La nuova stagione di Black Mirror è arrivata su Netflix lo scorso 15 giugno a ben quattro anni di distanza dalla precedente. La serie antologica firmata dalla nota piattaforma streaming ha sempre avuto come tema principale la tecnologia e soprattutto le implicazioni del suo abuso, o cattivo uso, nella vita di ogni giorno. Una forte critica sociale al binomio macchina uomo, una denuncia, nemmeno poi tanto utopica, spesso attuale e che certamente, oltre al puro intrattenimento, lasciava molto su cui riflettere allo spettatore.

Un cambio di rotta?

Leggendo qualche commento in rete vi saranno sicuramente capitate frasi tipo “che delusione la sesta stagione” oppure “non è più Black Mirror” e sicuramente un cambio di direzione c’è stato.

A tal proposito, in un’ intervista, lo sceneggiatore Charlie Brooker ha dichiarato:

Si è trattata decisamente di una decisione consapevole quella di cambiare un po’ quella che è la serie. Era interessante in un certo qual modo compiere un reset, qualcosa di rinfrescante che significa che puoi avvicinarti agli altri episodi da una prospettiva piuttosto differente. C’era il lieve pericolo che le persone etichettassero la serie come: lo show che sostiene che la tecnologia è cattiva mentre la serie non stava dicendo che è la tecnologia ad essere cattiva ma le persone ad essere complicate.

Quello che torna ad essere centrale infatti, non è più tanto l’elemento tecnologico quanto l’essere umano appunto, la sua psicologia, il suo essere al di là dell’ apparire e la sua complessità d’animo.
Se infatti la tecnologia è presente, anche se e volte in minima parte o ha comunque un ruolo che per noi oggi è a livelli “normali”, è l’uomo il vero protagonista di questi cinque nuovi episodi che esplorano azioni e reazioni tipicamente mortali.
Ma quali sono e di cosa parlano i nuovi episodi?

Joan è terribile

Una donna con una vita piuttosto ordinaria e uguale a mille altre scopre che un servizio di streaming globale (Streamberry) ha adattato la sua vita quotidiana in un dramma a puntate con protagonista Salma Hayek. Tutti possono così vedere (quasi in diretta in realtà) tutti i suoi segreti e gli accadimenti privati ed i suoi comportamenti vengono enfatizzati negativamente (da qui il terribile del titolo) ai fini dello share.
Diretto da Ally Pankiw è sicuramente l’episodio più in linea con il vecchio Black Mirror e vede tra gli attori diversi volti noti, oltre alla Hayek presenti anche Cate Blanchette e Michael Cera. E seppur già sia abbastanza terrorizzante, rivela una matriosca di coinvolgimento in cui si fondono diversi piani di realtà e virtualità. Di fatto però gioca su due fattori davvero attuali e già presenti nella nostra vita: l’utilizzo di immagini digitali da sostituire ad attori reali e i termini e le condizioni che siamo abituati ad accettare ormai in automatico e che potrebbero avere conseguenze nascoste e nefaste sul quotidiano. Inquietante.

Lock Henry

Davis e la sua fidanzata Pia studiano cinema e per un progetto devono realizzare un documentario su un collezionista di uova di Rùm. Tornano così nel paese natale del ragazzo, Loch Henry, una cittadina semi abbandonata della campagna scozzese. Ospitati dalla madre di Davis incontreranno anche un vecchio amico d’infanzia, Stuart, che racconterà a Pia una vecchia ed oscura storia avvenuta in quel paese nel 1997 che riguarda uno spietato serial killer. Pia rimane così colpita da questa tragedia che decide di girare un documentario sulla vicenda senza immaginare che, la verità, deve ancora venire a galla.
Cinquantaquattro minuti, diretta da Sam Miller, Loch Henry è sicuramente una delle mie puntate preferite di sempre. Tema principale il true-crime che così tanto ha iniziato ad andare di moda in epoca di pandemia, utilizza benissimo tutti gli stilemi del genere docu-crime. Ampie riprese del paesaggio dall’alto tramite droni, musiche adatte, interviste familiari ed una serie di omicidi e dettagli raccapriccianti, Loch Henry innesca un senso di disagio crescente verso un finale scoinvolgente e che vi rimarrà nella testa per un po’.

