Esattamente il 16 novembre del 2007, ad 11 anni dall’ultima volta che il suo cinema si era tinto di nero, Pupi Avati con Il nascondiglio tornava ad indagare i suoi luoghi oscuri, per la gioia dei tanti fan che da tempo attendevano un nuovo tassello del suo personalissimo mosaico gotico.

LA TRAMA

Davenport, Iowa. Una donna (mai nominata) viene dimessa da un ospedale psichiatrico dove è stata in cura nei quindici anni precedenti per curare una depressione causata dal suicidio del marito. La donna è determinata a ricominciare, sfruttando la sua origine italiana per aprire un ristorante appena fuori città.

Il luogo destinato a tale progetto è Snakes Hall, un antico edificio un tempo dimora di un magnate dell’industria farmaceutica, vissuto troppo poco per godersela. L’austera abitazione sembra avere un passato di ombre e misteri, sfociati in una brutta storia di delitti avvenuti cinquant’anni prima.

Da subito la protagonista avverte qualcosa di sinistro nella casa. Voci, lamenti, rumori sinistri. Inizia quindi una ricerca della verità che potrebbe compromettere ulteriormente la sua fragile stabilità mentale.

UN RITORNO ATTESO… TROPPO!

I troppi anni di attesa dopo l’Arcano incantatore avevano caricato a dovere le aspettative dei fan che apprezzarono Il nascondiglio nonostante fosse un tipo di film che probabilmente non si aspettavano.

Atmosfera tesa, silenzi che parlano, la mano di Avati sempre efficace nel far crescere la tensione anche senza mostrare quasi nulla. E su tutto una straordinaria Laura Morante, interprete di razza mai abbastanza celebrata nel panorama del cinema di casa nostra.

L’ambientazione americana (ormai un vezzo noto per il regista emiliano) riconduce a pellicole thriller celebri scritte da Pupi (Dove comincia la notte, La stanza accanto) ma anche a quel Bix che celebrava l’amore per il jazz del regista. Film che spinse i fratelli Avati ad acquistare la casa del musicista, divenuta poi anche set per Il nascondiglio.

BELLO E DERIVATIVO

La trama di Il nascondiglio, pur con una certa dose di improbabilità nella soluzione finale, è abbastanza quadrata e non lascia spazio all’elemento sovrannaturale come facevano Zeder e l’Arcano incantatore. Torna invece ad essere una casa il centro del mistero, tra muri ammuffiti e pavimenti scricchiolanti, scale che si perdono nel buio e indesiderati “ospiti”.

In fin dei conti si tratta di un thriller della memoria dalle atmosfere cupe che si svolge in un arco temporale di cinquant’anni, la cui ambientazione americana (con successivo doppiaggio) in qualche caso stempera il pathos, anche per via di locations che (ad eccezione della Snakes Hall) risultano un po’ piatte.

Efficaci ma non troppo ispirate le musiche del sempre bravo Riz Ortolani, che nei momenti di tensione utilizza una partitura per archi troppo simile a quella composta in passato per Zeder, sorta di omaggio al Bernard Herrmann di Psycho.

UN’EREDITA’ PESANTE

In conclusione possiamo dire che il nascondiglio è un buon film, che regala brividi e una storia non banale. Una pellicola che ha tutte le carte in regola e possiede i tratti tipici del cinema nero avatiano, dalla scrittura dei personaggi all’intreccio diabolico che riporta al presente fantasmi di un passato che si credevano lontani.

La sfortuna de Il nascondiglio sta nell’essere uscito dopo due capolavori e un buonissimo film, tre perle del cinema di Avati come La casa dalle finestre che ridono, Zeder e l’Arcano incantatore. Film che hanno creato un mito ed aspettative enormi sui successivi lavori del regista.

Classificazione: 2.5 su 5.