L’ultima discussa stagione di American Horror Story è appena arrivata in Italia su Disney Plus (già disponibili i primi due episodi), ma in America tutte le puntate sono già andate in onda scatenando reazioni diverse nei fan. Ecco la recensione (no spoiler) di American Horror Story: Double Feature.

Una struttura innovativa

Questa decima stagione di American Horror Story presenta una struttura inedita: in essa troviamo, infatti, due diverse narrazioni, non collegate e con attori e personaggi diversi. Due stagioni in una sola, quindi, che hanno due titoli differenti: Red Tide (episodi 1-6) e Death Valley (episodi 7-10).

Prima di iniziare la recensione in cui, per i motivi elencati sopra, tratterò separatamente le due parti che compongono Double Feature, lascio qui sotto due link:

-Cliccando QUI, potete trovare la recensione (no spoiler) dei primi due episodi di Red Tide

-Cliccando QUI, potete trovare ulteriori informazioni sulla struttura (ma anche sul cast e molto altro) di questa decima stagione.

Red Tide, morte in riva al mare

Trama: Harry (Finn Wittrock), uno sceneggiatore in crisi, si trasferisce con la moglie e la figlia a Provincetown (durante l’inverno) per superare il blocco dello scrittore. Tuttavia, la piccola cittadina di mare nasconde oscuri segreti.

In Red Tide troviamo molti dei volti storici di AHS – tra cui Evan Peters, Sarah Paulson, Lily Rabe, Frances Conroy e Denis O’Hare – ma anche interessanti novità, come Macaulay Culkin e Ryan Kiera Armstrong. Ambientata a Provincetown, città di mare con pochi abitanti durante l’inverno, uno dei punti di forza di Red Tide è proprio l’atmosfera cupa che viene creata perfettamente in questi primi sei episodi. L’ambientazione è indubbiamente suggestiva. Provincetown, nel suo periodo più buio, e la cupa casa di Harry e della sua famiglia, diventano il teatro di una storia piuttosto originale, in cui l’horror supera di gran lunga il camp (non siamo ai livelli di Asylum o Roanoke, ma poco ci manca).

Personaggi tridimensionali

Le interpretazioni degli attori sono superlative (ma non avevamo grandi dubbi) e i personaggi principali sono ben caratterizzati e ben inseriti all’interno della narrazione. Ad essere particolarmente interessanti sono Belle Noir (Frances Conroy), Austin Sommers (Evan Peters), Tubercolosi Karen (Sarah Paulson) e Mickey (Macaulay Culkin); dei primi due viene raccontato, attraverso dei flashback, anche il background, mentre agli altri due spetta un epilogo particolarmente intrigante. In questa prima parte, quindi, Ryan Murphy e Brad Falchuk confermano la loro tendenza a creare personaggi tridimensionali, mai piatti o banali.

Cosa si è pronti a fare per il successo?

In Red Tide, torna il tema dei vampiri, anche se in modo completamente diverso rispetto ad AHS Hotel: la loro genesi non ha niente a che fare con la classica narrazione che di solito gira intorno ai vampiri (con tutti i conseguenti cliché) e il loro aspetto ricorda molto quello del Nosferatu di Murnau. La storia è, quindi, piuttosto originale e introduce interessanti spunti di riflessione e analisi, al centro delle quali vi è il tema del successo, di quanto esso crei dipendenza e di cosa ognuno di noi sia disposto a fare pur di ottenerlo.

È proprio la ricerca disperata del successo ad essere il motore di Red Tide: i personaggi diventano il perfetto specchio di una società in cui si è pronti a calpestare chiunque pur di emergere, e in cui l’egoismo e il solipsismo sono sempre più dominanti (ma vedremo meglio questi aspetti nell’analisi della stagione che uscirà successivamente).

La narrazione e la messa in scena di Red Tide funzionano perfettamente fino alla sesta puntata, il finale di questa prima parte. Come già successo in AHS Apocalypse (QUI l’analisi), infatti, la conclusione risulta affrettata, approssimativa e non all’altezza di tutto ciò che fino a quel momento era stato costruito. Un gran rimpianto, perché le premesse e lo svolgimento avevano entusiasmato i fan.

La media dei voti ottenuti dalle prime sei puntate su iMDB (voti degli utenti) è di 7,8/10, ma questa è gravemente danneggiata dal voto dell’episodio 6 (4,5/10), perché tutte le altre puntate avevano ottenuto una valutazione superiore a 8/10.

