Quando, qualche mese fa, è impazzata la serie Squid Game, il pubblico si è diviso tra ammiratori e detrattori. Tra le maggiori critiche alla serie c’è l’apparente scimmiottamento di una più vecchia opera di Takashi Miike: As the Gods will, tratta dall’omonimo manga. L’unico modo per stabilire quanto ciò sia vero è addentrarci nella sua opera.

Trama

Un gruppo di adolescenti deve affrontare una serie di giochi mortali. Solo l’astuzia e un pizzico di fortuna potranno salvarli dalla volontà degli Dei.

Recensione

Molto prima di Squid Game e di Alice in Borderland, il genio visionario Takashi Miike, decise di mettere in scena una tipologia di narrazione che non molti anni dopo avrebbe mandato in delirio l’intero pianeta. Nell’era dei giochi mortali non si può non parlare di As the Gods will, pellicola del 2014 che ancora oggi è in grado di insegnarci qualcosa sul cinema.

Il contesto storico

Il contesto storico in cui è ambientato As the Gods will è del tutto simile a quello descritto in Visitor Q (di cui potete leggere una recensione qui) dello stesso Miike. Tredici anni dopo l’uscita di quest’ultimo, il regista riprende i concetti già sviscerati e li introduce in modo più sommario e casuale. Vediamo, ancora una volta, un Giappone costellato dalla noia giovanile, dal bullismo e dal desiderio di cambiamento e di rinascita. Preponderante è l’antinomia tra la noia e la morte come veicolo di salvezza. È, infatti, il rischio percepito dai giocatori che gli permette di rivalutare la loro insoddisfazione per la vita. Ce lo dice apertamente Amaya Tareku, interpretato da Ryūnosuke Kamiki:

“Questa è una rivoluzione iniziata da Dio. Nel nuovo mondo, il potere sarà tutto. […] è un mondo che ho sognato a lungo. Grazie Dei, vi sono grato. I perdenti senza cervello meritano di morire. Non sono degni di essere scelti da Dio. Non sei d’accordo Shun Takahata? […] Siamo uguali. Riesco a sentirne l’odore: ti senti vivo solo di fronte alla morte”.

Amaya rivolgendosi a Shun

In un mondo in cui i giovani hanno tutto e si sentono annoiati da tutto, gli Dei hanno il dovere di intervenire per stimolare la nascita di una nuova generazione di eletti. Persone nuove, in grado di percepire la vita, ma soprattutto di essere stimolati al continuo miglioramento. Non possiamo dimenticarci, d’altronde, che il fenomeno degli hikikomori e del tōkōkyohi, 登校拒否,(il rifiuto dei bambini/adolescenti di recarsi a scuola) sono anche dettati dall’eccesso di competizione, tipico della situazione giapponese post learn production. In una società in cui la competizione è così elevata da portare i giovani a rinunciare in partenza, forse solo una serie di giochi mortali può risvegliarli da questo torpore e permettergli di prendere nuovamente coscienza dell’importanza del vivere la vita.

I giochi in As the Gods will

All’interno della pellicola vediamo cinque diversi giochi derivanti dalla cultura giapponese. Cerchiamo di andare con ordine.

Bambola Dàruma

Le bambole dàruma sono figure votive giapponesi senza gambe né braccia, che rappresentano il fondatore e primo patriarca dello Zen. Le bambole vengono concepite con gli occhi bianchi. Nel momento in cui viene disegnato il primo occhio esso rappresenta un obiettivo da raggiungere. Il secondo occhio verrà apposto quando l’obiettivo verrà raggiunto. Con il termine Daruma, tuttavia, si identifica anche un gioco molto simile al nostro “Un, due, tre..stella” Il Daruma è il bambino girato di spalle che, una volta cantata la filastrocca, dovrà voltarsi ed identificare i bambini ancora in movimento.

Bambole Dàruma con occhi già dipinti

Maneki neko

Il Maneki neko, tipico della pensiero shintoista, non è un vero e proprio gioco ma è il nome dato al portafortuna a forma di gatto con la zampa alzata. La zampa, che noi occidentali attribuiamo erroneamente ad un saluto, serve, in realtà, a richiamare la persona che gli sta dinnanzi. Secondo la cultura giapponese quando un gatto assume questa posizione una grande fortuna investirà il suo padrone.

Kagome Kagome!