Beyond the Sea

In un 1969 alternativo, due astronauti, Cliff e David, conducono una noiosa missione nello spazio della durata di cinque anni. Ogni giorno possono però trascorrere parte della loro vita sulla terra, trasferendo la loro coscienza in repliche robotiche tali e quali al loro reale corpo, mantendo cosi una vita “normale” assieme alle loro famiglie. Tutto precipita quando David sarà vittima di un orrendo crimine che distruggerà, oltre alla sua famiglia, anche la sua replica sulla terra condannandolo a restare confinato nello spazio. Il suo collega gli offrirà una piccola speranza che, però, gli si ritorcerà contro.
Della durata di 80 minuti e diretto da John Crowley è sicuramente l’episodio più cinematografico di tutta la serie. Oltre al minutaggio, la presenza di attori del calibro di Aaron Paul (Breakin Bad) Josh Hartnett e gli effetti speciali ne fanno un piccolo film ben costruito e con un finale davvero cattivo. Il crimine è ispirato a quello compiuto dalla Manson Family. Beyond the Sea ci parla di amore e desiderio, gelosia e possesso, divisione e condivisione con un piccolo insegnamento che non passa mai di moda: non date mai per scontato l’amore di chi avete accanto.

Mazey Day

Primi anni 2000. Mazey Day è una giovane celebrità emergente di Hollywood che una notte, dopo aver assunto sostanze stupefacenti, ha un brutto incidente stradale che coinvolge una persona. Dopo essere scappata cerca di ritornare alla sua vita normale senza però riuscirci. La tormentata attrice scomparirà dunque dalla circolazione alla ricerca di un posto tranquillo dove recuperare la tranquillità dando così inizio alla caccia selvaggia dei paparazzi, alla ricerca dello scatto più esclusivo e privato.
Diretto da Uta Briesewitz è una critica per nulla velata contro i media, l’industria dell’intrattenimento, lo sfruttamento dell’immagine ed il potere che i paparazzi hanno di danneggiare in modo permanente la vita e la reputazione di una persona. E’ l’episodio più breve della serie, con 40 minuti di durata, ed ha un plot twist totalmente inaspettato (e forse slegato dal contesto) che strizza l’occhio più all’horror che alla fantascienza.

Demone 79

Siamo alla fine degli anni 70. Nida Haq è una ragazza indiana che a Londra lavora come commessa in un negozio di scarpe ed è costantemente bersagliata di commenti ed atteggiamenti razzisti da parte della collega, del capo e del vicinato, aizzato dai discorsi pro-elezione di Michael Smart, candidato del Partito Conservatore. Timida e riservata la ragazza è abituata a subire in silenzio sino a quando non si imbatterà in un talismano tramite il quale, per errore, invocherà un demone che solo lei può vedere e sentire. Gaap, così si chiama, la incaricherà di tre omididi che Nida sarà obbligata a compiere per evitare la fine del mondo.
Torniamo di nuovo nel passato in questo episodio diretto da Toby Haynes che ha una durata di circa 75 minuti. Sicuramente il più ironico, a tratti divertente, velato da un sottile humor nero che comunque lascia affiorare in superficie la critica feroce di Brooker a tutte le situazioni in cui il diverso è considerato inferiore. Quasi una dark comedy, se vogliamo, con Black Mirror che diventa Red Mirror in quei titoli di testa dalla grafica che si rifà agli horror delle decadi passate.

Autocitazioni e innovazioni

Ogni episodio di questa nuova stagione contiene innumerevoli easter-egg e citazioni ad altri personaggi ed altri episodi anche degli anni passati, ma non solo. Anche Netflix si autocita diventanto Streamberry e facendo così ironia su sè stessa. E se la trasformazione da Black a Red Mirror, fosse in realtà un suggerimento sulla strada che lo sceneggiatore vuole intraprendere?
Di sicuro ciò a cui si assiste in questa sesta stagione è molto differente rispetto a quanto visto in quelle passate. E se le storie che vi ho appena illustrato avessero fatto parte di una serie antologica alternativa, a tema horror/thriller nessuno avrebbe avuto da ridire. Forse si è perso il tema principale? Eppure Black Mirror ha sempre abituato il pubblico a rompere gli schemi, catapultando lo spettatore in mondi distopici fatti di paure, disagio, angoscie. E queste premesse (e promesse) seppur in un modo differente, restano intatte.

Forse Black Mirror ha perso un po’ della vena fantascientifica e futuristica del suo inizio, ma continua a sperimentare strade nuove, con il cinismo ed il meccanismo narrativo inaspettato che le appartengono. Continua a contaminare i generi ed a stupire lo spettatore mantenendo di base lo stesso concetto, mostrare come la società può consumarci, manipolarci e cambiarci, se glielo permettiamo.