Death Valley, tra cospirazionismo e personaggi storici

Sono, invece, solo quattro le puntate dedicate alla seconda parte, dal titolo Death Valley, nella quale Murphy e Falchuk affrontano finalmente il tema degli alieni, abbozzato in AHS: Asylum (QUI l’analisi) e da tempo chiesto a gran voce dai fan. Nel cast di Death Valley troviamo Sarah Paulson, Leslie Grossman e Lily Rabe (in comune con Red Tide) e molte facce nuove, tra cui Kaia Gerber e Nico Greetham (già visti nella serie spin-off American Horror Stories).

Death Valley si sviluppa su due linee temporali diverse che collidono nell’episodio finale. In ogni puntata, infatti, troviamo circa 20 minuti in bianco e nero, in cui si racconta l’arrivo degli alieni negli USA negli anni ’50, e altri 20 a colori, ambientati nel presente.

Tutta la narrazione che si svolge negli anni ’50 è particolarmente interessante e avvincente: riprendendo l’estetica dei film più classici sul tema (per esempio Incontri ravvicinati del terzo tipo), Murphy e Falchuk giocano con tutte le teorie cospirazioniste, inserendo personaggi celebri della storia americana, tra cui il presidente Dwight D. Eisenhower (interpretato da Neal McDonough), Nixon, Kennedy, Marilyn Monroe e tanti altri.

La rappresentazione dei personaggi storici

Giunti sulla Terra, in territorio americano, durante il mandato di Eisenhower, gli alieni propongono un accordo al presidente che, per salvare i propri cittadini, deve accettare condizioni durissime. Nonostante il poco tempo (gli episodi sono quattro e durano in totale 160 minuti, di cui circa la metà dedicati alla timeline del passato), gli autori riescono a mettere in scena molto bene il conflitto interiore di Eisenhower, creando un personaggio che non appare piatto o banale, ma ben caratterizzato (anche grazie all’impeccabile interpretazione di McDonough). Anche Mamie Eisenhower, moglie del presidente, interpretata da Sarah Paulson, è un personaggio interessante e ben rappresentato.

Anche in questa narrazione, vengono introdotti interessanti spunti di riflessione (in particolar modo per quanto riguarda il razzismo e, più in generale, la discriminazione di categorie e gruppi di cittadini), ma li analizzeremo in un articolo successivo.

Per quanto riguarda, invece, la parte ambientata nel presente, il discorso è un po’ diverso. A differenza di Red Tide, nella quale, come già detto, la componente horror dominava su quella camp (praticamente assente), qui si ha una situazione completamente opposta: la componente camp è talmente spinta all’eccesso che finisce sia per sovrastare quella horror, sia per cadere a momenti nel trash. Questa timeline non è stata particolarmente apprezzata dai fan e ha fatto sì che Death Valley ottenesse giudizi (troppo) negativi.

Anche il finale, proprio come quello di Red Tide, è stato aspramente criticato, proprio in quanto affrettato e “poco conclusivo”.

Su iMDB, Death Valley ha una media sotto la sufficienza (5,3/10), con il finale che ha ottenuto, tra gli episodi di tutto American Horror Story, il voto più basso di sempre (3,6/10).

Conclusioni

In conclusione, American Horror Story: Double Feature non ha esattamente entusiasmato i fan, che non hanno apprezzato l’idea di dividere una singola stagione in due storie completamente diverse. Tuttavia, anche se indubbiamente con più episodi Red Tide e Death Valley avrebbero funzionato meglio, mi sento di giudicare molto positivamente questa stagione. In AHS Double Feature, troviamo infatti le due anime che da sempre contraddistinguono American Horror Story: quella horror e quella camp.

Red Tide ha il grande pregio di raccontare una storia davvero avvincente, con un grande cast e un’atmosfera più che suggestiva. Quindi, la prima parte di stagione, nonostante un finale molto mediocre, riuscirà ad appassionare la maggior parte degli spettatori con i suoi toni cupi e dark che richiamano molto Asylum e Roanoke. Death Valley, invece, verrà sicuramente apprezzata da tutti coloro che, come me, hanno amato i toni spiccatamente camp di 1984. Il suo punto di forza è quello di cercare di divertire e intrattenere, giocando con il complottismo e cercando sempre di stupire lo spettatore (talvolta esagerando).

Classificazione: 4 su 5.

Sono convinto che chiunque abbia apprezzato le ultime stagioni di American Horror Story, troverà più che piacevole anche Double Feature, in quella commistione di horror e camp che rende unica da sempre la serie di Murphy e Falchuk.