Il gioco kagome kagome! è il terzo che vediamo nella pellicola. Le regole sono piuttosto semplici: un bambino viene posto al centro e gli altri bambini si dispongono attorno a lui. Il bambino nella posizione centrale (denominato oni) viene bendato, o in alternativa chiude gli occhi. Gli altri si muovono attorno a lui cantando una filastrocca al termine della quale l’oni deve indovinare chi si trova dietro le sue spalle. Se non lo fa verrà eliminato. All’interno della pellicola, tuttavia, non sono i giocatori a muoversi ma delle bambole della cultura giapponese chiamate kokeshi. Tali monili sono ritenuti di buon auspicio contro la cattiva sorte. Sono state, inoltre, fonte di ispirazione per il creatore della prima matrioska che, come vedremo, verrà ripresa nell’ultimo gioco.

Bambole Kokeshi all’interno della pellicola

Shirokuma alias il gioco dell’orso polare (QUESTO SOTTOPARAGRAFO CONTIENE SPOILER)

Il quarto gioco che vediamo affrontare dai nostri protagonisti è una specie di “obbligo o verità” in versione mortale. I ragazzi si trovano a dover affrontare le domande di un gigantesco orso polare alle quali dovranno rispondere con totale sincerità. Qualora uno solo di loro dovesse mentire l’orso se ne accorgerebbe e sarà compito di tutti i membri del gruppo individuare chi è il bugiardo. Nel caso in cui non riuscissero a indicare chi è il mentitore, dovranno scegliere un capro espiatorio che verrà sacrificato al posto di quest’ultimo. Se il gioco non ha, di per sé, alcun richiamo apparente alla cultura giapponese, è nel momento in cui Shun lo risolve che capiamo dove sia il riferimento. L’orso polare, infatti, non è un vero orso polare ma è un Onikuma (o Oniguma) ossia un orso demoniaco della mitologia giapponese. Secondo la leggenda l’orso è in grado di reggersi sulle due zampe ed è dotato di una forza e di una velocità fuori dal comune. Quando muore la montagna in cui dimorava viene scossa da disastri naturali. Tuttavia, all’interno della pellicola sentiamo la matrioska riferirsi a questo gioco con il nome Shirokuma. Tale termine è un riferimento palese ad alcuni famosi manga e videogiochi giapponesi tra cui: Dangaronpa, Summiko Gurashi e Shirokuma Cafè. In tutte queste opere, con il termine Shirokuma, si fa riferimento ad un orso polare, tipicamente con caratteristiche benevole. Ancora una volta il regista contrappone una figura percepita come positiva a qualcosa di tremendamente oscuro come l’Onikuma.

Demone Oniguma

Calcia la latta

L’ultima e decisiva sfida consiste in una sorta di nascondino. Uno dei giocatori viene decretato “lupo” tramite estrazione casuale mentre gli altri dovranno essere cacciati. Lo scopo del gioco è quello di catturare almeno tre giocatori. Per farlo, colui che interpreta il “lupo”, dovrà catturare gli altri guardandoli in faccia e dicendo il loro nome, il tutto dopo aver posizionato una lattina all’interno del cerchio rosso che vediamo all’inizio. Viceversa, le “prede” possono essere liberate da un altro giocatore se questo calcia la latta. Il problema principale è che calciandola, la latta esploderebbe portando il salvatore a rischiare la vita per gli altri. Anche in questo caso i riferimenti espliciti alla cultura giapponese sono irrisori, se non fosse che il gioco viene introdotto da delle matrioske. Nonostante la matrioska sia un cimelio della cultura russa, essa è stata costruita ispirandosi alle bambole kokeshi di cui avevamo già parlato all’interno del paragrafo Kagome Kagome!

Un aspetto comune a tutti questi giochi è il voler riprendere figure positive della cultura giapponese e reinterpretarle in accezione negativa. Tutto ciò che porta fortuna, che determina benevolenza, che ricorda la spensieratezza infantile, viene depauperato della sua positività e caricato di una connotazione estremamente negativa. I giochi diventano il simbolo del passaggio dall’età infantile all’età adulta, in un percorso di maturazione che porta alla scoperta dei propri limiti e alla riacquisizione dei valori perduti. Ma non solo. Passando da una sfida all’altra ci rendiamo conto di quanto questi giochi siano strutturati per far sì che i giocatori assimilino quelle che sono le abilità fondamentali per poter emergere e prendere consapevolezza di sè. I ragazzi, infatti, sono costretti ad usare in primis l’arguzia, molto più del sapere fine a sé stesso. Sono portati a fare gioco di squadra, a fidarsi e ad affidarsi agli altri. Nel percorso affrontato imparano, in modo drammatico, abilità e skills che tipicamente si apprendono nel corso della vita. Senza dimenticare che, al di sopra delle capacità individuali, esiste una forza che nessuno di noi può dominare pienamente, e che determina la differenza tra vincitori e vinti, tra morti e sopravvissuti: la fortuna.

