Presentato in concorso al 75° Festival di Cannes Crimes of the future, il nuovo lungometraggio del regista David Cronenberg arriva nelle sale italiane dal 24 agosto. A otto anni dall’uscita della sua ultima pellicola, il pioniere del body horror ritorna in sala con un racconto distopico e visuale con Viggo Mortensen, Léa Seydeux e Kristen Stewart.

La storia

In un futuro prossimo ai giorni nostri il mondo, e con esso l’uomo, ha subito dei mutamenti irreversibili: l’aspro e scarno paesaggio cittadino si sposa perfettamente con l’animo di chi lo popola. Gli uomini appaiono anime perse in costante cerca di qualcosa che li faccia sentire vivi, come se nelle loro esistenze mancasse un pezzo. E, in realtà, una grande assenza c’è infatti: il dolore è quasi del tutto scomparso

Sebbene questo risultato dell’evoluzione possa sembrare ai più premessa per una vita migliore, questo cambiamento getta l’umanità e la sua emotività in un vortice di mancanze e di nuove ricerche: con la scomparsa del dolore giunge inevitabilmente una nuova ricerca del piacere, una nascita di nuove emozioni.

Ed è proprio di questo che si nutre il lavoro di Saul Tenser (Viggo Mortensen) e Caprice (Léa Seydeux), due artisti contemporanei – due performer per l’esattezza – che hanno trasformato la scoperta e la rimozione chirurgica di nuovi organi dal corpo di Saul in uno spettacolo per gli spettatori assetati di nuove ebbrezze.

Unitamente alla storia dei due artisti, la cui esistenza ruota attorno a delle nuove misteriose forme di tecnologia, nel sottobosco criminoso e ribelle di questo nuovo tempo qualcosa inizia a muoversi. E questo qualcosa è profondamente legato al grande tema che muove i fili della pellicola tutta: l’evoluzione.

Una nuova distopia

L’immaginario distopico, si sa, nell’ultimo decennio ha fatto largamente parte della produzione cinematografica e seriale internazionale. Questo in parte per la naturale funzione delle tendenze all’interno della cultura popolare e di massa certo, ma in questo caso è bene ricordare che il regista ha scritto questa storia nel 1998, ventiquattro anni fa. 

Il regista ha quindi, unitamente al produttore Robert Lantons, pensato che fosse il momento più opportuno per portare sul grande schermo questa storia.

Nonostante considerarsi un profeta non è né il suo stile né tantomeno sua volontà, Cronenberg si discosta da ogni intento di preveggenza ma ammette gli innegabili punti di incontro tra la realtà e la sua opera di finzione. 

La domanda diventa quindi: come riuscire ad innovare l’idea un po’ inflazionata di distopia pur riuscendo a farla calzare spaventosamente bene rispetto alla nostra contemporaneità?

Crimes of the future compie un operazione profonda e sensibile che è quella di spostare il focus su un nuovo tipo ti progresso: quello legato all’evoluzione fisica dell’uomo.


Cronenberg immagina un futuro non sulle macchine, ma sul corpo. La sua analisi distopica è intrinseca all’uomo, al modo in cui la sua carne e la sua emotività muta, e solo dopo a come si adatta l’ambiente intorno a lui. Si può dire che il corpo che cerchiamo disperatamente di riempire di significato rappresenti per il regista lo sforzo ultimo che l’umanità dovrà compiere nel futuro per non perdere ciò che la definisce: il dolore e il piacere.

Prende i cardini della distopia e li sovverte, mettendo nuovamente al centro l’uomo che – per definizione – nel futuro è solo secondo alla tecnologia. Ma non per Cronenberg: l’indole pionieristica del regista colpisce ancora.

Oltre che sul corpo, l’indagine distopica del regista in questa storia si concentra anche sulle innovazioni tecnologiche che nascono nel nuovo mondo. Ed è qui che ci sorprende nuovamente: se abitualmente il procedere tecnologico va di pari passo con l’assottigliamento dei supporti e la progressiva scomparsa della materia (schermi sempre più sottili, assenza di fili, hardware invisibili) per Cronenberg la tecnologia nel futuro si fa carne: sigillando nuovamente la collaborazione con la scenografa Carol Spier, dà vita alle macchine a supporto di un corpo che si fa sempre più vuoto e perso, donando ad esse una materia più organica, quasi calda.

Del resto il binomio carne-materia è uno dei più cari al regista fin dai suoi esordi. L’idea della metamorfosi mostruosa dei personaggi che popolano le storie del regista qua si materializza nella creazione di una tecnica-mostro, in grado di prevedere, di assecondare e di migliorare le prestazioni dell’uomo sostituendolo in un modo del tutto nuovo: con la sua fisicità. La minaccia di una sostituzione intellettuale – principale timore dell’uomo – diventa invece qui per il regista un rimpiazzo fisico:

un corpo sempre più evanescente, una tecnologia sempre più corposa.

Erotismo in evoluzione

La risposta all’assenza disumana del dolore è la ricerca di un nuovo piacere. E se il primo è da sempre per l’uomo un nemico da rifuggire, da limitare, da controllare, il secondo resta il motore dell’esistenza, il fine ultimo di ogni azione umana.

Sebbene lo sperimentale inseguimento di un piacere sempre più sfuggente al limite di un erotismo sperimentale e allucinatorio sia uno dei topoi prediletti dal regista – basti pensare al suo sensualissimo e estremo Crash del 1996 – questa volta Cronenberg compie un’ulteriore impresa: anche in questo caso vi è una nuova ricerca, ma è fisica.

L’indagine all’insegna del piacere fisico, della nuova sessualità, all’interno di questa storia non riguarda gli angoli della mente intesa come percezione soggettiva e legata alla psiche di uno o più singoli, ma come risultato fisico di una mutazione che riguarda tutta la specie.

La lettura dissacratoria del regista osa immaginare come una specie che non e più in grado di provare dolore rielabori la sua percezione fisica de piacere legandola innegabilmente a qualcosa che rimane riferito al dolore stesso. Sintomo di un cambiamento portato da un’umanità non curante delle conseguenze delle sue azioni, il nuovo sesso creato dal regista torna ad esplorare il binomio dolore-piacere e amore-morte creando momenti ad altissima carica erotica che rimangono pur sempre ben ancorati al concetto del corpo in evoluzione.

Crimes of the future si prende il tempo di esplorare, di materializzare e gustare ogni elemento preso in esame attorno al tema portante: le conseguenze delle azioni dell’uomo sull’uomo stesso.

Magistralmente interpretato, le performance degli attori sono esaltate e innalzate grazie al grande spazio che viene donato al vero protagonista della scena: il corpo. Che gioisce, soffre insieme all’ambiente circostante, geme di piacere e si dispera.

Una pietra preziosa che gronda di erotismo, fisicità e profetismo. Una pellicola toccante e seducente che esplora ogni senso e coinvolge; fatta di attese, tempi dilatati e filosofica sensualità.

Classificazione: 3 su 5.