Il 22 febbraio 2006 usciva nelle sale italiane la seconda pellicola diretta da Eli Roth, Hostel. Il film è un’icona del cinema horror e riuscì a guadagnare, in Italia, [1] 925mila euro nel primo weekend e 2.6 milioni nelle prime 4 settimane. Un film che ha segnato la storia del cinema horror e di cui, a distanza di 16 anni, continuiamo ancora a parlare.

Trama

Paxton (Jay Hernandez) e Josh (Derek Richardson) sono due ragazzi americani alle prese con il loro primo viaggio Interrail in Europa. Durante il viaggio conoscono Oli (Eythor Gudjonsson), un ragazzo islandese che si unisce a loro. I tre, insieme, si fermano ad Amsterdam dove, dopo una notte brava, rimangono chiusi fuori dal loro ostello e conoscono un quarto ragazzo olandese che si offre di ospitarli. Sarà quest’ultimo a suggerire loro di proseguire il viaggio verso Bratislava per andare alla ricerca di ragazze bellissime e disponibili. Ancora non sanno che, purtroppo, troveranno esattamente quello che stavano cercando, ma che le tre bellezze straniere non li condurranno esattamente dove avrebbero sperato.

Recensione

Sono passati sedici anni dall’uscita di Hostel nelle sale italiane, eppure non riusciamo ancora a smettere di parlarne. Ma perché? Forse perché è il primo film ad essere stato definito un torture porn? Oppure perché la trama non è poi così improbabile? Sono tante le domande a cui cercheremo di dare risposta ma prima bisogna fare una piccola digressione.

Un po’ di storia del cinema

Prima di addentrarci nell’analisi sul perché Hostel sia una pellicola tanto discussa è bene fare un piccolo excursus sulla storia del cinema e sul rapporto tra cinema e desiderio voyeristico dello spettatore. Il filone a cui appartiene Hostel è quello dei torture porn, anzi è stato il primo film ad essere definito con tale terminologia dal critico cinematografico David Edelstein [2]. Ma cosa si intende per torture porn? Cercando brevemente su internet è possibile individuare la definizione di tale genere in: “sottogenere dello splatter in cui il plot della trama è interamente o grandemente orientato a mettere in mostra torture, mutilazioni, sevizie e altre atrocità”. Siamo quindi completamente all’interno del cosiddetto cinema exploitation o “cinema dello sfruttamento”, una corrente di produzioni nate con la nascita della stessa settima arte in cui il corpo umano veniva sfruttato al fine di intrattenere gli spettatori senza che vi fosse necessità di dare un significato recondito alla pellicola. Il fatto che questo filone sia nato in contemporanea con la nascita del cinema non può far altro che suscitare in noi una domanda: “il desiderio di vedere ciò che è ritenuto proibito è insito nella natura umana?”.

Dagli snuff movie ai torture porn

Per anni è stata alimentata la cosiddetta leggenda degli snuff movie, pellicole prodotte per il circuito alternativo il cui soggetto era la morte (reale) di una persona. Perché parlo di leggenda? Perché ad oggi non vi è prova che siano mai stati prodotti film di questo genere al fine di essere venduti. Esistono, tuttavia, pellicole amatoriali in cui è possibile vedere questo tipo di atrocità? Purtroppo, sì. Ma non è mia intenzione aizzare i lettori alla ricerca di tali orrendi cimeli ma piuttosto sviluppare un altro tipo di riflessione. La nostra curiosità, quasi morbosa verso questa tipologia di pellicole è dettata, fondamentalmente dalla consapevolezza, più o meno conscia del fatto che non sarebbe improbabile pensare che la natura umana arrivi a tanto. Ed è proprio questo il perno su cui si fonda il successo di Hostel.

L’origine di Hostel e il sito tailandese

Eli Roth dichiarò che l’idea per scrivere Hostel gli venne quando finì su un sito tailandese in cui era possibile acquistare la vita di un uomo per 10.000 dollari. Non seppe dire nemmeno lui se il sito fosse reale oppure fasullo ma, inizialmente, la sua idea era quella di creare un documentario per parlare di questo argomento. Tuttavia, si rese conto di quanto questo avrebbe potenzialmente generato una serie di atti emulativi, andando, di fatto ad ingigantire e dare pubblicità a questo genere di atrocità piuttosto che farne un’effettiva denuncia. Ed è in questo punto che tutte le mie riflessioni e digressioni precedenti vengono in nostro soccorso. Come per il caso degli snuff movie il focus sta proprio nel fatto che Eli Roth individuò chiaramente la problematicità di quel sito e dove poteva risiedere il successo del suo film. Hostel, infatti, racconta una storia fantasiosa ma non improbabile. Sappiamo, infatti, quanto il gioco di potere sia legato a doppia mandata con l’idea di poter disporre di una vita umana a proprio piacimento. Lo avevamo visto con il favoloso Salò di Pasolini in cui il genio italiano denunciava proprio il desiderio borghese di voler dominare e dar sfogo alle più torbide perversioni. Trasmutando questo concetto negli anni 2000, in un mondo fortemente dominato dal capitalismo e in cui ancora non si ha la minima percezione della futura crisi economica, sono i soldi che ci permettono di avere potere e di poter letteralmente comprare una vita umana. Ce lo dice anche Takashi Miike nel piccolissimo cameo che ha all’interno della pellicola:

“Non entrare lì dentro, perderai tutti i tuoi risparmi”.

Il personaggio interpretato da Takashi Miike rivolgendosi a Paxton

Il personaggio interpretato da Miike fa un ammonimento al protagonista non inneggiando all’immoralità di ciò che avviene all’interno del magazzino ma, piuttosto, parlando di quanto è possibile farsi prendere la mano quando si ha la percezione di avere il potere assoluto. Se, all’epoca di Salò, il potere era dettato dalla posizione socio-politica dei signorotti, nel mondo capitalistico sono solo i soldi a dare il potere di essere Dio.

Lo scopo di Hostel

La domanda che ora dobbiamo porci è: “ma Hostel ha in sé la velleità di veicolare un messaggio?”. La risposta è assolutamente no. Come già anticipato la pellicola è un torture porn: non vuole insegnarci niente e non vuole trasmetterci alcun messaggio. Lo scopo di Hostel è intrattenere il suo pubblico facendo leva sul desiderio voyeristico dello stesso e sulla nostra percezione della natura umana. Non è Hostel a porci delle domande ma siamo noi che dobbiamo porcele in quanto spettatori attivi.

Le mie conclusioni

Hostel è stato il mio primissimo approccio a quello che si può definire, tra molte virgolette, cinema estremo. E’ un film che riesce ad intrattenermi ancora oggi, nonostante siano passati quasi vent’anni dalla sua uscita. La pellicola riesce perfettamente nel suo intento di voler scioccare lo spettatore senza voler trovare a tutti i costi un pretesto per la sua esistenza. Innegabile poi il desiderio di Roth di evidenziare il suo amore per un cinema che non abbia paura di urtare la sensibilità degli spettatori (come dichiarato in un’intervista). Splendidi poi i cameo di Tarantino e Miike. Insomma secondo me una vera chicca, imperdibile per chiunque si definisca amante del cinema horror.

Classificazione: 3.5 su 5.

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