Il mondo di As the Gods will

Fino ad adesso abbiamo parlato del contesto storico in cui è pensato As the Gods will e dei giochi che vengono affrontati dai nostri protagonisti. Facendo riferimento alla struttura di questi ultimi, risulta necessario analizzare il mondo diegetico della pellicola. L’universo, in cui è ambientato il film, è in continuo movimento. Se, inizialmente, ci troviamo di fronte a una realtà del tutto simile al mondo reale in cui sono solo due gli elementi disturbanti (la bambola Dàruma e il sangue che si trasforma in biglie), man mano che avanziamo all’interno della pellicola si nota una sorta di distaccamento dal concetto di reale per entrare in un mondo con leggi fisiche a noi estranee. I ragazzi, dopo la fine del secondo gioco, vengono chiusi all’interno di un cubo fluttuante in cui gli adulti non possono entrare ma da cui anche i giocatori non possono uscire. La maturazione dei giovani non avviene, quindi, solo in relazione al superamento delle prove mortali, ma anche con il progressivo distaccamento dal mondo reale. Ragazzi e mondo evolvono in modo del tutto parallelo e mutuamente stimolante. Avanzando all’interno delle prove i protagonisti si trovano a dover uscire dalla loro zona di confort ed entrare in una realtà altra, differente e inaccessibile nella quale potranno contare solo sulle loro forze.

Analogie e differenze

Arriviamo, adesso, al paragrafo più controverso della nostra analisi: analogie e differenze con Alice in Borderland e Squid Game. È, infatti, innegabile che vi sia una sorta di fil rouge tra le opere, dettato principalmente dal tema affrontato. Nonostante ciò, per quanto riguarda l’affinità a livello di contesto e di struttura della narrazione è decisamente impossibile negare che le similitudini siano più con Alice in Borderland rispetto a quanto non lo siano con Squid Game. In primis il contesto in cui sono ambientati As the Gods will e Alice in Borderland è del tutto analogo: la società giapponese. Questo ci porta ad avere, in entrambi i casi, protagonisti molto giovani che si ritrovano, in modo del tutto involontario, all’interno di un “gioco” da cui non possono uscire se non vincendo. Anche le atmosfere sono piuttosto simili. In entrambi i casi, infatti, si viene a creare una realtà “altra” da cui i protagonisti non possono uscire e in cui gli adulti non possono entrare. La maturazione dei protagonisti avviene anche, e forse soprattutto, a causa di questo isolamento che li porta a dover crescere per poter sopravvivere, andando ad attaccare quella sorta di apatia che ha caratterizzato i giovani del post boom economico. In secondo luogo, l’aura all’interno della quale avvengono i giochi ha un che di soprannaturale. In entrambe le opere non sappiamo chi li ha organizzati (As the Gods will) o come gli organizzatori siano riusciti a creare la realtà alternativa in cui avvengono i giochi (Alice in Borderland). Tutto ciò ci introduce in un universo diegetico totalmente estraneo a quella che potrebbe essere una nostra ipotetica realtà.

Scena tratta da Alice in Borderland

Del tutto diverso è quello che vediamo in Squid Game. I giocatori all’interno della serie decidono di aderire in modo completamente volontario ai giochi. Anzi, quando ottengono la possibilità di ritirarsi sono loro a decidere di rientrare. Inoltre, le modalità con cui avvengono le morti nella serie coreana sono estremamente legate alla realtà terrena. Non abbiamo raggi laser o Maneki neko pronti a mangiarci. La morte avviene per mano di altri esseri umani. Non c’è niente di “soprannaturale” in Squid Game. La natura dell’uomo viene messa su pellicola in tutta la sua brutalità, portandoci a credere che gli unici Dei che abbiamo e che dobbiamo temere, siamo proprio noi.

Le mie considerazioni

As the Gods will è un film estremamente avanguardista come, del resto, tutta la filmografia di Takashi Miike. Nonostante la violenza sia più che esplicita, la modalità con cui viene messa in scena ci permette di vedere una pellicola molto più leggera e godibile di quanto non siano Visitor Q o Audition. Interessantissimi sono i diversi richiami alla religione shintoista, in particolare al concetto di fortuna che attraversa l’intera pellicola e diventa manifesto nel finale. Decisamente consigliato a tutti coloro che hanno amato Squid Game, ma soprattutto Alice in Bordeland.

Classificazione: 4.5 su 5.

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