla, vendicandosi così per il crudele abbandono.

Il finale tragico, che vede la morte dell’uomo, ucciso proprio da Lana, mostra ulteriori sfaccettature del personaggio interpretato da Sarah Paulson. Una donna complessa, un tempo eroina in grado di fuggire da Briarcliff e dalle grinfie del dottor Thredson ma che, poi, ha strumentalizzato la sua storia per ottenere la fama e adesso non riesce ad essere altro che una donna fredda e distaccata, avulsa dalla realtà. In questo Lana ricorda il monsignore: l’eccessiva ambizione ha provocato in loro la totale distruzione della loro empatia e dei loro sentimenti.

Come già detto American Horror Story: Asylum è sicuramente una delle migliori stagioni della serie. Le storie dei singoli personaggi si intrecciano in una spirale di dolore, rabbia e vendetta.

E alla fine è inevitabile fissare il vuoto chiedendosi chi, in una società in cui l’ambizione e l’egoismo primeggiano sul resto, siano i veri “pazzi”.